Blog e letteratura

di Gherardo Bortolotti

Vorrei fissare alcuni appunti che, mi sembra, potrebbero servire da base per una discussione sulla letteratura on line e, più specificatamente, sulla letteratura ed i blog.

Un blog, in poche parole, è una pagina web che viene sistematicamente aggiornata con nuovi contenuti. Il visitatore di un blog, quando arriva sulla pagina, vede in testa alla stessa l’ultimo contributo inserito, mentre i precedenti sono disposti sotto, in ordine inverso di apparizione. I contributi, o post, sono in genere testuali anche se possono presentare video, audio in file o in streaming, immagini e così via.Ogni post è indicizzato per data, cioè è legato al momento in cui è apparso on line. Inoltre, i post possono essere indicizzati per mezzo di tag, piccole espressioni in linguaggio naturale che cercano di dare conto del contenuto del post (per esempio, il post che recensisce un libro di fantascienza sarà taggato con “recensione”, “fantascienza”, il nome dell’autore, il titolo del libro e così via).I post, poi, prevedono uno spazio per i commenti, cioè un luogo in cui i visitatori possono dare un feedback immediato rispetto al contenuto proposto o rispetto ad altro. Infine, un blog presenta in genere una colonna dedicata ai link verso altri blog o, comunque, verso altre risorse on line – il cosiddetto blogroll.

Questo, diciamo, è l’esterno di un blog, quello che vede il visitatore. Il gestore del blog, cioè il blogger, vede le stesse cose ed in più ha accesso ad un’interfaccia di gestione. Questa interfaccia (il back-office, come viene definito di solito), comprende almeno due cose: un programma per gestire i contenuti del database che compone il blog (quelli da mettere on line, quelli già on line, etc.) ed un programma di videoscrittura, non troppo diverso da un applicativo come Microsoft Word, per esempio, che non richiede nessuna particolare conoscenza di informatica (HTML, scripting o altro).

Un blog può essere aperto da chiunque, dato che sono presenti in rete numerosi provider gratuiti (Splinder, Blogger, Blogsome, WordPress.com, etc.), alcuni dei quali mettono a disposizione dei software veramente di ottima qualità, e sembra che in effetti siano proprio tantissimi quelli che decidono di aprirne uno. Technorati, motore di ricerca focalizzato sui blog, ne conta a tutt’oggi quasi 113 milioni (una cifra che non si afferra con facilità – e che, per altro, richiederebbe alcune precisazioni – ma che, in effetti, può essere apprezzata se si pensa che comporta qualcosa come una ventina di nuovi post al secondo).

Ora, a partire da questa veloce e schematica descrizione di un blog (ovviamente, rispetto al modello che ho illustrato, si possono trovare parecchie eccezioni, e differenze, passando da un’implementazione all’altra) mi sembra che si possano individuare le “dimensioni di base del blogging” e metterle in relazione con la letteratura – o, meglio, con l’idea che abbiamo di letteratura.

1.

La prima dimensione è, certamente, quella della produzione di contenuti. Della massiva produzione di contenuti, a ben vedere, dati i numeri del fenomeno. Il blog in effetti, se si basa su qualcosa, si basa sul continuo aggiornamento del proprio database con nuovi post, nuovi testi, nuove immagini e così via. In un processo virtualmente inesauribile, il blog accumula i propri elementi, validi in quanto ulteriori tratti di quello stesso processo, creando una sommatoria di singole istanze che non prevede, strutturalmente, una fine.

Questo aspetto, che non è specifico dei blog ma che è un tratto caratteristico del cosiddetto Web 2.0 (ma, a ben vedere, anche di tutta le rete), mi sembra introdurre una forte novità, se messo in relazione all’idea che abbiamo in genere della letteratura.

Di solito, infatti, quando si parla di letteratura si intende la “buona letteratura”, ovvero si intende il risultato di una serie di filtri, di meccanismi di rarefazione, selezione, scarto e promozione, che produce un canone, più o meno condiviso, di testi eccellenti. La stessa scrittura letteraria la si intende in genere come una specie di “meccanismo del levare”, sia quando viene intesa in senso classicista che in senso manierista.

Il blog, invece, propone un modello basato sull’aggiunta in cui, per riprendere un’opposizione da manuale, conta più il contenuto della forma, e la cui modalità è l’accumulazione e non la selezione. Il blog si costituisce su quelle unità di contenuto che sono i post e non importa se i testi (o le immagini, i video, etc.) siano il frutto di una cura particolare, dell’elaborazione di uno stile, di una retorica specifica. La forma generale dell’elenco, che lo innerva, riporta (ma, si noti, non necessariamente riduce) il valore di qualunque suo elemento a quello della mera unità costitutiva.

In qualche modo, questo processo di accumulazione può ricordare l’accumularsi delle merci ma, in effetti, c’è una differenza, a cui ho appena accennato: se la merce è “il sempre-uguale in grandi masse” – secondo l’espressione di Benjamin -, i contenuti della rete sono singolarmente irresolubili e valgono piuttosto come il sempre-diverso in grandi masse. Si tratta certo di una diversità fatta per lo più di particolari minimi, scarti millimetrici, peculiarità marginali, eppure permette al singoli contenuti di avere un valore autonomo e, proprio per questo, valere come elementi dell’accumulazione.

2.

La seconda dimensione è quella temporale. Come si è detto, infatti, il blog si sviluppa lungo l’asse del tempo, secondo le vicende dei suoi aggiornamenti; i post sono indicizzati per data e la pagina presenta i contenuti in base alla loro apparizione.

Di nuovo, questo aspetto sembra rappresentare una novità dato che, in genere, il testo letterario gode di una specie di condizione extra-storica, per la sua natura finita e sfruttando l’apparente trascendenza del linguaggio. Sulla separatezza del testo letterario, in effetti, si sono costituite diverse questioni teoriche e, per esempio, uno dei problemi che si è posta spesso la letteratura è come possa il testo stesso “entrare” nella realtà del lettore.

Il blog, invece, non esiste in una sua completezza extra-storica, dato che non è mai finito (essendo, al massimo, interrotto) e, per di più, dato che la storia, il tempo in cui si dipana, è lo stesso del fruitore, addirittura con le stesse date, lo stesso calendario. Questa è certamente una condizione nuova per il testo letterario, diversa anche da quella delle pubblicazioni periodiche (del feuilleton, per esempio). Il fatto è che l’attività di chi produce i contenuti, e quindi la “storia” del testo/blog, è tracciabile, non viene più rimossa dalla completezza dell’opera (si noti: le date dei post possono essere manipolate e la tracciabilità che assicurano non è necessariamente affidabile, eppure questo non cambia la nuova condizione in cui il testo viene messo).

Il testo letterario, inoltre, funziona anche al suo interno come una sorta di trappola temporale. In effetti, non si limita ad apparire come un feticcio extra-storico ma basa questa sua pretesa sulla capacità che ha di introiettare la dimensione temporale. La letteratura, come è noto, cerca di chiudere in sé lo scorrere del tempo, sfruttando i meccanismi della narrazione, l’ipostasi della voce lirica, la circolarità della scrittura/lettura.

Il blog, invece, non sembra premettere questo. Credo sia abbastanza facile notare, per esempio, che leggere un testo letterario “normale” pubblicato in un post richiede un’astrazione maggiore e, in effetti, la ragione sembra proprio essere questa temporalità esibita del blog. Chiaramente, anche la produzione su blog cerca di gestire il tempo, di catturarne lo scorrere e l’entropia, ma l’impressione è che, alla circolarità della scrittura/lettura, preferisca una specie di strategia da “capsula del tempo”, da reperto archeologico, da object trouvé.

3.

La terza dimensione, ancora, è la dimensione sociale. Nella descrizione precedente, ho cercato di darne conto indicando la presenza dello spazio per i commenti, in cui questa socialità si esplica, ma in effetti la si può vedere anche nel blogroll e, in modo più peculiare, nei tag. Questa dimensione, altro aspetto tipico del Web 2.0, è in genere riportabile alla nozione di comunità che si crea attorno al blog stesso, una comunità simile a quella che si crea attorno ad un testo letterario ma che possiede, a ben vedere, dei tratti caratteristici molto marcati.

Nella comunità del blog, per prima cosa, alcuni ruoli ed alcune gerarchie, tipici della comunità che si crea attorno al testo letterario, si indeboliscono parecchio. Per quel che riguarda i ruoli si può notare, dato che i visitatori producono a loro volta contenuti attraverso i commenti, che la distinzione tra chi scrive e chi legge, tra produttore di testo e fruitore, viene resa molto meno netta, almeno dal punto di vista della “natura” del blog (che, come si è detto, sembra dare priorità al contenuto, a prescindere da altre considerazioni). A fronte di questa debolezza nella distribuzione dei ruoli, le gerarchie di valore che in genere se ne derivano (per esempio la maggiore “importanza” dell’autore) risultano a loro volta indebolite. Non solo: l’allentamento della distinzione tra spazio pubblico e spazio privato, tipica della rete (nella realtà virtuale, infatti, non si è mai collocati completamente fuori dal proprio privato pur frequentando luoghi non-privati), e l’immersione del blog nel tempo del fruitore, danno a loro volta un tono peculiare alla comunità del blog.

Un’altra caratteristica di questa comunità è la sua natura para-tribale, per così dire. Questa è forse il tratto meno immediatamente ovvio ma che, pure, meriterebbe la maggiore attenzione, dato che sembra costituire una specie di nuovo modulo socio-culturale. Quello che intendo è che siamo abituati a pensare che un testo letterario riesca a riunire attorno a sé o un pubblico generico e generalista oppure una porzione determinata di quel pubblico. Nel primo caso, grazie alle sue supposte capacità di cogliere lo “spirito” della gruppo in senso lato in cui si colloca (la nazione, il popolo, la gente); nel secondo, grazie alla sua capacità di targettizzare il pubblico generico e ricavarsi la sua nicchia.

Quello che succede nel caso del blog, invece, sembra nettamente diverso. La comunità a cui dà luogo non è quella generalista perché la struttura di distribuzione della rete non prevede più una o più fonti maggiori di informazione che si rivolgono immediatamente ad un bacino di utenza generalista ma, piuttosto, si costituisce su reti locali di distribuzione, integrate ad un livello superiore in reti più ampie (non per niente Internet è la “rete delle reti”). Non è nemmeno una comunità targettizzata, però, perché la meccanica del target è esclusiva (almeno dichiaratamente) e legata a caratteri formali del prodotto, mentre il blog, come si è visto, sembra disinnescare la dimensione formale e per di più genera comunità inclusive se non, in un certo senso, schizofreniche.

Per definire la comunità generata dal blog, quindi, uso il termine para-tribale, anche se lo ritengo inadeguato. Non è adeguato perché, come ho appena segnalato, le comunità on line, anche se tendono ad una specie di identità settaria, in verità non se lo possono permettere: i loro componenti fanno parte, in genere, di più comunità contemporaneamente e questo dà luogo ad una specie di schizofrenia che contrasta con l’identificazione tribale (e, d’altra parte, lo stesso sistema di link in cui il blog si colloca, rinvia più ad una specie di federazione che ad una tribù). Tuttavia, l’espressione coglie un aspetto feticistico che mi sembra ricorrente nelle comunità legate ai blog e che, come ho già accennato, è esemplificato dalla pratica del tagging. Le comunità on line, infatti, sembrano spesso costituirsi attorno ad alcuni termini, alcune espressioni, per esempio quelle costituite dai tag o dalle parole-chiave inserite nei motori di ricerca. Anzi, molto probabilmente, le comunità più numerose a cui i blog danno luogo non sono tanto quelle esplicite dei commentatori o dei blog linkati ma quelle comunità puntiformi, istantanee e intermittenti che si costruiscono nelle successive “adunate”, di individui che ricercano determinate espressioni, attorno a quelle espressioni ed ai testi che le contengono.

4.

La quarta dimensione è la dimensione transnazionale. Anche questa è una caratteristica della produzione on line in genere e la si deriva dalla natura stessa della rete che, se pure ha un accesso locale, in verità porta immediatamente ad un circuito globale. Questo implica un cambiamento di scala ed un bacino di utenza staccato dalla dimensione nazionale. Chiaramente, continuano a funzionare meccanismi di raggruppamento, come le aree linguistiche o le affinità culturali, e tuttavia sono ridotti a elementi di articolazione e non a princìpi fondanti.

La differenza che introduce questa dimensione, rispetto ai termini secondo cui siamo abituati a pensare la letteratura, è di una certa rilevanza. In effetti, la letteratura è organizzata in termini di tradizioni nazionali. Anzi, si può dire che la letteratura viene identificata con l’insieme dei canoni nazionali, e cui mi riferivo più sopra, messi eventualmente in relazione attraverso studi comparativi e traduzioni. Il costrutto “canone nazionale” è talmente forte che i singoli testi costruiscono una parte sostanziale della proprio individualità a partire dalla propria collocazione nel dibattito nazionale, in una rete di rimandi filologici e tematici, contribuendo a loro volta a farlo procedere nella sua crescita.

Il riferimento all’area geografica, per altro, non ha solo un côté culturale ma si realizza nella struttura stessa dell’industria editoriale che ha una sua distribuzione basata sulle aree linguistiche e sui bacini di utenza nazionale. È vero che, soprattutto negli ultimi decenni, si è sviluppata una specie di produzione standard internazionale, basata sulla pubblicazione massiccia di traduzioni e incarnata in una specie di canone globale di best-seller e classici contemporanei; tuttavia, questa situazione sembra piuttosto un’implementazione avanzata (maggiormente dinamica) del modello a più canoni che indicavo in precedenza.

Lo scenario in cui ci si trova con la produzione on line è diverso, per almeno due motivi. Il primo è che il meccanismo di distribuzione, come si è detto, è di portata immediatamente globale. Questo non comporta un mero allargamento del bacino di utenza ma un diverso ambiente, una nuova piattaforma, comune e senza caratterizzazione nazionale, in cui la produzione e la fruizione di testi vengono a trovarsi. In questo ambiente – in cui i meccanismi di filtro, la forza normativa e le risorse interpretative fornite dal canone si indeboliscono – i testi stranieri, in verità, appaiono meno stranieri anche se in qualche modo più anodini (oppure, e meglio, meno stranieri proprio perché più anodini). Il secondo motivo è che gli apparati di mediazione (in primis: le traduzioni e le edizioni straniere) che permettono la comunicazione tra i canoni sono, in un certo senso, messi tra parentesi (ed in questo ha sicuramente un peso significativo quell’indebolimento dei ruoli, di produttore e fruitore, sottolineato più sopra) a favore di un rapporto diretto con i testi di provenienza estera, reperibili on line ed immediatamente fruibili.

Una parte fondamentale, in questo passaggio, è rivestita senza dubbio dall’inglese che, grazie alla sua natura di lingua franca, oltre al vantaggio di essere la lingua dell’informatica e dei più importanti operatori on line, sembra costituire una specie di tessuto linguistico comune, adatto alla dimensione transnazionale del nuovo scenario. Tuttavia, al riguardo, mi sembra che vadano segnalate almeno tre cose: la prima è che l’inglese della rete non è un inglese “nazionale” ma una specie di super-inglese caratterizzato da un’ampiezza di spettro che passa dallo slang dei parlanti nativi ai pidgin di utenti non anglofoni e che, tuttavia, producono contenuti in inglese; la seconda è che, proprio per questo motivo, quelli che, tra gli stessi utenti non anglofoni appena segnalati, producono testi esplicitamente letterari non stanno “entrando” nella letteratura inglese; la terza cosa, infine, è che l’inglese è anche la lingua di una delle esperienze fondamentali della cultura globalizzata, cioè l’esperienza della merce, e come tale entra senza scosse nei circuiti della produzione on line.

5.

La quinta e ultima dimensione che vorrei sottolineare è quella della gratuità e, comunque, dell’accessibilità in genere. Come segnalavo più sopra, in rete sono presenti parecchi servizi gratuiti che offrono a chiunque la possibilità di aprire un blog e, allo stesso modo, segnalavo come l’interfaccia per la produzione dei contenuti sia estremamente accessibile.

Questo, di nuovo, è un aspetto che ritroviamo in molte realtà della rete ed è caratteristico del cosiddetto Web 2.0, i cui servizi sono progettati per avere la maggior facilità possibile di utilizzo (e sono, in genere, disponibili gratuitamente). Grazie a questi due aspetti, oltre ad una specie di desiderio diffuso di costituire una proprio soggettività nella rete (che però richiede un discorso specifico e che esula da questa sede), si può forse spiegare lo sviluppo impressionante di Internet e la sua capillare diffusione nei termini di “utenza domestica”.

Rispetto all’idea di letteratura a cui facciamo in genere riferimento, questa ultima dimensione ripresenta, in parte, un aspetto che si è già visto, ovvero il fatto che la produzione on line indebolisce i meccanismi di rarefazione che stanno alla base della “buona letteratura”: la gratuità e l’accessibilità si sostituiscono, in un certo senso, alle scelte editoriali ed all’apprendistato letterario. Ma mi sembra che ci sia anche un altro aspetto che questi due elementi mettono in luce e, cioè, che il fenomeno della produzione testuale on line rappresenta, in effetti, quello che potremmo chiamare il passaggio della letteratura al “circuito della comunicazione”, facendo in modo che la letteratura accetti uno degli elementi cardine della comunicazione, ovvero l’accessibilità, appunto.

Sul versante specifico della gratuità, poi, mi sembra che possano essere fatte almeno altre due considerazioni. La prima è che la gratuità della rete è una specie di mezza verità, cioè una verità non completa ma pur sempre vera. Quello che è vero è che milioni di individui per cui non era previsto un ruolo come “produttori di senso” possono accedere alla rete e costituirsi come soggetti al suo interno, esprimendosi, entrando in relazione, producendo contenuti e così via, senza che la cosa gli costi più del prezzo della connessione (si noti che, rispetto ad un modello culturale basato su pochissime fonti di significato e tantissimi fruitori-spettatori, ovvero quello corrente, questo passaggio non è di poco conto). La parte che manca è che, come nel caso della televisione si offre intrattenimento gratuito a “teste” che vengono poi vendute agli sponsor, così nel caso della rete si offre agli utenti la possibilità gratuita di mettere on line dei contenuti, che attireranno altri utenti che a loro volta produrranno la loro parte di dati, e si vende il traffico, che tutto questo genera, di nuovo agli sponsor.

La seconda considerazione riguarda più da vicino il testo letterario. Gli aspetti economici (non solo in termini industriali, come nel caso dell’editoria moderna, ma anche semplicemente in quelli di risorse disponibili, di possibilità di trasformarle, etc.) hanno un’influenza specifica sulla produzione letteraria. Negli ultimi due secoli, addirittura, sono stati uno degli elementi interni al dibattito critico e teorico, avendo un peso nella formulazione di idee come “arte per l’arte”, “best-seller”, “popolarità” e così via.

Per rendersi conto dell’importanza della dimensione economica nella produzione letteraria, d’altra parte, basterebbe pensare, tra le altre cose, alla lettura benjaminiana di Baudelaire, alla teoria dell’avanguardia sul mercato come anche alle difficoltà che incontra la piccola e media editoria ed alla gestione dei titoli sugli scaffali, nelle librerie oppresse dalle spese di magazzino. Ora, il “pubblico letterario” della rete non è un pubblico pagante e il testo messo a disposizione non è una merce (la merce, come si è detto, è piuttosto l’intero ciclo di produzione/fruizione ma, chiaramente, questo è ancora un altro discorso). Per la prima volta da due secoli, almeno, il testo letterario è in grado di sfuggire al feticcio della merce ed al suo valore di scambio. Non solo: per la prima volta dall’invenzione della scrittura come tecnologia per l’immagazzinamento dei dati, le piattaforme a disposizione sono talmente capaci e di costo così ridotto che non impongono virtualmente nessun tipo di considerazione sulla selezione, la promozione, il mantenimento dei testi. Mi sembra giusto, anche se forse ovvio, sottolineare che non si tratta di un’isola di Utopia quella raggiunta e, tuttavia, non posso fare a meno di notare la differenza tra lo scenario che si sta costituendo e quello, invece, a cui siamo abituati.

Questi mi sembrano gli aspetti da prendere in considerazione nell’affrontare la questione della produzione letteraria on line, dei blog letterari e così via. Concludo tuttavia, segnalando che, a ben vedere, sono probabilmente aspetti di cui tenere conto ormai in una qualunque discussione sulla letteratura oggi, data la sempre maggiore diffusione della rete nella vita quotidiana e, quindi, negli usi degli autori e soprattutto dei lettori

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43 Commenti

  1. il nucleo di questi appunti è stato scritto per la serie di incontri su blog e letteratura di poe.mi 08. poi domenico mi ha chiesto di svolgerli in modo un po’ meno rapsodico ed eccoli qui.
    nonostante non siano stati stesi in vista della discussione in corso sullo sciopero d’autore, vorrei che fossero letti tenendo conto anche delle questioni che sono state sollevate in quella sede (come anche nelle discussioni introdotte da andrea inglese a partire dal pezzo sul realismo di andrea cortellessa, postato a suo tempo da domenico).

  2. Non posso che concordare, sostenendo da anni questa stessa visione.
    Aggiungo:
    La scrittura in Rete è anche visiva, sonora, ipertestuale. I file audio, le animazioni, i video e altri materiali non di puro testo diventano, tramite lo strumento caratterizzante del link, non più e solamente corollario o didascalia a margine della narrazione, ma sono il testo (il con-testo) stesso, con la stessa dignità delle parole (sono, i tutti i casi, i segni e le cicatrici sul corpo delle storie).
    La continuità rispetto all’arte dell’aedo e del cantastorie è evidente, data la forma di meticciato tra generi e possibilità espressive diverse operato della scrittura in Rete. Il blogger canta la propria storia usando anche immagini e suoni, e lo fa direttamente nella piazza e lungo la strada digitale, in mezzo e non distante rispetto a chi abita la comunità virtuale, senza nessun grado di separazione tra sé e il plauso o il subitaneo colpo di bastone.
    La letteratura digitale è quindi un genere letterario vicino all’oralità, per i modi di urgenza nel contatto tra la parola emessa e quella accolta.
    La narrativa virtuale non è mai definitiva, ma sempre viva ed evolutiva e non mediata. Non ha termine dopo la sua pubblicazione, ma muta ancora e ancora attraverso l’innesto dei commenti nel proprio corpo (perché la scrittura è un corpo) e il permanente interscambio di piano tra l’autore(lettore) e il lettore(autore). L’Altro, il destinatario della scrittura, è una presenza permanente e vera durante l’atto con cui la storia si fa testo. Anzi, l’alterità è l’unica dimensione validamente autentica, dato lo scambio ininterrotto di ruolo tra autore e lettore – che non esistono quindi più in senso tradizionale e assoluto. Interpolando Rimbaud: Je (qui écrive) est un autre.
    F

  3. Interessante, però ho parecchie obiezioni, forse perchè c’è molta carne al fuoco (per esempio la transnazionalità; se si parla di blog e letteratura, la lingua continua a contare), ma per ora solo questo:

    “Il blog, invece, propone un modello basato sull’aggiunta in cui, per riprendere un’opposizione da manuale, conta più il contenuto della forma, e la cui modalità è l’accumulazione e non la selezione.”

    Si finisce pur sempre di confrontarsi con una forma specifica perché il blog sia efficace, per esempio la brevità. Inoltre i testi possono essere corretti all’infinito, pur restando nell’ordine in cui sono stati postati.
    Anche sulla gerarchia avrei delle osservazioni da fare. Il postatore è all’interno del blog gerarchicamente superiore.
    Ma certo l’accessibilità del blogger allo spazio e dei commentatori ai post non ha filtri, è anarchica e democratica, la selezione viene fatta direttamente dall’utente.

    E questo:

    “la gratuità e l’accessibilità si sostituiscono, in un certo senso, alle scelte editoriali ed all’apprendistato letterario”

    è vero, ma ho potuto notare che la maggior parte dei blogger che scrivono con qualche ambizione considerano il blog un passaggio, o un piano altro, che non esclude l’approdo alla carta, prima o poi, magari non per le forme sperimentate sul blog. Questo per dire che non è un mondo a parte, piuttosto parallelo, nel quale il blogger può essere al tempo stesso blogger e autore edito o aspirante.

    Navigando ho visto di tutto, c’è chi scrive testi per blog e chi posta sul blog frammenti di testi destinati (almeno idealmente) alla carta. A me interessa principalmente la forma da blog, autonoma, il frammento di altro è una specie di assaggio della merce futura, se è così, interessa per altri motivi, è meno originale, benché sia nuova la possibilità di esporre senza filtri.

    Sul fatto che il blog non sia merce nell’ottica del postante, vista la gratuità, ma sia merce in un circuito più largo, varrebbe la pena di rifletterci a parte, è una riflessione importante.

  4. Una riflessione sugli strumenti produttivi on line (il blog, in questo caso) si pone a valle dell’analisi. Ma se risaliamo a monte, dovremo interrogarci sulle valenze del sistema, o dell’applicazione, cioè il motore di ricerca (dominante). E interrogandoci sul funzionamento del motore di ricerca (Google, poniamo), si potrebbe scoprire che i parametri (o gli algoritmi) che presiedono al suo essere, non sono tanto “liberi” e “democratici” come potrebbero apparire. E forse, sempre a proposito dell’info internettiana, della sua qualità, si potrebbe applicare ad essa la “vecchia” categoria di masscult. Alla Dwigh Mc Donald. Ma chiedo venia: tutto questo con la valle dei blog c’entra poco, ma ne è il contesto.

  5. il virtuale è morto. ormai siamo alle soglie del postdigitale.
    l’interassenza è la cifra della scrittura elettrica. il discorso di merce e scambio sembra seguire quello di Bataille, con il saggio su ‘la parte maledetta’.
    il soggetto diventa s-oggetto. l’inconscio elettrico ha affiancato la noosfera e l’onttore (l’errore dello scrittore analogico è quello di riferire al modello digitale le categorie analogiche: off line siamo nell’analogico \elettrico, on line siamo nel digitale-elettrico, nel microcosmo quantistico), mica sul foglio newtoniano con la penna che funziona con la pressione che spinge l’inchiostro, la carta che assorbe, la capillarità eccetera) il blog lo puoi anche cancellare, funziona secondo un bi-logica. il contenuto del blog è come il gatto nell’esperimento mentale di Schrödinger: esiste se qualcuno lo vede. altrimenti è patologico scrivere per il lettore che siamo. su wordpress puoi anche postare con nick differenti. lo scrittore può postare come personaggio elettrico. l’idea di genere e di tempo dal punto di vista della tradizione analogica: qui è come se volessimo racchiudere in schemi razionali la fideistica religiosa, o volessimo interpretare su basi neurosociologiche la presenza dello sciamano, ad esempio. non possiamo parlare di letteratura sul blog dal nostro punto di vista analogico, ma dal punto di vista del postdigitale.
    prima ci si riferiva al presente prendendo a modello le grandi scrituttrazione del passato. ora dovremmo considerare il presente dal post… appunto, digitale. dalla crisi della presenza virtuale. se letteratura è ‘levare’, il blog è dilapidazione. il postdigitale porta al massimo il ‘levare’ e lo annulla. ricorda il ‘battere’. la fine. poi avviamente la letteratura reiniziare con l’oralità elettrica.

  6. Il web è il trionfo della scrittura, è l’apoteosi della parola, che raggiunge il suo apice di diffusione da quando (quando?) è nata.
    Paradossalmente ciò avviene nell’indebolimento della disciplina artistica il cui mezzo principale è proprio la parola, quella che qui e altrove, nei licei e nelle università, si chiama «letteratura».
    Con annesso indebolimento delle comunità, sovente élitarie, che ne tenevano acceso il sacro fuoco attraverso la modalità binaria, produzione-di-testi, critica-di-testi.
    L’accesso di massa alla scrittura uccide (uccide?) l’idea letteraria di scrittura come arte per pochi, con tutta la sua storia strutturata per canoni condivisi, per valori estetici gerarchizzati, eccetera.
    L’idea di letteratura come disciplina produttrice di «opere» concluse, vale a dire di unica, soccombe, o resta fortemente marginalizzata, da una scrittura che fluisce incessantemente in una serie infinita di quanti.
    Il web come una città senza centro, né spazi significativi, dove possiamo imbatterci in pezzi di architettura superbi, ma poco visibili, di piccole dimensioni e soprattutto legati all’«esserci», oggi, qui, piuttosto che aspiranti a significati universali, a costituirsi come grandi importanti spazi condivisi, aspirazione massima del letterato.
    Il tutto forma un tessuto di dimensioni sterminate, privo di apparente struttura (sicuramente s possiede molte, anche robuste, ma per ora non visibili, segrete), da ogni punto del quale è raggiungibile qualsiasi altro punto, eccetera, in un gioco infinito di scatole cinesi…
    Conviene quindi farsi coraggio e lasciare l’idea-zattera di «letteratura» per avventurarsi – senza i salva-gente pre-costituiti delle vecchie letture, critiche e non, senza la consumata attrezzeria concettuale novecentesca – nell’oceano webbico della «scrittura» come si va ri-definendo ogni giorno che passa…

  7. Gran bel pezzo Gherardo. Mi fa ancor più rimpiangere la serata mancata con Vanni Santoni al punto rosso.

    Urge riflessione in merito ai tentativi di legiferare intorno ai blog. Chi ci capisce è bravo.

  8. Sono convinto (ma non ne ho le prove) che la mia esperienza quotidiana, il mio più banale e ‘prosaico’ esperire cose e persone, si stia bloggizzando.

  9. Mah!… avventurandomi nei blog mi sento come se passeggiassi ad Hide Park: ognuno sul proprio sgabello, a parlarsi addosso, magari con estrema perizia…e poi i capannelli si dissolvono e la nebbia ricopre tutto, indifferente.

  10. Ottimo pezzo, molto denso, ma che potrebbe diventare uno strumento di consultazione nel tempo.
    Sul concetto di para-tribale si potrebbe approfondire il discorso tag intese come oggetto semantico (ad es. qui in NI https://www.nazioneindiana.com/tag/letteratura/ ) e intese come “parole chiave” nei motori di ricerca. Secondo me potresti chiarire meglio e se ti interessa Gherardo ti creo un account sul nostro sistema di statistiche.

  11. Vorrei un attimo riflettere sulla qualità e autorevolezza delle “scritture” internettiane e, di concerto, sulla qualità e autorevolezza dell’info internettiana, rispetto a quella tradizonale (libro). A prescindere dal sistema (motore di ricerca, applicazione, scatola degli attrezzi), i cui criteri operativi o algoritmi di ranking sono ignoti (Google basa tutta la sua forza su ciò), e a prescindere dal fatto che Google (il motore più utilizzato che fornisce gli strumenti) è una delle più grandi aziende del Nasdaq quanto a capitale, il sistema internet è autoreferenziale, le sue info sono anonime, superficiali (si provi a fare una ricerca che abbia validità scientifica solo su Internet: impossibile), dispersive (l’effetto-deviazione, per via di equivoci, ambiguità, antonomasie. il motore di ricerca non fa distinzione nel fornire le info su, poniamo, “Carneade filosofo greco” e “carneade illustre sconosciuto”). E l’autorevolezza dell’utente è in realtà autocertificazione: per intervenire in forum, blog, ecc. non c’è bisogno di un curriculum vitae o di studio, basta la registrazione, dare un nickname (per l’appunto… macondo) ed effettuare il login. Non sono questi veri requisiti, quelli cioè che si usano nell’editoria cartacea per l’imprimatur. E vengo brevemente all’affaire blog: qui, oltre alla autocertificazione (dell’utente) e autoreferenzialità (del sistema) l’utente è in posizione passiva e subordinata. Mi spiego con una metafora: il datore di lavoro è il proprietario dello spazio web che decide 3D e argomenti da lanciare; i commentatori – gli utenti – possono solo lavorare al pezzo dato, non hanno facoltà decisionale originaria, sono sottoposti a norme e regole. Sono le regole del gioco che rispondono alla logica del gioco, lo so, ma quel che mi domando è: che tipo di gioco è? Insomma, non credo che la rete (e i suoi patron più rappresentativi: Bill Gates e Google) ci abbiano dato la libertà. Certo, in un forum o blog possono intervenire tutti, anche un rompiscatole come macondo, ma che lo sconosciuto macondo abbia facoltà di dire le sue stupidaggini in un blog, solamente autocertificandosi, non mi pare un gran segno di democrazia.

  12. scusate l’assenza per l’intera giornata ma ho avuto una riunione-fiume per lavoro e ho raggiunto l’amata macchina solo da poco ;-)
    rispondo un po’ a raffica perché dovrei scrivere un altro pezzo per essere compiuto. in ogni caso ringrazio tutti per il contributo: come ho scritto questi li considero appunti preliminari per una discussione che avete già portato avanti di un bel po’.
    parto.

    @flaviano:
    in verità non sono d’accordissimo con alcuni passaggi, però questa analogia con l’oralità la capisco. fatto sta che la rete, al di là della dimensione multimediale, mi sembra proprio un mondo di parole scritte. questo scarto, paradossale se vuoi, non è di poco peso.

    @alcor:
    – transnazionalità: non nego il meccanismo ordinatore delle diverse lingue ma dico che il blog si colloca in un contesto esterno al canone nazionale.
    – contenuto e gerarchia: la forma post non è necessariamente la forma della scrittura nei blog. pensa solo a post che non presentano testo ma il link a file .pdf (un esempio è mio e di zaffarano: http://hotelstendhal.blogsome.com/; ma uno ancora più bello è questo: http://www.forgodot.com/2008/10/issue-1-release-announcement.html in cui è stata proposta una raccolta, sempre in .pdf, di quasi 4000 pagine – raccolta di poesie fasulle, per altro). cmq capisco perfettamente quello che intendi e la brevità del contenuto è sicuramente un’altra dimensione in gioco. mi sembra però una variabile dipendente dalla priorità del contenuto. non riesco ad esaurire qui la cosa; mi limito a dire che cmq l’opposizione forma-contenuto in quel giro di frase va preso anche in senso strumentale. per la gerarchia, infine: non ho detto che non esistono gerarchie, nota, ma che sono più fluide.
    – web/carta: anche in questo caso seguo il tuo ragionamento e ho ben presenti i casi a cui fai riferimento (e ho anche le tue preferenze, per quanto può valere). anche qui mi limito alla battuta: secondo me va calcolato che siamo nel solito “periodo di transizione” e che questo rapporto tra carta e web non ha ancora raggiunto una condizione stabile, per così dire; per altro, tieni conto che ho isolato, per ovvi motivi, solo i blog esplicitamente letterari (cioè di autori che si riconoscono, da soli o per giudizio di altri, come letterari) ma sarebbe da indagare l’immensa produzione di cui non si riesce a decidere la natura.

    @macondo:
    di mcdonald ho un vago ricordo e non afferro lo spunto (ma se non mi ricordo male la sua classificazione era strettamente legata ai meccanismi dell’industria editoriale e, quindi, forse non è calzante). su google: non credo nell’orizzontalità della rete nel senso di uguale accessibilità delle informazioni, se è questo che intendi. del motore di ricerca però mi affascina la “capacità” di ridurre alla parola la produzione on line. in verità, però, non ci ho ancora capito abbastanza.
    autocertificazione, autoreferenzialità, passività: non sono d’accordo su nessuno dei tre punti. come dicevo la “qualità” non è più questione; l’autorialità nasce all’interno della comunità, non è decisa dall’esterno, ma non è meno autorevole (è da vedersi, ovviamente, quanto sia consistente, a seconda dei casi); non è vero che tutte le informazioni on line siano anonime, superficiali, etc.; la rete non è solo google (gates non c’entra niente e, anzi, una delle debolezze – in senso proprio di sicurezza informatica – di windows è stata fin dall’inizio che non era progettato per la rete); secondo me sottovaluti la possibilità di accedere al “ruolo di chi dice” da parte di molti che il corrente sistema culturale prevede nella “posizione di chi ascolta” (e in questo intendo dalla scrittura letteraria sui blog ai messaggi di stato su facebook).

    @bimodale:
    dal quel poco che ho capito del tuo discorso (oltre a citazioni fraschiane?) mi sembra che porti degli spunti molto interessanti ma parecchio densi ;-) non potresti svolgerne alcuni? posso essere d’accordo sull’idea di blog come dilapidazione, ma si tratta di decidere cosa si sta svuotando.

    @tash:
    direi che hai colto in pieno il tipo di questione che volevo porre (e che lego al discorso, come dicevo, sullo sciopero d’autore e, più in genere, sull’inadeguatezza delle “istituzioni culturali” correnti). per conto mio si può salpare fra mezz’ora ;-)

    @jacopo:
    ecco, anche tu sottolinei una cosa che mi sembra estremamente importante e cioè che il modello blog sta uscendo dalla rete – oppure che la rete l’ha prodotto perché c’era già un’esigenza esterna alla rete (ma anche qui dovrei scrivere un pezzo dedicato, immagino).

    @raffaella:
    un po’ troppo forte come affermazione perché la possa sottoscrivere ma condivido l’entusiasmo ;-)

    @madeleine:
    però è un hyde park sempre più importante e non “ultima risorsa” come l’orginale. e sull’indifferenza non sono così sicuro: pensa che la rete non sta nel vuoto; alla rete digitale capita non troppo raramente che corrisponda una rete reale.

    @jan:
    grazie mille, davvero :-)
    ho capito il tipo di discorso che proponi ed il punto su cui chiedi chiarimenti è sicuramente uno di quelli fondamentali, per capire che cosa sta succedendo. ho intenzione di tornarci sopra (che poi riesca è un altro discorso). per ora mi limito a dire che in genere, quando si parla di comunità sul web, si dimentica questa capacità della singole espressioni di diventare il centro di incontri successivi, di essere il luogo di una comunità che si forma quasi come una soluzione chimica che precipita. in genere si predilige l’aspetto esplicitamente sociale (lo scambio, la definizione identitaria, etc. etc.) tralasciando quelle comunità che chiamerei sottili (giusto per rubare un po’ da calvino) o a bassa intensità se preferisci e che sono poi quelle che attraversano il web, magari in modo istantaneo, solo perché un numero di persone ha fatto la medesima ricerca su google o ha cliccato sullo stesso tag su youtube.
    l’accesso alle vostre statistiche sarebbe favoloso!!! tra l’altro, se non mi ricordo male, mi segnalavi una fortissima incidenza degli accessi a ni a partire da ricerche on line di materiale pornografico (cosa che mi conferma che la rete è il regno dell’erotismo e della cognizione – e dell’erotismo della cognizione ;-)

  13. sono cotto (o ai ferri), ma volevo complimentarmi con gherardo, è davvero riconsiderando ciò che ci è divenuto ovvio e familiare, e mettendolo a distanza, che si potranno aprire nuovi spazi di riflessione e d’azione (un materasso, presto!!!)

  14. @ gherardo
    forse ho messo troppa carne al fuoco (io vegetariano…), ed è venuta un po’ bruciacchiata, ma ero appena reduce dalla stesura di un pezzo su “Info e Internet”, un divertissement che parte dalla classica domanda di don Abbondio: “Carnade! Chi era costui?” e si prova a verificare quale info(rmazione) il nostro curato tecnologico ricaverebbe da una sua ricerca on line. E i risultati erano quelli da me espressi alla rinfusa. Cioè (e parlo di info) una informazione modesta, dispersa, non approfondita, equivoca, non superiore per qualità a quella che avrebbe ottenuto consultando un manuale sulla filosofia greca antica prestatogli dal curato suo vicino.
    Quanto a Mc Donald eccoti una definizione on line: “Che cos’è il Masscult? Presto detto: quasi tutta la produzione televisiva, cinematografica, giornalistica…”. Ritengo che oggi la cultura di massa abbia trovato un’estensione e un supporto tecnologici nelle info internettiane. Quanto ai blog, li trovo una struttura verticistica, impositiva, che lascia spazio alla parola dell’altro solo soddisfacendo a certe premesse. Sono le regole del gioco, lo so, e d’altronde non saprei dire come cambiarle. Ma analizzarle, questo sì.

  15. concordo con chi sostiene che la rete ha cambiato il rapporto con la letteratura. il tutto parte da prima, da quando lo scrittore abbandona la penna e comincia a utilizzare la tastiera: il primo pezzo di passato se ne va con la messa in pensione della critica delle varianti. se Contini fosse nato solo un po’ d’anni più tardi, non avremmo il più grande filologo italiano del Novecento. ma consideriamo i riflessi sull’opera letteraria: che ne sarebbe di tanti passi di Calvino? del finale del “Barone rampante”, per esempio? la tecnologia cambia la letteratura, come dimostra l’esperienza dei secoli. dobbiamo solo capire in che direzione stiamo andando. certo, come aveva profetizzato lo stesso Calvino nei suoi “Six memos”, stiamo passando dalla lentezza alla rapidità, dalla pesantezza alla leggerezza. che in questa leggerezza ci sia il rischio del vuoto, è un’altra, spinosa questione.
    ringrazio Gherardo per la sua ricca presentazione, strumento utile per cominciare a riflettere sul senso e i modi del nostro scrivere in rete.

  16. Personalmente non trovo che ciò che è pubblicato nei blog letterari (per lo meno in quelli “di qualità”) sia necessariamente peggiore o meno meditato e ‘levigato’ di quello che si legge in tanti libri. Credo solo che i blog permettano di offrire tante opzioni in più, anche sul piano stilistico, certo. Ma la qualità resta una caratteristica intrinseca di un testo, come la sua profondità e la sua godibilità, indipendentemente dal mezzo con cui viene fatto conoscere.
    La miglior letteratura la si intuisce in un attimo, per poi eventualmente addentrarsi nelle sue sonorità intime per anni, o anche per decenni: basta, insomma, il tempo di un blog, anche se l’esito finale del libro può permettere di lasciar sedimentare più a lungo i contenuti nell’animo.
    Insomma: il blog può essere la degustazione di vino che può far sorgere in noi il desiderio di comprare una bottiglia, per poi godercela con tutta calma.

  17. Ho visto i link, capisco adesso anche quando parli di transnazionalità.
    Non ho potuto scaricare tutto (banda non larga) , cosa intendi per “poesie fasulle”? Sono fintamente autoriali?

  18. @andrea:
    grazie anche a te!! spero che alla fine un materasso te l’abbiano dato :-)

    @macondo:
    confermo quello che ho detto, cioè che non è vero che le informazioni in rete, di default, non siano di qualità. potrei citare parecchie realtà, tra cui le tanto vituperate wikipedie, ma la cosa è un po’ ot quindi lascio stare.
    per mcdonald, di nuovo, ti segnalo che in verità quella che si costituisce in rete non è una cultura di massa (per una serie di motivi, primo fra i quali la diversa struttura economica che vi è sottesa).
    per i blog, non so che dire. ribadisco che non sostengo l’assenza di una gerarchia ma mi chiedo, se credi che la struttura della rete sia verticistica, che cosa pensi dell’attuale industria culturale!

    @fabrizio:
    sì sì, torniamo a leggere il calvino dei memos e poi è vero, da sempre, la tecnologia cambia la letteratura (niente di strano: la letteratura è un’operazione su/con una delle tecnologie primarie e cioè il linguaggio). il rischio del vuoto… boh, sì. non mi sembra però che adesso siamo attrezzati molto meglio per evitarlo.

    @raffaella:
    ;-)

    @alcor:
    sono poesie create con uno script on line: Erica T. Carter (http://etc.wharton.upenn.edu:8080/Etc3beta/Erika.jsp) e poi attribuite ad autori realmente esistenti (cosa che mi sembra un ottimo intervento sull’idea di autorialità e tracciabilità in rete)

  19. @giovanni:
    scusa ma nella fretta di tornare al lavoro ho perso il tuo intervento. la mia ipotesi non nega la presenza di una “qualità”. mi sembra però che la validità di un testo in rete non sia più basata su quella dimensione (o meglio: che non sia più una questione di validità nell’affrontare i testi on line).

  20. Può essere, in diversi casi, Gherardo. Infatti io ho sentito il bisogno di fare, implicitamente, una distinzione tra blog di buon e meno buon livello qualitativo. Certo, su un blog in teoria c’è meno “filtro” e più “roba” che non sui libri. Però anche in quest’ultimo campo la qualità è molto scesa, in generale, nel mercato spesso massificante-omologante, che forse autori che hanno ancora difficoltà ad accedere all’editoria, ma che le qualità le hanno, attraverso i blog possono riuscire a trasmettere un buon messaggio letterario, e chissà – come tu suggerisci – a trovare un modo, in queste forme, per arrivare finalmente a pubblicare dei libri.
    Insomma, complessivamente credo che i blog letterari siano un fenomeno positivo, una linfa vitale per la creatività e la produzione letteraria.
    Grazie per la tua risposta e complimenti per l’articolo.

  21. Può essere, in diversi casi, Gherardo. Infatti io ho sentito il bisogno di fare, implicitamente, una distinzione tra blog di buon e meno buon livello qualitativo. Certo, su un blog in teoria c’è meno “filtro” e più “roba” che non sui libri. Però anche in quest’ultimo campo la qualità è molto scesa, in generale, nel mercato spesso massificante-omologante, che forse autori che hanno ancora difficoltà ad accedere all’editoria, ma che le qualità le hanno, attraverso i blog possono riuscire a trasmettere un buon messaggio letterario, e chissà – come tu suggerisci – a trovare un modo, in queste forme, per arrivare finalmente a pubblicare dei libri, che saranno senz’altro buoni.
    Insomma, complessivamente credo che i blog letterari siano un fenomeno positivo, una linfa vitale per la creatività e la produzione letteraria.
    Grazie per la tua risposta e complimenti per l’articolo.

  22. Non riesco a leggere tutti i commenti sopra questo, lo farò con calma più tardi.
    Scusatemi quindi se intervengo.
    Sto leggendo “Saggio sulla lucidità” e ho riflettuto: se lo leggessi a pezzetti su un blog, e se solo da un blog potessi ricevere le stesse notizie che so su Saramago, sono consapevole che accoglierei ed elaborerei diversamente tutte le informazioni, al di là del valore “oggettivo” dell’opera..

  23. L’analisi di Gherardo è stimolante di sicuro e, a grandi linee, coglie gli aspetti principali di diversità fra letteratura tradizionale e narrativa virtuale (aggiungendo magari l’ipertestualità come ha ben indicato Flaviano), però anch’io ci tengo a sottolineare, come ha fatto macondo, l’aspetto “monologhista” dei blog.
    Blog, contrazione di web-log, ovvero “traccia su rete”, nasce e si costituisce come “diario in rete”. Un ossimoro? Sì, perché il diario, per sua natura, è scrittura privata, isolata, mentre la rete, per sua struttura, è informazione condivisa, pubblica. Da questo paradosso emerge una scrittura – quella dei blogger – che non ha in realtà interlocutori o filtri esterni, benché si possano ammettere i commenti. Ma commentare non è interloquire o filtrare (il blogger può bellamente ignorarli o eliminarli o, addirittura, non concederne l’uso).
    Allora se non posso dialogare, mi creo il mio blog…

  24. @manuel:
    a parte il fatto che non è vero che la scrittura dei blogger non abbia interlocutori (non lo è proprio fattualmente, empiricamente – basta frequentarne un po’ e si vede), ti invito a separare la singola decisione del blogger (per esempio quella di chiudere i commenti o di ignorarli o che altro) dalla “natura” del blog che invece li prevede. ti invito anche a considerare che i blog sono calati in contesto eminentemente comunicativo (la rete) e che la dimensione sociale che cercavo di evidenziare non si limita, appunto, ai commenti. il monologo, insomma, c’è (quando c’è) se guardi solo il blog come elemento isolato. ma il blog non esiste mai in isolamento.

  25. Sono in tutto d’accordo con gherardo, anche il blog coi commenti chiusi e pure quello senza link non incide sulla natura del blog che è comunicativa in sé.
    E questo si nota soprattutto nei pezzi da blog rispetto ai pezzi nati fuori e che vengono postati sul, ma segna tutto il nastro dei pezzi.
    Anche chiudendo tutte le porte, la presenza del contatore ricorda sempre al blogger che viene visitato in tempo reale e questo rende la postura del blogger differente da quella dello scrittore che anche se vendesse, poniamo, un milione di copie, lo saprebbe a fine anno e in modo mediato e posticipato nel tempo, senza alcun rapporto coi suoi lettori. L’esposizione è diretta e immediata influenza la scrittura.
    Se posso fare un riferimento personale, quando l’eccesso della dimensione comunicativa mi ha irritata, ho chiuso e ne ho aperto un altro, autistico. Mi è subito morto tra le mani. Era un’operazione insensata, se devo scrivere pezzi per me sola scrivo su word e archivio. Se posto, posto nella dimensione sociale. Anche il monologo è in pubblico. Il monologo nella stanza vuota è una forma di pazzia.

  26. @gherardo
    Infatti, cogli anche tu l’aspetto paradossale di una scrittura privata proiettata su un mezzo pubblico. Un blog vive nella rete, ma il suo contenuto può essere fine a se stesso.
    Le mie opinioni, le mie considerazioni, le mie idee in libertà…
    Possono incontrare corrispondenze in altri che mi leggono, ma non è detto che il dialogo ci sia. Il blog è individuale in primis. Il confronto allora esiste più nei forum, nelle chat, nei social network e ti assicuro che lì c’è confronto (anche aspro).
    Insomma, quello che volevo sottolineare è la natura privata, personale del blog (per questo è nato), che rispetto a un diario su carta ha sicuramente valenze e portate differenti (accessibilità, diffusione, contemporaneità maggiori), tuttavia comporta una responsabilità maggiore nei confronti del lettore/utente.
    Ci sono casi in cui un blogger riportando una propria esperienza negativa con un’azienda è stata citata in giudizio da quest’ultima per diffamazione. A prescindere da come la questione si è evoluta in tribunale, l’esempio pone in evidenza la responsabilità dello scrivente, che nell’era del web è molto più forte e sentita, rispetto all’epoca della carta, in quanto, come dici bene tu gherardo, la “gratuità e l’accessibilità si sostituiscono, in un certo senso, alle scelte editoriali ed all’apprendistato letterario”.
    I filtri, le selezioni, gli aggiustamenti, i compromessi portavano a un prodotto editoriale epurato forse di criticità forti. I post possono non avere intermediazioni proprio perché rincorrono il tempo reale, immediato, vissuto.
    Non sto giudicando la scrittura online, affermo solo una sua peculiarità: l’autore è nudo, con i suoi pro e i suoi contro.

  27. è vero lorenzo :)
    sì gherardo, riguardo ai miei spunti, potrei svolgerne alcuni. quali consideri più interessanti?
    ‘notte :)

  28. @manuel:
    ho capito quello che intendi ma continuo a non essere d’accordo. anche qui dovrei fare un sacco di premesse che forse non sono in grado di fare, ma mi sembra che il tuo ragionamento applichi una distinzione pubblico-privato che, di nuovo, on line viene trasformata e, in un certo senso, svuotata (dove inizia il pubblico in una rete peer-to-peer, per esempio?).

    @lorenzo e bimodale:
    grazie, sono davvero felice che il discorso che ho proposto stia richiamando questi interventi. in verità, stendendo questi appunti, mi sono accorto che forse la situazione è molto più “avanti” di quanto riusciamo a realizzare e quindi credo anch’io sia urgente parlarne. bimodale: il discorso sulla dilapidazione (o sullo spreco, che è legata fortemente alla produzione massiva di contenuti) mi sembra interessante. ma se pensavi di proporre qualcosa di diverso, leggo volentieri.

  29. Ringrazio Gherardo e i commentatori tutti – molto interessante.
    Condivido molti punti dell’analisi di Gherardo, ma ho una visione decisamente piu’ pessimista dell’equilibrio verso il quale il “nuovo sistema” (passatemi la scorciatoia) tende. Torno su spunti che Madeleine e Macondo hanno gia’ proposto (forse non sono i soli – scusate, ho letto i commenti piuttosto rapidamente).

    Per chi ha a disposizione un numero finito di giornate da 24 ore, lettura e scrittura sono beni rivali, non complementi. Ne consegue che, indipendentemente da ogni considerazione sul valore di cio’ che si scrive, un modello basato sull’ “accumulazione di scrittura” presupporra’ prima o poi, a qualche livello (individuale? Sociale?), una “decumulazione di lettura”. Invece di scrivere queste righe, potrei leggere meglio l’articolo di Gherardo e i vostri commenti; o qualcos’altro.
    Credo anch’io che internet possa diventare un Hyde Park in cui si parla tutti insieme e lo sgabello e’ inutile perche’ tutti ne hanno uno (tra l’altro identico, se ci fidiamo della democraticita’ del guardia-parchi). E credo che questo sia un rischio concreto, non un possibile ma improbabile scenario, per un semplice motivo. Leggere e’ anche un grande atto di umilta’: silenziare temporaneamente il proprio ego e disporsi ad un rispettoso ascolto dell’altro. In questo senso e’ forse un esercizio psicologicamente piu’ difficile della scrittura, che invece inevitabilmente solletica la vanita’ dello scrivente. Credo che la lattura abbia gia’ perso terreno per questo motivo, e non mi stupirei se ne perdesse ancora.

    Vorrei aggiungere un commento pseudo contabile anche sulle implicazioni qualitative del “modello basato sull’aggiunta” di cui parla Gherardo. Non ho dubbi sul fatto che una frazione dell’informazione (e della letteratura) disponibile su internet sia di alta qualita’. Ne’ mi interessa stabilire quale sia la frazione oggi. Il problema e’ la dinamica: come si evolve nel tempo il rapporto tra “buona informazione” e “informazione” (totale)? Il denominatore ovviamente cresce in modo esponenziale. Se il numeratore non e’ in grado di stare al passo, finira’ per diventare inutile: le parole interessanti potrebbero essere soffocate dalla matassa dell’ovvio, del confuso, del non documentato, e diventare inaccessibili, nonostante la reale o presunta democraticita’ della rete, per una semplice ragione statistica. Un po’ come nella Biblioteca di Babele di Borges.

  30. @piergiorgio:
    come accennavo già prima, la questione delle informazioni di qualità è ot. mi limito a segnalare che non è certo problema di adesso ma che sta venendo affrontato da anni (a partire, per esempio, dall’affidabilità dei venditori su e-bay al controllo dei dati inseriti sulle wikipedia).
    la questione è ot però mette in campo una distinzione che vorrei sottolineare: una cosa è la qualità delle informazioni fattuali; una cosa è la qualità letteraria.
    non confondiamo le cose. se per la prima alcune soluzioni sono state messe in campo, per la seconda la mia proposta è che non ci sia più il “problema”. cerco di spiegarmi: non intendo che il lavoro letterario on line ignori completamente la questione dello stile. come ha segnalato alcor, in verità una dimensione formale è ineludibile. la questione è che nel farsi della letteratura on line la questione della “buona letteratura” si è indebolita. forse si è trasformata al punto che dovremmo domandarci se è letteratura qualunque cosa fatta on line o cmq qual è, di fronte a questa immensa produzione di testi “in proprio”, lo specifico della letteratura. quello che non possiamo fare, mi sembra, è introdurre una logica da canone (da rarefazione, insomma) in quel corpus.
    sulla quantità: in verità non è che la produzione letteraria su carta sia scarsa. intendo: non siamo nel medioevo, ai tempi in cui una grande biblioteca di convento magari possedevo sì e no qualche centinania di titoli (di cui metà bibbie). l’industria editoriale italiana, che non è certo tra le più forti, mette in circolazione decine di migliaia di novità all’anno. da quel numero bisogna fare parecchie sottrazioni (ristampe, manualistica, libri per bambini, bla bla bla) e però ci lascia sempre con un numero di testi per cui varrebbe quell’obiezione sulla decumulazione di lettura che invece vedo usare solo per il web (e sempre con quel focus sulla “vanità” dello scrivente, che proprio non riesco a capire: se uno scrive, fosse anche per vanità – che tra l’altro non è certo monopolio dei blogger -, ha scritto; misuriamoci con questo cosa e vediamo cosa se ne tira fuori).

    anche quello che la metafora hyde park vuole introdurre (cioè l’autismo della produzione on line) lo sento ripetere spesso come obiezione. però, come ho già segnalato, non è vero che la scrittura sui blog, per esempio, sia una scrittura nel vuoto. non è un problema di opinioni o di argomentazioni: è che non è vero. basta girare nella cosiddetta blogosfera e si vede come le scritture si intreccino, come i blogger si commentino gli uni con gli altri, si citino, etc. etc.. il punto non è se questo scambio sia buono o cattivo ma che c’è e che ha una sua importanza.

    ultima cosa: non sono né pessimista né ottimista riguardo alla produzione on line. non credo ad una palingenesi della letteratura grazie alla rete, se è questo che vuol dire essere ottimisti. non credo neanche, però, che il fatto di avere una produzione che esula (tanto o poco) dai modelli che abbiamo conosciuto finora sia di per sé il segno di una decadenza (se questo vuol dire, a sua volta, essere perssimisti).

  31. Di blog ce ne sono più di un milione, tenendo presente solo quelli che si autodefiniscono letterari o che vengono percepiti come tali dai visitatori si stringe il cerchio.
    Al di là della qualità (concordo con moltissimi punti, anzi, tutti, che Gherardo indica anche nel suo commento, oltre che nel post, e che riguardano l’editoria, ma non solo) quello che interessa in particolare me è come il mezzo influenzi la forma e lo stile.
    Sia quella molto sofisticata dei link che G.B. ha indicato sia quella più tradizionale con un uso moderato delle modalità disponibili. Del resto molti blogger non hanno competenze tecniche e si limitano a scrivere. A me interessa soprattutto questa. Per ora.
    Forse perchè sono molto interessata alla forma breve.
    Neppure io credo a una palingenesi della letteratura grazie alla rete, e neppure io sono pessimista, mi pare che la scrittura in rete si affianchi a quella su carta o destinata alla carta, come del resto è successo con il cinema, la fotografia ecc.
    Quello che conta è lo scambio comunicativo (è vero che i blogger si leggono reciprocamente, selezionandosi in modo certamente non cieco, e solo inizialmente casuale) e la conseguenza che questa consapevolezza della lettura in tempo reale, la presenza piuttosto forte del lettore – anche quando non commenta – comporta, influenzando la postura di chi scrive, la sua scrittura, la sua forma e il suo stile.
    E’ vero solo in alcuni casi? E’ vero per tutti e sempre? Quali sono, se ci sono, delle costanti in questo senso?
    Questo, come ho detto è quello che interessa me attualmente.

  32. @ gherardo
    d’accordo che la questione “ualità delle informazioni” in internet è ot riguardo al tuo articolo, ma il tuo articolo punta sui figli o nipoti (i blog, nel senso di comunicazioni telematiche di una certa tipologia, tralascio al momento la specificazione letterari, forse finendo in un nuovo ot), senza analizzare i padri, ossia la rete, le sue modalità di funzionamento e i suoi patron. Il tuo articolo, cioè, può essere un capitolo del libro Internet, ma è uno dei capitoli finali. Si pone a valle, ma per individuare la sorgente bisogna risalire a monte. E a monte ci sono i meccanismi di funzionamento della rete, dei motori di ricerca, dell’acquisto di spazi o siti web, della commerciablità e del commercio dell'”oggetto” rete. E se uno dei messaggi (o reti comunicative) è il blog, le modalità di funzionamento del mezzo non lo caratterizzano (almeno in parte, interessante è vedere quale parte) e non lo determinano?

  33. Quel che “io so” fenomenologicamente, quello che posso vedere o immaginare hic et nunc, mentre scrivo, è una situazione di scambio, un potlatch che riguarda il teatro e la società. Una società elettronica con la sua Economia in costante parallelismo lobaceschiano che invece di rendere assente il corpo, per farlo comunicare, lo sostituisce con copie elettroniche e lo rende muto: la dittatura della luce elettrica.

    questo viene dilapidato: il tempo analogico degli sguardi, del corpo a corpo, la sacralità viene meno e consumo l’effimero rendendolo duraturo, salvo cancellazione. non è così complesso, anzi. io consumo il rischio di non esserci. ‘spreco’ significa ammettere innanzitutto un corpo (dell’attore, del virtuale, della scrittura, ecc.) di cui verrà ‘ri-negata’ l’esistenza attimo per attimo a tutto vantaggio della sua assenza. speco il corpo, seppur visto e sentito e ologrammato. lo spreco finirà quando potrò “Gestire il proprio avatar su Second Life attraverso la sola forza del pensiero è possibile grazie ai ricercatori dell’università giapponese Keio (Tokyo), che hanno realizzato un avanzato sistema di controllo tramite onde cerebrali” quando il pensiero analogico farà quello noosferico smetterò di sprecare il corpo che resta immaterializzabile (per ora).

    p.s.
    questo commento deriva da alcune riflesisoni che facevo nel 1999 nella mia tesi ‘riti digitali, maschere reali’ che potrete scaricare da tesionline.

    ciao a tuttissimi!
    ciao vanni? sono il padre di leo bloom. lo sai di leo, no? si è suicidato. ora aspetto che arrivi suo cugino dalla scozia, giuliano joyce, a riaprire il sito di organismi digitali. io non ho tanta voglia. vedremo.

  34. Caro (@) Gherardo
    Rifiuto di considerare “letteratura qualunque cosa fatta on-line”, per lo stesso motivo per cui non considero letteratura i graffiti che vedo sui muri delle città: una platea di accidentali lettori (e il conseguente –ineludibile ma spesso inconsapevole- confrontarsi con la questione formale) non mi sembrano sufficienti. Hai ragione, per “decumulare lettura” basterebbe anche la stampa tradizionale; ma mi sembra paradossale negare il ruolo e il potenziale distruttivo della rete in questo senso. Prova a fare un rapido computo degli e-scrittori che conosci, e di quanto spesso pubblicano rispetto a quelli cartacei.

    Su Hyde Park vorrei fare una precisazione. Una parte della scrittura on-line è di natura dialettica (il tuo saggio e i relativi commenti ne sono un esempio), e non ho difficoltà ad accettare che per questa la rete funzioni bene – nel senso che i bloggers si commentano, citano ecc. Ma non è ovvio che il meccanismo funzioni altrettanto bene per la letteratura. Poesie e racconti sono un po’ “messaggi in bottiglia”, scritti innanzitutto per essere letti e interiorizzati. Commenti, (cross)citazioni e contro-espressioni letterarie dovrebbero seguire, non sostituire, questo primo approccio alla ‘lettura di scrittura altrui’. Il mio dubbio è che in parte li sostituiscano. Ma forse è un dubbio da lettore spaventato dall’estinzione; e confuso dal paesaggio di dati contraddittori (sic) nel quale è costretto a muoversi.
    Colgo l’occasione per farti gli auguri.

    @ bimodale
    Le riflessioni del ’99 (ottima annata, per carità) potrebbero essere scadute – per precauzione, consiglierei un esame chimico.

  35. @bimodale:
    la tua analisi mi sembra molto interessante e cercherò di dare un’occhiata alla tua tesi. mi rimane il dubbio, da una parte, che il corpo venga sempre ammutolito, a prescindere dal medium, senza che ci sia mai la possibilità di renderlo assente, e, dall’altra, che quella separatezza del virtuale sia una forma di petizione di principio utile per l’analisi ma che forse non si dia in forma così compiuta, negli effetti.

    @piergiorgio:
    grazie per gli auguri che ricambio. sul merito di quello che dici mantengo gli stessi dubbi, ovvero non riesco a vedere la massiccia produzione on line come qualcosa di distruttivo. per il considerare “letteratura qualunque cosa fatta on-line”: la mia era una domanda provocatoria. di nuovo, la questione che volevo sottolineare è che il fenomeno della produzione on line è veramente radicale, tale da costringerci a porci domande sui fondamenti.
    dati contraddittori: grazie per gentile citazione ;-) contraddittori ma necessariamente regressivi?

  36. @gherardo: tieni conto che il mio discorso nasce nell’ambito della teatralità e poi applicato, per analogia, con il digitale; inoltre hai ragione sul secondo dubbio perché forse la mia analisi nasceva in un periodo in cui non c’era ancora SL. in sostanza il difetto consiste nella teoresi spinta ai limiti della metafisica senza aver mai potuto ‘praticare’ il territorio virtuale. potresti riproporre i tuoi dubbi in forma di domanda?
    :)

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domenico pinto
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Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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