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ANIMAzioni#03: “Father and Daughter” [2000] di Michaël Dudok De Wit

Father and Daughter

 
 

 

Michaël Dudok de Wit [Abcoude (Paesi Bassi), 1953] di origine olandese,  studia a Londra, dove attualmente risiede, diplomandosi al West Surrey College of Art. Realizza film d’animazione, spot pubblicitari e scrive ed illustra libri per bambini. Nell’era della digitalizzazione del tratto disegna ancora le sue tavole con pennello, inchiostri ed acquarello con la leggerezza e l’essenzialita della pittura cinese e giapponese.  Film sans paroles i suoi, è la musica con qualche rumore di sottofondo a commentare emozioni tenui, ironiche, sfiorate.
 

Father and Daughter è il suo film più famoso. * [ lo si guarda con una certa qual nostalgia di essere figlie e figli di padri e di madri – se non lo si è più – rimpiangendo distanze che non si ebbe tempo e modo e voglia di colmare – e se lo si è ancora figlie e figli – o si hanno figlie e figli – magari pensando al tempo che resta per farlo: colmarle – le distanze – e per me anche – ma solo a settembre – nostalgia di pianure: io vivo fra colline ma sono di pianura – abituata a guardare orizzonti lontani: terra piatta – con filari di pioppi e argini di canali e fiumi di lungo corso – con le molte nuvole appoggiate a nembi alla sua linea curva – che è una leggera invisibile curva ]

* Vince l’Academy Award, il BAFTA Award, il Grand Prix at Annecy e moltissimi altri premi.

 

La sua fama internazionale inizia con il cortometraggio The Monk and the Fish (1994) realizzato in Francia.
Il suo ultimo lavoro è The Aroma of Tea [2006], disegnato usando al posto di colori infusi di té.
 
 
ANIMAzioni#01: “LE NEZ” di Alexandre Alexeïeff e Claire Parker [ 1963 ]
ANIMAzioni#02: “LA MANO” di Jirí Trnka [ 1965 ]

 

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11 Commenti

  1. Orsola, molto lieta ritrovarti. Scivolare in un mondo tenue, di emozioni fragile, sospese.
    Tratto leggero, discreto che penetra il cuore.

    ADORO!

  2. Quale genitore non abbandona i figli almeno una volta? E quale figlio non si fa abbandonare? Forse ci sono sempre delle colpe, o forse il disegno delle cose umane è necessariamente aspro, e l’armonia (tra le persone, con se stessi o col mondo) non può essere che passeggera e casuale. Oppure l’abbandono è la premessa per ritrovarsi o per capirsi, come accade nel film: ma quasi sempre quando è troppo tardi, e sulla speranza prevale il rimpianto.

  3. Molto bello: il paesaggio si accorda come un sospiro al sentimento della bambina. Musica delicata di acqua cullando la scomparsa del padre, gridi dei ucelli come punteggiando l’assenza, campanello della bici. Tratti leggeri del vento come leggere unghie della pena. Il canale dritto, di acqua liscia, una vita che si allunga con la questione: dov’è il padre? Gli altri (amicizia, ammore), ma sempre solitudine della figlia al centro del cuore.

    Grazie Orsola: è cosi bello. L’infanzia è sempre un luogo prezioso verso il quale si ritorna sempre…

  4. Dico anch’io: bellissimo e commovente. La musica poi ci sta a pennello. Ho visto nei titoli di coda che è d’autore, ma avrei giurato che fosse un tema tradizionale ebraico.

  5. Beh… Anna non sei lontana nelle suggestioni: mi hai spinto ad una piccola ricerca ed infatti, decifrando i titoli di coda, la musica è in realtà un’elaborazione di un celebre Walzer

    Le onde del Danubio

    del compositore rumeno Iosif Ivanovici e nella musica slava la ripresa di temi popolari, magari anche ebraici, data la mescolanza etnica di quelle culture, è frequentissima.
    E nulla come un Walzer, se vuole, sa essere così malinconico.

    ,\\’

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,\\' Nasce [ in un giorno di rose e bandiere ] Scrive. [ con molta calma ] Nulla ha maggior fascino dei documenti antichi sepolti per centinaia d’anni negli archivi. Nella corrispondenza epistolare, negli scritti vergati tanto tempo addietro, forse, sono le sole voci che da evi lontani possono tornare a farsi vive, a parlare, più di ogni altra cosa, più di ogni racconto. Perché ciò ch’era in loro, la sostanza segreta e cristallina dell’umano è anche e ancora profondamente sepolta in noi nell’oggi. E nulla più della verità agogna alla finzione dell’immaginazione, all’intuizione, che ne estragga frammenti di visioni. Il pensiero cammina a ritroso lungo le parole scritte nel momento in cui i fatti avvenivano, accendendosi di supposizioni, di scene probabilmente accadute. Le immagini traboccano di suggestioni sempre diverse, di particolari inquieti che accendono percorsi non lineari, come se nel passato ci fossero scordati sprazzi di futuro anteriore ancora da decodificare, ansiosi di essere narrati. Cosa avrà provato… che cosa avrà detto… avrà sofferto… pensato. Si affollano fatti ancora in cerca di un palcoscenico, di dialoghi, luoghi e personaggi che tornano in rilievo dalla carta muta, miracolosamente, per piccoli indizi e molliche di Pollicino nel bosco.
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