Stili di vita alternativi. Nella Valle degli Elfi: intervista a Mario Cecchi (2° parte)
di Giuseppe Moretti
Qui la prima parte dell’intervista
Parlaci di Avalon e della terra che vi sostiene (Avalon, è uno degli insediamenti degli Elfi in cui vive Mario).
Avalon è difficile da definire perché è un miscuglio di tante cose, di tante attività che si intersecano dando la possibilità ad ognuno di esprimersi. È chiaro, l’attività prevalente, quella che ci dà da magiare, è l’agricoltura. Coltiviamo gli orti con tutte le orticole e le leguminose per il nostro fabbisogno: ci sono 30/40 bocche giornaliere fra adulti e bambini. Ci prendiamo cura degli ulivi, che sono la coltura più intensiva, ma che abbiamo già trovato quando abbiamo preso il podere: 1200 piante distribuite in 5 ha. di terreno, più 1 ha. di bosco. Ma non ci limitiamo a questo, quando le annate sono buone andiamo a raccogliere anche negli uliveti dei vicini, che non hanno manodopera, quindi arriviamo a cogliere anche 3000 piante. L’olio viene distribuito in tutta la valle degli Elfi in base alle necessità della famiglia o del villaggio. Facciamo la raccolta viene tutti insieme, fino a soddisfare il nostro fabbisogno, poi il raccolto viene proseguito da chi ha ulteriori bisogni: per regalare a parenti o amici, o vendere. Il ricavato viene poi suddiviso in base alle giornate lavorate e alla resa a quintale, tolte le spese. Al lavoro agricolo si dedicano tutti (…). Sugli ulivi oramai sono in molti che hanno fatto pratica e che sono in grado di potare o di impostare la raccolta, così, l’anno che ci sono olive si raccoglie e si pota contemporaneamente, grazie al particolare microclima che ci permette di fare le due operazioni contemporaneamente. Abbiamo anche una mucca, Macchia, il cui latte giornaliero viene impiegato per fare yogurt e formaggi. Una mucca dolcissima, che viene portata al pascolo da chiunque e munta da chi è capace, alternandosi.
Non c’è specializzazione del lavoro o suddivisione in ruoli, ognuno segue le proprie attitudini ed inclinazioni, basta darsi da fare e collaborare per il bene comune. Non c’è dunque una forma organizzata, non si procede per turni, si segue l’autodisciplina e la spontaneità – quando non funziona cerchiamo di parlarne per trovare di nuovo l’armonia, l’equilibrio tra il dovere ed il piacere, tra i bisogni individuali e collettivi, tra la spontaneità e l’organizzazione (…). Questo è il bello della comune, ognuno è libero e spontaneo, ma deve sentirsi di appartenere alla comunità ed al luogo, dove impiegare parte della sua creatività ed energia per il benessere collettivo, per la crescita in tutti i sensi. Altrimenti non funziona. Altrimenti troppi sono i problemi da affrontare, se ognuno mette avanti i propri e non ascolta e non vede i problemi degli altri, non c’è il gruppo, ma l’individualismo, l’educazione, la cultura della società in cui viviamo, che ha uniformato le menti ed i bisogni rendendoli funzionali al suo sistema economico. Mentre, da noi, ciò che meno importa è il denaro: ognuno viene considerato non in base a ciò che porta, ma in base a ciò che è e dimostra. Il valore affettivo e la solidarietà umana, sono l’aspetto prevalente.
In altre parole, ci vogliamo bene, siamo una famiglia senza vincoli parentali, dove i confini non sono ben definiti e non esistono regole sancite ufficialmente, ma esiste una regola superiore, che è il rispetto e l’amore per la terra, per la natura in tutte le sue manifestazioni, per la persona, per gli animali. Quando ognuno di noi avrà acquisito consapevolmente questa conoscenza, si accorgerà che la natura collabora e la terra è il paradiso a cui tanto agogniamo, che è già qui e non occorre andarlo a cercare altrove. Ho trascurato di parlare delle altre attività perché non ne sono direttamente responsabile, sono felice che ci siano e che altri si esprimono in quelle ma, io, ne ho già abbastanza, al momento non desidero dedicarmi altro che alla terra ( e alla politica per essa e per il sociale).
C’è il laboratorio della tessitura, in cui Nicol crea prototipi di capi di abbigliamento che verranno poi fabbricati in serie; c’è il laboratorio del cuoio dove si fanno scarpe semplici, bisacce, portafogli, etc.; c’è la falegnameria, che usano un po’ tutti: è il passatempo preferito dai bambini, ed è difficile da tenere in ordine per questo. C’è l’erboristeria dove vengono messe a seccare le erbe officinali, si fanno tinture, oleoliti, fiori di Bach, creme, saponi, oli essenziali. Sono Teresa ed Erika che se ne occupano, ma anche altre donne partecipano ogni tanto alla raccolta e alla preparazione dei prodotti.
Noi ci curiamo principalmente con esse, tranne nei casi in cui riconosciamo che non siamo capaci e ricorriamo al medico naturopata, o anche alle medicine allopatiche, se è il caso. L’ultima parola spetta al malato, è lui che deve decidere.
E altri laboratori quali la danzaterapia, col metodo di Maria Fux. Barbara è una formatrice abilitata all’insegnamento. Altre attività sono la giocoleria, la meditazione, la pranoterapia etc., solo per citarne alcuni che riguardano la salute e la crescita interiore, ma ce ne possono essere mille, basta proporle, proporsi e trovare l’interesse del gruppo.
Come siete organizzati con i bambini: quale educazione, quale comunicazione sociale e quale futuro immaginate per loro?
Bella domanda che merita una risposta altrettanto bella.
Proprio questo è il punto in cui ci misuriamo nel prossimo futuro; è un terreno ancora difficile da sviscerare poiché incontriamo ancora molte difficoltà. Una cosa è la teoria, un’altra la pratica. Sulla teoria siamo abbastanza chiari e consapevoli, nella pratica è difficile coniugare tutte le esigenze e mettersi alla pari con i bambini: ascoltare, rispettare i loro bisogni, mantenere vivo il loro interesse, la loro innata vivacità, la loro curiosità e sete di conoscenza.
Ogni genitore queste cose le sa, ma si scontra con le esigenze della vita quotidiana, con il lavoro nell’orto, gli animali, la preparazione dei pasti etc. Ogni giorno, ogni ora ci sono molte cose da fare: relazionarsi tra adulti, visitatori, spettacoli, cerimonie, incontri… Insomma la vita non è assolutamente monotona. Ma i figli in tutto questo cosa c’entrano, non l’hanno mica chiesto loro. Quali sono le loro esigenze? Allora partiamo da lì: capire quello che ci stanno chiedendo.
I° segreto della relazione: l’ascolto, la nostra disponibilità. Quando c’è questo il bambino non fa i capricci, non piange per attirare l’attenzione, non si ribella, è contento.
II° segreto: segue il tuo esempio. Se dici una cosa poi ne fai un’altra, non capisce o, perlomeno capisce così. Non c’è identità tra quello che uno dice e poi fa, c’è schizofrenia. Questo succede tante volte ed è difficile ammetterlo, giustificare e dare spiegazioni.
III° segreto: non sentirsi in colpa, non abbassare la propria autostima. Sì, è vero, se ho sbagliato l’ho fatto per rabbia, per errore, per distrazione, per… E’ sempre un motivo che il bambino può capire, che fa parte della relazione tra umani, dell’intimità, della solidarietà, della complicità, della sincerità. Lui queste cose le ha ben chiare e le accetta. Ammettere il proprio errore è un atto di umiltà che lo fa sentire importante.
IV° segreto: manifestarsi per quello che si è, in modo autentico e naturale. Non atteggiarsi e non modificare la propria voce perché si è in presenza di un bambino. E’ una persona come noi, capace in tutti i sensi, più sviluppato nell’introspezione, nel percepire interiormente al di là delle parole e dei gesti; capisce qual è il tuo reale sentimento, se condividi, accetti o se fai il contrario, capisce il tuo animo. Non fingere perché gli insegni a non essere vero, gli insegni la falsità.
V° segreto: l’umiltà, lo spazio per il dubbio. Non dire sempre è così o si fa così, senza ombra di dubbio, con una determinazione e risolutezza che non ammette repliche. Riceve come messaggio la presunzione, l’arroganza, l’intolleranza verso la diversità. Il mondo non è unipolare, è multiforme, multicolore, è un arcobaleno di ideali, ognuno possiede una parte di verità, bisogna imparare ad accettare e a rispettare anche quella degli altri.
VI° segreto: non pretendere che egli diventi come te, come tu vorresti, che abbracci quella filosofia, quella religione, quella tendenza. Egli è se stesso e sa cosa scegliere. Se cerchi di influenzarlo lo spingi verso l’opposto di quel che vorresti, gli neghi o metti in dubbio la sua capacità-dignità. Devi dargli informazioni nel modo più neutro possibile, lasciarlo libero di scegliere.
Allora, organizzarsi per “educarli” a modo nostro in base a questi principi, non richiede l’ufficializzazione del momento scuola, né l’intervento della supposta autorità, il maestro che si accolla tale incarico. Ogni momento è valido ed è nel rapporto quotidiano con la vita, con l’esperienza, con gli adulti, con gli altri bambini. E’ creare opportunità per l’apprendimento, è farlo crescere sano e felice in un ambiente che riflette queste condizioni, è fargli vivere relazione umane, affettive degne di questo nome, è volergli bene come si è capaci di fare, spontaneamente, ma anche restando critici verso se stessi.
Educare il bambino significa in primo luogo educare se stessi, i genitori. Egli assorbe ogni parola, ogni gesto, ogni silenzio, ti mette alla prova, ti stimola fino a farti perdere la calma, vuol provare i tuoi limiti. A volte ti senti impotente, incapace, non hai l’energia, non ce la fai. Sono tutte prove che ognuno deve attraversare per affermare che: “adesso so come comportarmi, ho capito il suo messaggio, sono pronto al dialogo senza perdere la calma”, riconoscendo il suo bisogno di affetto, tenerezza, e intimità, di un suo spazio nella relazione dove entrare dolcemente, per sentire la sua gioia. Penso che tutto questo sia la cosa più incoraggiante per un genitore, di simili momenti dovrebbe essere piena la vita, di questo cibo ci dovremmo nutrire ogni giorno, noi e i bambini.
Poi viene l’istruzione, imparare a leggere e scrivere, la matematica, la storia, la geografia, l’arte, la musica… Non sono cose morte che gli devono entrare per forza in testa, non richiedono l’imposizione coercitiva, di essere rinchiusi dentro quattro mura scolastiche, non sono soltanto un dovere. Bisogna comprendere che si possono trasformare, che possono essere gradevoli come un gioco, tutto dipende dal modo in cui le poniamo.
Avere la capacità di renderle vive ed attuali, coniugandole con la vita reale, la praticità di tutti i giorni. Così si impara a contare i semi, la distanza tra una fila e l’altra, ad aggiungere o togliere, a moltiplicare; si imparano le figure geometriche: il quadrato, la forma del campo, il lato, il perimetro etc. Si impara che un popolo, una nazione ha una storia, che esistono diversi popoli, che tutti ci cibiamo dei frutti della terra … Partendo da semplici cose si arriva ai grandi concetti, per diletto non per dovere. Se si è costretti ad imparare si dimentica subito o si nutre una parte sola del nostro essere, il cervello. L’esperienza rimane relegata ad un ambito teorico. Noi non facciamo scuola da tal ora a tal ora, facciamo scuola sempre, da quando il bambino è nato a quando si confronta con l’istituzione scuola-società-lavoro fino a raggiungere l’autosufficienza sia materiale che psicologica. Ogni tanto capita di formalizzare il momento scuola, di sedere intorno ad un tavolo per scrivere, disegnare, fare i laboratori d’arte, cartapesta, argilla… Ma lo si fa senza interrompere la vita quotidiana. Cerchiamo di dare loro le nostre conoscenze, ciò che ognuno di noi conosce meglio ed è in grado di trasmettere. Tutta la comunità è coinvolta, siamo padri e madri di tutti i bambini, la loro crescita e l’armonia dipendono da tutti. Se un padre o una madre sono stressati faranno ricadere anche sugli altri il loro umore ed allora il problema diventa di tutti. Comprendere queste cose e trovare gli strumenti per relazionarsi fa parte della crescita del gruppo, forgia la comunità, unisce nello spirito. I problemi materiali diventano secondari e si risolvono certamente se si riescono a risolvere quelli relazionali.
E’ lì che la comune si evolve, cresce, sperimenta, non c’è altro modo, poiché le dinamiche sono interpersonali, ed è importante la specificità di ognuno. Come il bambino, anche l’adulto ha la sua esperienza, il suo vissuto (…) per potercisi relazionare profondamente va accettato com’è per poi trasformare insieme quel che c’è di contorto, se possibile, piano, piano.
Quindi, ognuno di noi applica il proprio metodo, insegna quel che gli piace sapendo che gli altri hanno fiducia in lui-lei, ma sono anche vigili nello stesso tempo affinché non si infliggano al bambino punizioni che non si merita. Spesso il bambino non fa altro che dimostrare il suo disappunto quando non viene ascoltato e non viene preso in considerazione. Bisogna stare attenti a non scaricare su di lui il nostro stato d’animo, il nervosismo, la rabbia, il malessere di cui lui non ha colpa. In quel caso gli altri interverranno per farci capire la nostra proiezione e si relazioneranno con l’adulto con amore capendo il bambino ferito che c’è in lui, non mortificandolo a sua volta com’era stato da parte dei suoi genitori, o dalla maestra o autorità.
Quindi, la scuola è la vita, fa parte del processo di crescita, di presa di coscienza del rapporto non solo tra l’adulto e il bambino, ma tra l’individuo e l’intera società, da cui poi dipenderà il comportamento dell’individuo futuro (…). Abbiamo l’intelletto per questo, non per divorare gli altri, diventare aguzzini, carnefici o vittime impotenti. Per cui, se siamo concentrati sulla crescita equilibrata di mente-corpo-psiche e spirito, non avremo (e non avranno i nostri figli) paura di affrontare la società, non avremo (avranno) paura di affrontare il futuro perché saremo (saranno) coscienti delle nostre (loro) azioni (…).
Quale futuro per i nostri figli? Quello che loro vorranno. Sapranno farsi valere nella vita. Molta strada l’abbiamo già percorsa assieme, la nostra aspirazione è che vadano oltre. Un genitore può solo accompagnare il figlio fino a che lui non è sicuro di se stesso, poi lo deve lasciare andare per la sua strada. Deve sperimentare, deve sbagliare per poi capire e correggersi. Più cerchi di influenzarlo, più lui farà l’opposto di quel che desideri. Va lasciato libero di percorrere la sua strada, qualunque essa sia – bisogna accettarla.
Dudu, uno dei nostri figli, un giorno ci ha detto: “Voi ci avete insegnato l’amore, noi ce lo portiamo con noi ovunque andiamo”. Penso sia la cosa più bella che un genitore può sentirsi dire da un figlio.
Infine, cosa manca al Movimento per essere più presente e incisivo in questa società al pre-collasso?
Non sono un traumatologo che sa dare delle ricette per ogni male. Istintivamente mi viene da rispondere niente. Quello che possiamo fare facciamo. I risultati non si vedono immediatamente. Il problema della società che sta collassando è dovuto al sistema di vita basata sulla rapina e sullo sfruttamento delle risorse naturali ed umane. Ormai siamo giunti al termine, si è finalmente capito che questo porta all’autodistruzione. Quindi si sta formando una nuova coscienza, una nuova (antica) visione del mondo, della vita, delle relazioni, rispettosa di se stessi e dell’ambiente. Questa coscienza da sola è in grado di trasformare il mondo perché comporta proprio il cambiamento dello stile di vita, non più energivoro, che dissipa le risorse in nome di un benessere fittizio ed irresponsabile (e che ha come conseguenza un’alienazione sempre maggiore). Una nuova visione elastica, di interdipendenza di tutte le cose, nutrita dalla consapevolezza che le risorse sono limitate e dalla condivisione: siamo tutti uniti dallo stesso destino e siamo figli della stessa Madre Terra. Lei non ci appartiene, siamo noi che apparteniamo a lei.
La nuova rivoluzione è culturale, appartiene alla coscienza, è politica, ma non si fregia di alcun potere, è necessario che raggiunga le masse, ma che non diventi una moda. Come è stato per il biologico: all’inizio era solo espressione di alcuni visionari, poi è diventato patrimonio della maggioranza. Acquistando i prodotti biologici si è creata una tale richiesta da influenzare il mercato e la produzione, tant’è vero che oggi anche le multinazionali fanno il biologico, per questo ha perso il suo valore intrinseco, che era legato allo stretto rapporto con l’ambiente e quindi alle produzioni su piccola scala. Oggi, la stessa rivoluzione va fatta acquistando solo prodotti locali, direttamente dal produttore se possibile, per questo sono nati i gruppi di acquisto. La loro espansione produrrà il cambiamento sociale perché ci farà tornare al localismo e quindi alla coscienza del luogo in cui abitiamo e alle relazioni connesse.
Non si può essere alternativi solo a parole, è la pratica quotidiana di ogni singola persona che fa l’insieme, la società in cui viviamo. Non ci si può lamentare di come vanno avanti le cose, se poi con i nostri acquisti alimentiamo il sistema, ne siamo complici.
Questa rivoluzione non appartiene a nessun partito, a nessuna ideologia, poiché è patrimonio di tutta l’umanità, ed appartiene alla sfera intima di ogni persona, al suo rapporto con la natura, con la Madre e quindi può nascere solo dalla consapevolezza che a lei dobbiamo tutto e che dobbiamo esserle riconoscenti, amarla, rispettarla.
Bella intervista, avevo letto con interesse anche la prima parte. Sono davvero utopici questi elfi, ma molto concreti. Fanno quello che dicono.