Perché la Gazzetta dello Sport?
di Darien Levani
Se stai passeggiano per la tua città ci vedi dal solito bar ci vedrai forse gridare ad alta voce. Saremmo in quattro o cinque giovani, presumibilmente studenti ma fuori corso o presumibilmente operai ma irregolari. Distanti nella nostra lingua che non ti è stato concesso di capire.
E se, imprudente come sei, come lo sei sempre stato prendi posto nel tavolo accanto forse capirai un paio di parole nel caos di Babele. Staremmo commentando la Gazzetta dello Sport, sì. Magari staremmo aspettando il nostro turno per leggerla, sfogliano con indifferenza altri giornali, diffidando della politica e della cronaca. A suo modo è un rito e oggi mi sembra di averci capito qualcosa. Quei giorni passate a chiedermi Perché la Gazzetta dello Sport? finalmente hanno una risposta molto molto semplice.
Perché la Gazzetta è diversa. E non perché parla di calcio ma perché è proprio diversa. La Gazzetta ci tratta in un’altro modo, come uomini e donne libere ed eguali. È l’unico spazio dove un nigeriano non cerca di venderti oggetti inutili ma segna e trascina la sua squadra verso la salvezza o verso la Champion’s League. È l’unico spazio dove un ghanese albanese rom romeno serbo ucraino brasiliano bulgaro non spaccia ruba delinque. Vai a capire il secreto del calcio che quando non divide e non lede con spranghe di ferro e con cori razzisti, unisce come dovrebbe sempre fare. E al momento non riesco proprio a pensare a qualcosa di più bello che ad una squadra composta da più nazionalità che soffre, vince o perde insieme.
Sarà per questo che sì, la Gazzetta dello Sport va bene.
Certo, se proprio volete tornare alla retorica, si potrebbe dire che rubano il lavoro agli calciatori italiani. Certo, si potrebbe, ma non fatelo, non questa volta.
[da La Gazzetta dello Sport – tutto il rosa della vita del 29.10.2008 ]
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La gazzetta dello sport, anche mio fratello conosce, ma non lo legge, perché non parla italiano. Ha una bella reputazione all’estero.
Si vede la vita in rosa, quando vai cercare il giornale, è un rito come il caffè. Il calcio unisce gli uomini in una voce amichevole; è un universo a parte, che non conoscero mai.
L’immagine mi piace, perché il roso ( colore della bimba) incontra la gazzetta dello sport.
Il calcio, dolcezza della vita? Forse un padre con la bimba in grembo leggerà il giornale.
Quando i padri impareranno a loro figlia i segreti del calcio?
La gazzetta dello sport non è un giornale. E questa retorica è più penosa ancora. Non a caso è l’unico giornale italiano a godere di ‘una bella reputazione all’estero’. Non parlando di nulla, ma comunque facendolo in questi toni, è di sicuro più attendibile de La padania o di Repubblica. ‘la gazzeta ci tratta da uomini e donne liberi’. Oh, oh, questa è bella.
Fussbal macht frei.
A me pare che Darien abbia scritto una cosa bella e simpatica. Io non leggo mai la gazzetta, perché non mi interessa il calcio, ma credo di cogliere il punto di Darien, non mi sembra pura retorica.
(Forse “sfogliano” sta per “sfogliando”?)
Forse uno, ogni tanto, esprime ciò che sente.
E può non coincendere con ciò che un altro ha pensato.
Ma uno ha sentito e l’altro ha pensato.
coincidere
rosa
colore stucchevole e dolce come lo zucchero filato
che i bambini desiderano per impiastricciarsi le mani e la bocca
come in una bellissima giostra illuminata dove
“un ghanese albanese rom romeno serbo ucraino brasiliano bulgaro non spaccia ruba delinque”
perchè fanno parte di quella giostra luccicante e seducente
e non di un ghetto o di un campo nomadi
dove la vita è meno illuminata e i colori sbiadiscono e si mescolano
riflettendosi nel fango delle pozzanghere e della miseria
e il rosa non può più essere rosa e vira al marrone
e gli emarginati tornano ad essere emarginati
loschi figuri della penombra
quando le luci dei nostri sogni non li illuminano più
ancora una volta diversi da noi
nemici
forse solo sconosciuti
*
poi volendo c’è lo sport…..
Lo sport è il posto, uno degli ultimi rimasti, dove il merito è riconosciuto. Per questo la Gazzetta dello Sport è un giornale diverso dagli altri.
Poi sì, anche nello sport c’è il doping, c’è chi ruba, c’è chi toglie il posto in squadra al campione per darlo al figlioccio. Sì, anche in quel posto le cose non sono perfette.
Però.
Però – oggi come oggi, soprattutto in Italia – lo sport è l’ambito dove chi ha un valore e un talento può avere prospettive di esprimerlo. A prescindere dal colore della pelle, dal timbro sul passaporto, dalla parte politica per cui fa il tifo.
Questo è un valore.
Questo è un valore (???). E questa è nazione indiana?
Non ho mai letto un giornale di calcio. Ma ho sempre avuto uno sguardo divertito, quando il fratello si leggeva il giornale ” l’équipe” o rivista di calcio e quando ero a casa natale, la domenica era l’appuntamento TV del calcio per il fratello.
Il mio primo amore amava il calcio tanto che mi aveva invitata a vedere una partita con lui. Mi rammento solo l’ambiente, i canti, ma devo dire che non ho capito per la prima volta le rigole.
@giovanni.
io penso che il pezzo di Darien abbia il grande pregio di ribaltare un punto di vista e una idea sui capannelli di non-italiani al bar. semplicemente. che importa se passa per la gazzetta, per il corriere della sera, per il giornalino della parrocchia? o importa?
un pezzo al contempo dolce e triste; se solo la “gazza” riesce a consolare così. lo dico da “barfly”, da frequentatore di bar dove spesso gli stranieri sono la maggioranza.
poi se Nazione Indiana deve parlare solo di gente che “la fa rosa” – a proposito del colore del “foglio” in questione, fatelo sapere ai redattori magari con una bella lettera aperta.
questo pezzo tratta senza pretese letterarie di vita. e comunque, è la vita che crea la letteratura, non il contrario.
Amo il tuo commento, Franz.
Momenti di vita.
Bè sulla Gazzetta dello Sport non si parla solo di calcio. Quando mi capita al bar dove faccio colazione la leggiamo in gruppetto commentando il rugby, la corsa, nuoto e atletica e anche l’oroscopo. Poi ci sono gli editoriali interessanti… Insomma è un bel quotidiano. Ha ragione Franz. In questi tempi mi scopro a sentirmi consolata da queste piccole cose ed è sensazione strana.
Pienamente d’accordo con Franz.
Mi pare che certo “puritanesimo” da malintesa acculturazione, sia più che altro il vizio di chi pensa che la “cultura” debba rendere superiori rispetto a certe cose. Ma questo solo perchè si tende ad affermare la propria superiorità sugli altri.
Non è affatto una questione di ‘cultura’. Sai che palle se si potesse leggere solo Internazionale o Le monde diplomatique. E’ l’insopportabile retorica dolciastra (o eroica, a seconda dei casi) della gazzetta, in questo pezzo puntualmente riproposta. Il momento di vita, la bellezza dell’aggregazione, la magia dell’incontro, le piccole cose e volemose bene. Prendere lo sport a misura dell’integrazione o della democrazia o della libertà è semplicemente una cosa ridicola. Lo dico da appassionato di calcio, sia inteso. La malintesa acculturazione poi, soldato blu, tienitela per te, per carità.
E’ vero, lo sport unifica, crea legami – ricordo, quando sono andato nelle sperdutissime campagne cerignolesi, tra i braccianti sotto-sottoproletari africani, parlando con un ghanese per spiegargli dove abitavo gli menzionai Pisa – e lui Ah sì, l’ho letta sul Totocalcio. E puntualmente mi buttò lì il nome di qualche giocatore (se non sbaglio, Totti e Gattuso). E questa è una verità. Dunque è bene “svelare” questo: che quei rumeni al bar non stanno parlando di dove compiere il prossimo furto, ma di calcio.
Ma. E’ una parte di verità. Che senza il suo rovescio diventa una falsità. Qui il rovescio non c’è. E il rovescio è lo sport divenuto business multinazionale, il calciatore-starlette e via discorrendo – tutto questo viene occultato dalla retorica gazzettiera del “volemose bene e della magia dell’incontro” – che in questo pezzo (del resto pubblicato sulla stessa Gazzetta come propria autocelebrazione)viene mimeticamente rappresentata. Viene rappresentata in due frasi:
“Perché la Gazzetta è diversa. E non perché parla di calcio ma perché è proprio diversa. La Gazzetta ci tratta in un’altro modo, come uomini e donne libere ed eguali.” Ora, questa è o non è una retorica da slogan pubblicitario? Lo è eccome. Il prodotto commerciale Gazzetta (gruppo Rcs, punto di snodo di molteplici, enormi interessi) diventa il soggetto sacro che dispensa libertà e uguaglianza. Altro che feticismo della merce… E’ qui a mio parere il passaggio che rende questo pezzo falso, e converte la verità enunciata fin lì in una “spettacolare” falsità.
Peraltro anche dire: “È l’unico spazio dove un ghanese albanese rom romeno serbo ucraino brasiliano bulgaro non spaccia ruba delinque.” – a rigor di logica significa che negli altri spazi tutta questa gente spaccia ruba delinque…
Infatti. Per la Gazzetta, scriveva giustamente Tiziano Scarpa, il mondo è semplicemente ‘non pervenuto’…
Da non lettore della Gazzetta dello Sport e indifferente al calcio:
Sentire e pensare.
Il problema che mi sono posto [non mi piace il calcio e non ho mai comprato né letto la Gazzetta] è questo:
Chi è Darien Levani e perchè scrive queste cose. E’ sincero ed esprime qualcosa di collettivo o è un venduto e la cosa se l’è immaginata lui?
Insomma quello è un’articolo “vero”?
E quindi: la risposta di alcuni è sdolcinatura o solidarietà?
Oppure: ti sei venduto o ti sei fatto usare.
Quindi noi, ora, ti diciamo come si pensa in questo paese.
Noi che sappiamo come distiguere il colori, perchè gli altri sono fessi come te e non sanno che dandoti retta fanno il gioco del grande capitale.
‘Quindi noi, ora, ti diciamo come si pensa in questo paese.
Noi che sappiamo come distiguere il colori, perchè gli altri sono fessi come te e non sanno che dandoti retta fanno il gioco del grande capitale.’
Scusa, ma sono io ad avere dei problemi o questa frase non vuol dire niente?
@ Jan – sottoscrivo. Però poi c’è il rovescio di cui dicevo. Per essere ancora più chiaro: Se al posto di Gazzetta, in quella frase su libertà e uguaglianza, ci metti Coca-Cola o McDonald’s, verai che funziona lo stesso. Del resto il denaro produce equivalenza. Rende scambiabili e interscambiabili le cose. Dunque produce l’illusione di libertà e uguaglianza. Che però sono un’altra cosa.
@soldato blu – a me non interessa, qui, chi sai Darien Levani. Posso sospettare che sia una persona per molte cose a me affine, come impeto nei confronti del mondo. E non credo per nulla che si sia fatto usare. Solo che capita a tutti usare lemmi, espressioni, retoriche inappropriate – la cui connotazione risulta farci dire cose diverse da quelle che intendevamo. Ed è quello che a me pare sia accaduto nel testo.
Quando non c’era nessun commento, stavo per scrivere qualcosa di molto simile a quanto detto da Marco Rovelli. Mi sono trattenuto pensando al fatto che potesse sfuggirmi quel quid di ironia capace di ribaltare (criticamente) il dato superficiale, l’impatto melenso. E invece no: solo un pezzo retorico, sdolcinato, da slogan pubblicitario, e (nemmeno tanto subliminalmente: anzi, scopertamente) razzista.
Nel complesso: ridicolo.
fm
Sullo ‘scopertamente razzista’ ci andrei piano perché credo che sia semplicemente un retro-pensiero dei gazzettieri: qui c’è il bello, il buono, il sano, l’aggregazione che aiuta tutti ad essere più corretti e sportivi e morali. Sul fatto che sia ridicolo, lo ribadisco anch’io. Ed è semplicemente assurdo che NI posti un pezzo del genere. E ora, via con le teorie sui rapporti occulti NI/RCS… ;-)
Barzelletta.
Due amici al bar parlottano tra loro.
-“Ma che diavolo ci vai fare in Romania? Lì sono tutti o delinquenti o calciatori?”.
-“Veramente vado a trovare mia moglie”
-“Ah!.. e in che ruolo gioca?”
@ Giovanni
“La Gazzetta (…) È l’unico spazio dove un nigeriano non cerca di venderti oggetti inutili (…) È l’unico spazio dove un ghanese albanese rom romeno serbo ucraino brasiliano bulgaro non spaccia ruba delinque.”
p.s.
Il mio commento (voleva) inquadra(re) solo il testo. Che è questo…
fm
@ francesco marotta
Avevo capito il senso in cui lo intenevi, ma ribadisco i miei dubbi. Quella frase io la intendo come: ‘tutti gli altri quotidiani cattivoni ogni volta che parlano di uno straniero è per metterlo nel calderone dei delinquenti. Noi, invece, che siamo virtuosi, morali e sportivi, guardiamo agli uomini come ad una comunità di liberi e uguali ecc. ecc.’ Questo è ciò che definivo retro-pensiero, e che trovo – oltre che concettualmente rivoltante – pericoloso, stupido e infantile. Mi risuona nelle orecchie il grido ‘abbracciamoci forte e vogliamoci tanto bene’. Cristo santo che tristezza.
“La Gazzetta ci tratta in un’altro modo, come uomini e donne libere ed eguali”
Per forza, è nella natura stessa della funzione del giornale, è l’oggetto stesso della notizia riportata che non possono essere intesi altrimenti che in superficie.
Se scriviamo: “Vasca da bagno” al posto di Gazzetta è la stessa cosa.
A proposito di sport, chi l’ha praticato o lo pratica a livello agonistico apprezza la sua valenza benefica a livello di tolleranza e integrazione razziale, etnica – oltre che a livello psico-fisico, naturalmente. Che non avviene tramite il rosa del giornale, ma attraverso il comune perseguimento di scopi che l’atleta si prefigge. Estrazioni sociali, pregiudizi individuali, differenze culturali e tutti i coefficienti che concorrono a variare ed alimentare i gradi della deviata e deviante logica dell’intolleranza, magari non sono estranei, ma circoscritti sì, non espansi, non generalizzati nell’agonismo sportivo. Carta di identità comune agli atleti agonisti è costituita dall’allenamento. E’ la corrispondenza di sacrifici e di fatiche cui si sottopongono, uguale di principio per tutti, variabilissima per sport e per individuo, che, consentitemi l’espressione, pregiudica i pregiudizi. Sul campo gara, poi, l’identità ha il rovescio della medaglia nella rivalità sportiva. All’intolleranza razziale, nella mente dell’atleta concentrato sull’insieme dei gesti sportivi da compiere, è sottratto ogni spazio.
Il resto, raccontato da chi lo sport se lo gode in poltrona su schermo da 42′, sò piacevoli chiacchiere da bar e/o partite a calcetto del venerdì, giusto per fare un po’ di movimento. Di lingua e di gamba.
Personalmente ho sempre preferito Tuttosport, quella testata un po’ sbilenca e futurista, il suo essere vagamente aliena, né Roma né Milano, un altrove dove tutto diventa possibile, anche le imprese più difficili i record improbabili. Minoritaria diversità ammantata di fascino, infantile incantamento che mi ha sempre fatto sembrare gli scontri tra tifosi un po’ più dolci, e perfino le miserie dello sport più accettabili, quasi epiche, se non proprio etiche, nascondendone lo sporco inevitabile. Tuttosport riempie i pensieri, Moggi come ieri.
Per quanto abbia preso bastonate ben meritate – a causa di una certa semplicità dei concetti da cui partivo e quindi della semplificzione esibita nei miei commenti – continuo a dichiararmi non convinto da quanto alcuni affermano con una convinzione che a me pare “fuori luogo”.
E siccome non sono abituato a farmi da parte, ritento.
Se si dicesse: qua non si tratta né di rosagazzetta né di sport.
Qua si tratta d’integrazione.
Non è che, detto questo, mi è tutto chiaro. Anzi.
Ma è che chi ha scritto l’articolo – per quello mi chiedevo chi è Darien Levani – ha scritto l’articolo per parlare di quella. Poi a posto della Gazzetta ci poteva essere una vasca da bagno – per lui, non per noi – e la cosa avrebbe funzionato lo stesso.
Se a qualcuno gli viene il mal di pancia davanti a certe ritualità della società capitalistica che irretiscono i dannati della terra, distogliendoli dai giusti modi di lotta contro la società che li rende dannati, o impedendogli di scegliere i giusti alleati che insegneranno loro a lottare nel modo giusto, ebbene si chieda che cazzo gliene fotte, a loro, di lottare se quelli – la cosa che vogliono – se la vedono promettere e un poco dare proprio da quelli.
Dite agli africani che mangiano – immagino con gusto e soddisfazione – gli alimenti scaduti che i nostri cari governanti mandano come aiuti, che si rifiutino di mangiarli!
E la “malintesa acculturazione” proprio questo voleva dire: non riuscire a individuare il cambio di contesto in cui una cosa deve essere analizzata.
I maestrini che vogliono insegnare agli altri che il cielo è blu, e rimproverano a N.I. di avere pubblicato un articolo di un extra.comunitario [se è un extra.comunitario] assumono lo stesso atteggiamento di quelli che un extra.comunitario non lo farebbero sedere al proprio tavolo, perché usa male le posate.
Soldato blu, come nei commenti precedenti è evidente, permettimelo, che non stai capendo assolutamente nulla della discussione. Non ho idea di chi sia l’autore dell’articolo (ci penso ora e in effetti potrebbe essere albanese) e non mi importa. Se non fosse maleducato ti manderei a quel paese per la tua idiozia. Ops, l’ho già fatto…
Mi sembra che questo pezzo usi l’espediente retorico di idealizzare la Gazzetta non soltanto per dire che lo sport è uno strumento di integrazione, ma soprattutto per gettare implicitamente un cono d’ombra sulla realtà che per un immigrato è esattamente il contrario di quel mondo roseo artificiale. Poi si possono fare tutte le più sacrosante critiche al calcio e alla gazzetta, ma qui non è questo il punto.
Perdonami, Helena, sarà sicuramente un mio limite, ma non trovo, nel testo, nessun elemento che mi invogli a una lettura “altra”. E parlo del testo “in sé”. Di fronte a una pagina scritta (e ribadisco: è *solo* di quella che parlo), perché dovrei essere tenuto a conoscere – mettiamo – i “trascorsi” dell’autore, per farmi un’idea mia, fosse anche sbagliata, di quello che leggo?
E aggiungo che, per quanto mi riguarda, “criticare” un pezzo non significa mettere in discussione la “politica” (leggasi: scelte, opzioni, gusti e intenzioni dei redattori) del blog o imporre “indirizzi”. Me ne guardo bene: e tengo molto a una delle poche “cose” vive della rete.
Salud y saludos.
fm
“””In Italia, per essere chiamati sportivi, basta riempire la schedina del totocalcio il sabato sera. In altri tempi, dire «E’ uno sportivo» significava: « E’ uno che pratica lo sport». Ora invece, a dar retta a molti giornali e ai discorsi di molta gente, fra un atleta che corre la maratona di quarantadue chilometri e un sessantenne con la pancia che la domenica va allo stadio a gridare «Arbitro, gli occhiali!», non c’è alcuna differenza: sono sportivi tutti e due.””””
Totò Bruno, febbraio 1960, il più grande giornalista sportivo di tutti i tempi! :))))))
Per quanto mi riguarda non c’era minimamente bisogno di specificare il secondo punto. E poi può pure capitare che qualcuno trovi brutto un testo, perché no.
Poi a te questo pezzo fa schifo e a me non dispiace…ce ne faremo una ragione, no?
E se fosse “la discussione” che non sta capendo niente di Darien Levani?
E se fosse che a me non me ne fotte niente di quello che pensano certi
commentatori sullo sport, sul calcio e sulla Gazzetta?
Anzi, perché non me ne fotte niente dello sport, del calcio e della Gazzetta.
Altrimenti leggerei la Gazzetta, oppure Tuttosport, e non sarei su Nazione Indiana.
Che sono interessato a questo soltanto perché un extra.comunitario
fa balenare l’idea che l’integrazione, talvolta, si può mettere in moto in terreni e con forme assolutamente inaspettate.
E che, piuttosto che volontariato paternalistico, sia più utile, talvolta, vista lunga e sano pragmatismo che “coglie l’occasione” sui visi e nei comportamenti di chi non “deve essere integrato” ma favorito nell’integrazione così com’è. Completo.
Ce la siamo già fatta, una ragione. E’ la cosa più facile che esiste. In certi casi, basta soffermarsi un attimo sul “tono” delle risposte.
fm
Sai che non capisco l’ultima tua frase.
Helena, io invece credo che sia anche quello il punto. E lo è nella misura che ho specificato (mi riferisco a un commento che ho scritto più sopra) – proprio per ragioni lessicali e sintattiche.
Quanto a Darien Levani, ripeto, non so chi sia. Io ho a che fare col suo testo. Mettiamo pure che fosse un immigrato. E dunque? Questo non cambierebbe la valutazione sul testo, per quanto mi riguarda (torno a dire, i due punti che ho specificato) – si potrebbe dire che l’errore (concettuale) è quello di fare di un particolare (l’esperienza di integrazione che esperisce quotidianamente, e dunque il calcio – anche quello solo parlato – come effettiva possibilità d’integrazione) un universale (il feticismo della merce di cui dicevo). Insomma, questo pezzo dice un fatto verissimo in una maniera a mio parere distorta, tutto qui.
io ho percepito questo articolo artificioso, se in buona fede sintetico e semplicistico.
non solo una volontaria della domenica, provo solo ad affinare l’ascolto e lasciare le porte aperte.
l’ho fatto qualche anno fa con S, un ganese (terra piena di diamanti) clandestino che sedeva alla nostra tavola e dormiva sotto lo stesso tetto aspettando tempi migliori (i fantomatici flussi che altri avevano promesso), e quando si offriva di apperecchiere la tavola ne avrei fatto quadri per come disponeva le posate, ogni volta una fantasia diversa…e poi, abbiamo anche mangiato con le mani, cosa che adoro fare.
e poi, passato l’inverno, se n’è andato, il suo cappelo di lana sempre calato sugli occhi a riscaldarlo in una terra molto più fredda della sua. spero che la vita gli sia stata amica!
non parlo di sport, anche se mi sta a cuore e non ho neanche un paio di pantofole, e neanche della gazzetta, solo di lasciare una porta aperta, e poi spalancarla se la cucina altrui diventa insopportabile all’olfatto :) ma poi il cibo può dividere o unire, e i sapori e gli odori sconosciuti arricchire.
secondo me S. la gazzetta non l’ha mai vista. chissà, magari se l’avesse letta la vita gli sarebbe stata più lieve?
Helena, purtroppo nel commento precedente è saltato un “@…” (che non mi va di replicare).
Niente di che, comunque. Ciao.
fm
Quanto al tono, l'”idiota” rispedisce l’@ al mittente.
E riparte, ancora una volta, per chiarire/rsi.
Riproponendo il suo primo intervento:
“Forse uno, ogni tanto, esprime ciò che sente.
E può non coincidere con quello che un altro ha pensato.
Ma uno ha sentito e l’altro ha pensato.”
Quindi: esperienza o testo?
Io cercavo di proiettarmi nell’esperienza di un extra.comunitario.
Se è una “vera” esperienza, non può essere un'”esperienza sbagliata”.
Non si può dire: tu non “senti” così.
Si può dire, se uno lo pensa: sospetto che non sia vero.
Poi, può essere “sbagliato” il modo di comunicarla.
Se è sbagliato il modo di comunicarla, l’esperienza, rimane comunque vera per l’extra.comunitario che l’ha fatta e per gli altri che ne sentono
parlare.
A meno che non si volesse presentare, anche inventandolo – perché no? –
un testo letterario per Nazione Indiana. Allora sì: cartellino rosso e espulsione.
Non ci resta che scegliere, non ci resta che piangere.