Risparmia ora!!! (è conveniente)
di Helena Janeczek
Sensazione di una totale incomunicabilità che pagheremo in maniera devastante: forse non solo qui o in Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda.
Un programma mattutino della ARD, il primo canale tedesco, commenta lo scontro fra Hollande e Merkel. Il primo, spiega la moderatrice, sarebbe visto quasi come un messia da tutti coloro che preferirebbero spendere (ausgeben) anziché risparmiare (sparen), ma la cancelliera difenderà inflessibilmente la linea del risparmio.
L’inviato da Bruxelles ribadisce che dalla crisi del debito (Schuldenkrise), intesa come crisi del debito statale, non si verrebbe fuori altrimenti, e aggiunge pure che nei paesi dell’Eurozona, salvo in Germania, sarebbero aumentati i salari.
L’opinione dell’esperto è orientata e orientante, però dell’informazione complessiva non si può nemmeno dire che sia scorretta. Mostra servizi dalla Spagna e dalla Francia, intervista qualche manifestante “caxerolero”, uno studente parigino che chiede maggiori investimenti.
Il verme forse sta principalmente nelle parole, in ciò che implica il loro uso corrente in tedesco.
Non solo (come si è osservato molto spesso) Schulden – debiti- ha la stessa radice etimologica di Schuld – colpa -, ma soprattutto sparen è un termine connotato solo e esclusivamente in senso positivo.
I nostri corrispettivi come “austerity”, “rigore” o “sacrifici”, al confronto, risultano sostanzialmente più trasparenti. Alludono a un “male necessario”, ma non nascondono che sia dolorosa la sua messa in pratica.
Sparen, invece, suggerisce che ci si priva di qualcosa che possa ancora passare per superfluo, per tenere da parte i soldi e impiegarli meglio: non la “rinuncia” a lavoro, pensioni, istruzione, cure mediche – quindi futuro.
Anzi è proprio la parola dei volantini che reclamizzano le offerte, quelli intenti a convincerti che risparmiare, se cogli l’attimo, è conveniente.
Tutto questo passa per un uso della lingua che accomuna tutti i suoi parlanti – anche i pochi che in Germania criticano duramente la linea Merkel, devono farlo ricorrendo esattamente alle stesse parole, con il compito difficile di cambiarvi i connotati.
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Molto interessante. Non conosco il tedesco. Mi pare una bella riflessione sul potere simbolico della parola e della diversità del senso nella traduzione.
Ho sempre avuto tanta fiducia nel popolo tedesco, pensavo (penso?) che è un popolo capace d’imparare del proprio passato e dei propri errori…quindi spero, e lo spero davvero, che riflettano con calma su quello che vuole dire, per l’Europa tutta, la cecità della signora Merkel.
Davvero fulminante l’uso del volantino pubblicitario, complimenti Helena.
Infatti è la cosa che mi soddisfa di più :-)
A differenza della sig.ra Flores io sono piuttosto perplessa/preoccupata circa l’atteggiamento del popolo tedesco e ci sono due cose che non mi sono chiare (in verità non solo due…)
1- credo di ricordare che i tedeschi abbiano rinunciato al loro fortissimo marco per l’euro solo sa fonte della riunificare le due germanie -divise dopo le seconda guerra mondiale per un preciso motivo-, non certo perché credevano in una moneta unica e tanto meno in una unica Europa, diciamo che era il male minore a fronte di un loro vantaggio impagabile.
2- vero è che i vari test politici di questi ultimi anni (amministrative e quant’altro) hanno dato segnali di progressiva perdita di consensi della Merkel e del suo partito. Sono veramente pochi quelli “che in Germania criticano duramente la lina Merkel”?
Va poi ricordato che ancora a fine anni ’80 l’Italia era il paese (secondo solo al Giappone) con la più alta propensione al risparmio delle famiglie.
In questo caso “risparmio” (e non austerity, rigore o sacrifici) aveva una connotazione positiva: significava investimento per un maggior benessere per il “gruppo famigliare”, possibilità per i figli di accedere a ceti sociali migliori tramite lo studio o con attività artigianali/imprenditoriali.
Questo per dire che quello per cui i tedeschi (o solamente la Merkel?) vorrebbero punirci non è un “vizio” degli italiani, ma una stortura nella capacità di gestione della spesa pubblica italiana da parte di chi, negli ultimi 30-40 anni ci ha governato. Governi peraltro eletti democraticamente dalla popolazione italiana, cioè noi… e allora forse è comprensibile che i tedeschi siano preoccupati dal nostro atteggiamento? Sono veramente confusa.
Parlare di “popolo” è sempre un rischio che vorrei provare di evitare.
Da un lato credo che la maggioranza dei tedeschi vorrebbe una regolamentazione più severa della finanza, tasse più alte per i ricchi, tolleranza zero per l’evasione e cose simili.
Ma, al contempo, vedono l’intransigenza della Merkel come una difesa contro il dover essere loro, semplici cittadini, a sborsare i quattrini per gli stati indebitati, senza nessuna garanzia a cui vanno in tasca.
Gli hanno, per esempio, spiegato il livello di corruzione e miseria della classe politica in Grecia e in Italia. E ovviamente il fatto che qui si abbia avuto per quasi un ventennio alla guida un personaggio come Berlusconi, non depone a favore dell’Italia.
Ma il problema che volevo additare è un’altro. E’ quello dell’informazione. Le dinamiche della crisi iniziata nel 2008 e del suo propagarsi all’Europa sono complesse. Alla loro origine, per esempio, non sta il debito pubblico, ma il debito privato (tradotto in titoli tossici). Che è stato, per dire, anche il vulnus della Spagna.
Ma l’informazione mainstream tedesca (come anche la nostra, solo che noi siamo più smaliziati, credo, a saperla sostanzialmente più filogovernativa che oggettiva) da per scontato che il nocciolo del problema sia il debito degli stati e questo lo fa attraverso un termine neutro come “crisi del debito”.
Il linguaggio del potere tende a forgiare eufemismi: “flessibilità in uscita”, “esuberi” e così via.
Quando questi, però, hanno la forma di parole normalissime, affabilmente collocate dentro l’uso comune di una lingua, veicoli elementari della cultura che trasmettono, diventa davvero difficile il discernimento critico.
Curiosità: in dialetto mantovano (quello della mia città) “risparmiare” si dice “sparàr”.
Non ho i dizionari a portata di mano, mi pare che l’etimologia sia altotedesca ed abbia anche un significato di graziare, non distruggere, risparmiare (la vita).
A Napoli: “sparagna e cumparisci”, cioé fai un figurone con poca spesa.
Il DWDS riporta la forma sparōn, attestata nell’ottavo secolo nel significato di “non consumare per intero, non spendere tutto il denaro”. Il significato di graziare, vedi l’inglese to spare, è presente nella forma Mittelhochdeutsch sparn, attestata nel decimo secolo.
pezzo e commenti molto acuti. tra l’altro rimette in gioco la questione: a chi sta parlando merkel con il suo discorso sul debito, con quello specifico e orientato discorso sul debito? e si capisce che non è semplicemente l’espressione di un capitale finanziario forte e strutturato ma anche di una specie di nazionalismo fiscale, per così dire, quindi con basi molto salde nella popolazione.
è pure vero, com’è stato segnalato, che quelle basi evidentemente si stanno erodendo ma sarebbe interessante capire per quale motivo. per troppo “risparmio” o per non abbastanza “risparmio”? non è una domanda retorica perché non saprei dare una risposta.
in effetti, vale il discorso del nazionalismo fiscale di cui sopra ma anche che comunque il collasso di mercati come quelli greco e spagnolo per l’industria (non la finanza) tedesca non sarebbe proprio una buona notizia. se i greci uscissero dall’euro con la loro bella dracma svalutata quante lavatrici siemens (ditta che per altro corrompeva i politici greci) si fermerebbero nei magazzini, quanti disoccupati tedeschi inizierebbero a cambiare le statistiche?
concordo con l’ultimo commento di Gherardo Bortolotti, anzi aggiungo che ci voleva anche una riflessione per così dire “dall’interno” del sistema di simboli e di segni tedesco in cui l’icona dello “Sparen” ha un valore centrale, come giustamente sottolinea Helena Janeczek nel suo bel contributo. Anzi aggiungo, siccome quel mondo lo conosco bene per averlo studiato, averci vissuto a lungo e probabilmente perché ci tornerò: mi pare che i tedeschi abbiano un rapporto malato non con il debito (come noi italiani), che è anzi calvinisticamente e luteranamente aborrito, ma con lo Sparen – malato appunto, perché ad esempio alcuni anni fa – prima della crisi, per intenderci – si era sviluppato un dibattito sulla stampa tedesca incentrato proprio sull’eccessiva indole al risparmio dei tedeschi, che non facevano muovere l’economia a sufficienza. Il che è vero, tantopiú oggi – salvo poi (e qui dice bene Bortolotti parlando di “nazionalismo fiscale”) andare a scialacquare la propria pensione a Maiorca – che come è noto`è un po’ il diciassettesimo Land della Repubblica Federale -, come fanno molti “Senioren” – che sono una categoria sociologica e merceologica potentissima in Germania.
Insomma: a voler tracciare una sorta di psicogramma simbolico della lingua e della cultura – come mi sembra faccia Helena Janeczek – occorre registrare come la patologia del risparmio sia profondamente connaturata all’identità tedesca (e in questo senso la Merkel mi pare un frutto, e non una causa di tale apparato simbolico), mentre quella del debito – slegato però cattolicamente dal suo nesso con la colpa – consustanziale all’identitá italiana.
Ieri la TAZ riferiva di come SPD e Verdi stiano cercando di modificare la linea Merkel. La parola che sintetizza l’attacco da sinistra à “Spardiktatur” – dittatura del risparmio.
Mi sembra che questo neologisno confermi la mia ipotesi. Per smontare una politica fondata sul senso comune, tocca stravolgere la connotazione del termine che lo riassume facendolo cortocircuitare con uno totalmente negativo.
Resta il problema che ciò che viene imposto – soprattutto nei paesi periferici – non è risparmio, ma riduzione di diritti.
Strettamente non si tratta di un neologismo, visto che la Germania l’esperienza con la figura dello Spardiktator, come veniva chiamato il Reichskomissar für die Vereinfachung (Se lo sapesse Calderoli…) und Vereinheitlichung der Reichsverwaltung, l’ha già avuta.
Grazie! Ma dato che si torna agli anni della Repubblica di Weimar, i corsi e ricorsi della storia si fanno sempre più sinistramente significativi.
A me è capitato di leggere il blog della faz, che è un giornale di destra, e il clima è quello che dice Helena. Sottolineo un’altra cosa importante che lei afferma e che in Italia non è forse compresa in tutto il suo peso: i tedeschi hanno sostanzialmente fiducia nei loro media. Questo fatto, unito alla forma mentis nordica di ignorare tutte le obiezioni a cui non si è in grado di rispondere, mi induce a essere scettico sul successo di posizioni politiche alternative. A Gherardo vorrei dire che credo che il calcolo fatto dalla Merkel e dalla Bundesbank sia di sostituire i mercati del sud europa con quello cinese e indiano. E’ un calcolo lungimirante? Non lo so, ma penso che la Germania federale europeista sia acqua passata ormai.
C’è però un particolare che rende impossibile la sostituzione che lei ipotizza: i paesi del mediterraneo sono per la Germania i propri mercati di esportazione, mentre India e Cina sono mercati di importazione, e quindi non si capisce come avverrebbe tale sostituzione.
in realtà, già oggi la Germania importa tantissimo dai BRICS, e così c’è chi descrive il funzionamento dell’economia tedesca, come di transito tra BRICS e PIGS, almeno dal punto di vista della bilancia commerciale, perchè certamente si tratta di merci scambiate differenti nei due casi.
Non ho affermato che il calcolo dei dirigenti tedeschi sia giusto, ma mi sembra la linea strategica lungo cui si muovono. Sul piano politico un aspetto di cui si deve tenere conto è anche in che percentuale il disavanzo tedesco con i bric sia formato da merci prodotte da aziende tedesche delocalizzate perchè in questo caso il disavanzo del paese non coinciderebbe con un disavanzo effettivo dei capitali privati che si trovano in Germania. Siccome ignoro questo dato, finisco qui, ma naturalmente mi auguro che abbia ragione lei perchè in questo caso la Germania sarebbe ancora a una prospettiva europeista.
@Vincenzo, a proposito del fatto che la Germania esporti soprattutto verso i paesi UE: la situazione potrebbe essere lì lì per cambiare: ad Apr 2012, il 41.5 delle esportazioni tedesche avveniva verso paesi non-UE. A causa della crisi quindi, la Germania si starebbe persino affrancando dallo scudo europeo.
L’assunzione “la Germania esporta quasi tutto in area UE” potrebbe già essere messa in discussione il prossimo semestre, inaugurando così un nuovo cambio di paradigma economico grazie al quale l’Euro potrebbe, in linea di principio e puramente teorica, essere ceduto, avendo adempiuto al suo compito di scudo anti-crisi e di incubatrice di una rinata ueber-economia.
Qui la fonte: http://mefite.ice.it/CENWeb/ICE/News/ICENews.aspx?cod=29392&Paese=4&idPaese=4
Sono andato al link indicato, e mi pare si confermi che la Germania riesce a sostituire i paesi mediterranei cone destinatari delle sue esportazioni, ma quasi esclusivamente con USA, Canada e Giappone (non ci sono dati disaggregati per il sud america che sembra anch’esso importare di più).
Rimane così quel dato strutturale di una forte competittività tra i paesi più sviluppati, e le difficoltà invece a riequilibrare le bilance commerciali verso i paesi BRICS.
In questa situazione, la Germania ha ancora bisogno di “fregare” i paesi che più le somigliano, cosa che ha fatto del resto sistematicamente in questi anni di euro col tasso inflattivo, e di cui si parla poco o niente sulla stampa.
La zona euro, ai fini di mantenere una situazione omogenea al suo interno, ha imposto ai propri paesi un tasso d’inflazione del 2%, che sostanzialmente tutti i paesi hanno mantenuto, tranne appunto la germania che ha avuto un tasso significativamente inferiore, prossimo all’1%, e così ha guadagnato in competitività. Se tutti avessero fatto lo stesso, negli anni passati si sarebbe scatenata una grave deflazione, e quindi la germania ha giocato sporco, questo è un fatto.
Aspettiamo la prossima puntata della telenovela greca, il 16 Giugno.
Siccome il voto sarà di tipo radicale come sta succedendo un po’ dovunque in EU, gli stati membri dovranno preparare un paracadute nel caso in cui le cose sfuggano di mano ai Greci. Gli Eurobond sono fuori questione: troppo costosi per la Germania, che vuole prima vedere i bilanci chiudere perlomeno a zero. I projects bonds non hanno sufficiente forza d’impatto: van bene per la crescita, non per tamponare le banche al collasso. Visto che vige la logica secondo la quale cavallo che vince non si cambia, la soluzione più probabile e meno fantasiosa potrebbe essere – potrebbe – quella di un intervento congiunto delle banche centrali, FED e BCE, che potrebbero offrire ancora qualche trillione alle banche all’1% o allo 0%, sperando di stabilizzare gli istituti di credito prima delle elezioni greche. Quanto alla Grecia, l’intervento franco di Monti ieri ha chiarito la sua situazione una volta per tutte.
Comincia il conto alla rovescia: tic-tac, tic-tac, tic-tac…