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L’editoria fra cartaceo e digitale: i numeri e le ragioni di una crisi

Gino Roncaglia

Venerdì scorso, nella sala monumentale della Biblioteca Casanatense di Roma, Gian Arturo Ferrari – Presidente del Centro per il libro e la lettura – ha presentato i dati del rapporto L’Italia dei libri realizzato da Nielsen Company e relativo al periodo ottobre 2010-dicembre 2011. Una sintesi dei risultati del rapporto è disponibile qui, mentre queste sono le slide utilizzate nella presentazione.

Il rapporto, basato sulle risposte di un panel di 9.000 famiglie e relativo alla fascia di età ‘over 14’, fornisce un quadro di grande interesse sulle abitudini di lettura e sull’andamento del mercato librario nel nostro paese. Trattandosi della prima indagine di questo tipo, un confronto diretto con altri dati non è facile. Il dato generale sul numero degli acquirenti (44%) e di lettori (49%) di almeno un libro all’anno è ragionevolmente coerente rispetto ai dati Istat, e conferma una tendenza di lungo periodo all’aumento della lettura, che – assai accelerata nel periodo 1960-1990 (nel 1965 i lettori di almeno un libro l’anno erano per l’Istat poco più del 16%) – sembra tuttavia rallentare nel periodo successivo, e in particolare negli ultimi quindici anni (dati più dettagliati sono forniti e discussi da Giovanni Solimine in un prezioso libretto pubblicato nell’ottobre 2010 da Laterza, L’Italia che legge). Il nostro paese, gravato nel primo secolo di vita da un forte ritardo nell’alfabetizzazione di base, ha dunque fatto nella seconda metà del XX° secolo enormi passi avanti, ma non sembra in grado di mantenere un tasso di crescita che consenta di colmare sul breve o medio periodo il gap rispetto ai paesi dell’Europa centrale e settentrionale (che viaggiano su cifre di una ventina di punti superiori alle nostre).

Conferme vengono dal rapporto anche rispetto ad altri dati che in linea di massima erano già noti: lo scarto di circa 10 punti percentuali fra lettrici e lettori (le donne leggono più degli uomini), la maggiore propensione alla lettura delle giovani generazioni rispetto alle fasce più anziane della popolazione, il forte scarto fra un piccolo nucleo di lettori forti e fortissimi (più di un libro al mese) e un largo numero di lettori deboli, con il 5% della popolazione che assorbe il 41% dei libri venduti. Enorme è la dipendenza della propensione alla lettura dal grado di istruzione: la percentuale dei lettori è tre volte più alta fra i laureati che fra chi ha solo la licenza elementare.

 Acquirenti

I dati meno prevedibili (pur se già bene avvertiti dagli operatori del settore), e quelli che hanno suscitato maggiori reazioni, sono tuttavia altri. In particolare, il vero e proprio tracollo delle vendite registrato fra il quarto trimestre 2010 e il quarto trimestre 2011. È su questi dati che vorrei proporre qualche commento. Con una indispensabile premessa: una indagine statistica come quella promossa dal Centro per il libro e la lettura offre dei dati, ma di per sé non ne suggerisce spiegazioni o interpretazioni. Cercare di spiegare quei dati, al fine di individuare strategie e politiche che possano aiutare a correggere le linee di tendenza che ci sembrano preoccupanti o negative, è compito nostro: degli operatori del settore, e in generale dell’opinione pubblica sensibile all’importanza della cultura, della lettura e del libro per la crescita del paese. L’analisi che proporrò è dunque un tentativo di interpretazione, che si basa sui dati che abbiamo a disposizione, ma che non è necessariamente l’unica possibile.

Partiamo dunque dai dati: il rapporto Nielsen ci dice tra il quarto quadrimestre 2010 e il quarto quadrimestre 2011 il numero di acquirenti di almeno un libro è diminuito del 10%, il numero di lettori di almeno un libro è diminuito del 6%. Ma ancor maggiore è la diminuzione per quanto riguarda i lettori forti (dai quali, come abbiamo visto, l’economia del libro dipende in maniera essenziale): meno 20% negli acquisti, meno 18% nella lettura. A queste tendenze si affianca quella all’acquisto di libri più economici (il prezzo medio dei libri acquistati scende anch’esso fra il quarto trimestre 2010 e il quarto trimestre 2011). L’insieme di questi fattori porta a una diminuzione complessiva del 20% nella spesa per l’acquisto di libri. Un calo che per il settore è catastrofico (molto spesso i margini che garantiscono la sostenibilità economica di editori e librerie sono ben più bassi del 10%).

Alto acquirenti

Cosa spiega – nello spazio di un solo anno – un calo così accentuato? Indubbiamente pesa anche la crisi economica, ma la diffusa tendenza ad attribuire il calo unicamente o prevalentemente al peso della crisi è a mio avviso una semplificazione assai poco convincente. La crisi, infatti, si è manifestata ben prima del 2011: non dimentichiamo che il calo ad oggi di gran lunga più grave del PIL italiano – ben più grave della variazione del quarto trimestre 2011, pari al -0,7% (e ancor più di quella relativa all’intero 2011, che ha comunque visto il PIL – pur se di poco – in terreno positivo) – si è avuto nel 2009, con un crollo del 5,1% (il peggior dato dal 1980, quando l’Istat iniziò a misurare in maniera uniforme la serie storica). Ebbene, nel 2009, nonostante la generalizzata percezione della gravità della crisi economica, il mercato del libro non ha dimostrato alcun calo, cosa che aveva portato diversi operatori del settore – ad esempio Stefano Sardo nell’intervista che trovate qui, o lo stesso Presidente dell’AIE Marco Polillo, nell’intervento alla conferenza stampa di presentazione del Salone del Libro di Torino del 2010 che trovate riassunto qui – a ricordare il carattere anticiclico che ha sempre caratterizzato i settori del libro e dell’editoria. Ancora nel maggio 2011 Daniele Tinelli, direttore generale del gruppo Giunti, considerava in questa intervista il carattere anticiclico del libro come una spiegazione della sostanziale tenuta del mercato trade.

Certo, gli effetti della crisi sono cumulativi e di lungo periodo. Ma è possibile che i lettori italiani si siano accorti improvvisamente, tutti insieme, della crisi economica proprio nell’ultimo trimestre del 2011, dopo averla ignorata nei tre anni precedenti, incluso il catastrofico 2009? E per quale motivo il libro sembra aver perso in pochi mesi quel carattere anticiclico che pure aveva mostrato di possedere in passato?

Premesso che – come argomenterò in seguito – non credo che questa sia né l’unica né la principale causa del calo nelle vendite, va detto che una curiosa e credo significativa coincidenza cronologica c’è: dal 1° settembre 2011 è infatti in vigore la Legge Levi, che impone un tetto agli sconti librari.

Ho già sostenuto altrove – prima in questo documento, disponibile sul sito creato dall’Associazione Forum del Libro per la redazione collaborativa di una legge di iniziativa popolare sulla promozione del libro e della lettura, e poi in un articolo apparso sul n. 3-4/2001 di Libri e riviste d’Italia (dovrebbe essere disponibile qui, ma al momento il sito risulta non attivo) – che l’introduzione di una legge di questo tipo, forse sensata anni fa, quando legislazioni orientate alla limitazione degli sconti sono state introdotte in altri paesi europei, nella situazione attuale rischiava di risultare fortemente controproducente proprio per i soggetti che la legge si proponeva di tutelare: piccola e media editoria e librerie indipendenti. Purtroppo questa previsione sembra essere stata pienamente confermata. Non ripeterò qui tutte le argomentazioni già svolte in quelle sedi: mi limiterò a riassumere quella più rilevante per il nostro discorso.

Il carattere anticiclico del libro, come di molti altri beni, non è un dato di natura: è fortemente legato alla percezione che del valore e delle caratteristiche di quel bene hanno i consumatori. Ebbene, il messaggio che i lettori hanno percepito (indipendentemente dalle stesse previsioni di legge, che lasciavano comunque agli sconti tetti più alti di quelli presenti in altri paesi) è “non ci sono più sconti sui libri”. Questa percezione si trasforma facilmente – e poco importa che questo passaggio sia in realtà fallace – nell’impressione che con l’introduzione della legge i libri siano più cari. Le campagne di vendita iperscontate che hanno preceduto in rete e in molte librerie l’introduzione della legge hanno rafforzato questa percezione.

L’errore di strategia non poteva essere peggiore: proprio in un momento di crisi, in cui sarebbe stato essenziale rafforzare la percezione del carattere anticiclico del libro, si è data invece l’impressione di un giro di vite sui prezzi.

Si obietterà che solo una piccola percentuale di lettori era effettivamente a conoscenza dell’introduzione della legge Levi, e che il suo effetto non può essere stato così rilevante. Bisogna considerare, però, che a) come abbiamo visto, il nostro mercato editoriale dipende in maniera strettissima dai lettori forti. E ricordiamoci che fra i lettori forti il calo delle vendite è stato il doppio di quanto avvenuto fra gli altri lettori. Ora, i lettori forti sono esattamente quel 5% della popolazione che frequenta abitualmente le librerie, è ragionevolmente informato, e che probabilmente – per quanto distorta – una qualche percezione dell’introduzione della legge Levi l’ha avuta, se non altro per le campagne di vendita che l’hanno preceduta, all’insegna dello slogan “comprate adesso, perché fra pochi giorni i libri non saranno più scontati, e dunque costeranno di più…”; b) limitando gli sconti, la Legge Levi non ha effetti solo sul lettore che sa della sua esistenza: influenza anche il modo in cui il libro è presentato da chi lo vende. Supponiamo di avere da una parte il libro A, con un prezzo di copertina di 20 euro, che però il venditore propone con avvisi, banner, fascette che segnalano uno sconto del 40% portando il prezzo a 12 euro. E supponiamo di avere dall’altra parte il libro B, con un prezzo di copertina di 14 euro che uno sconto percentualmente inferiore (e dunque più difficile da enfatizzare) porta anch’esso a 12 euro. Di fatto, i due libri costano entrambi 12 euro. Ma nel primo caso il potenziale acquirente ha l’impressione – per quanto fallace essa possa essere – che il libro avesse originariamente un valore molto più alto, e che lo sconto possa quindi trasformare l’acquisto in un “affare”. Questa percezione manca di fronte al libro B. Una percezione analoga è indotta dalla presenza dello stesso libro con prezzi diversi su canali diversi: il fatto di trovare un libro con uno sconto maggiore su un canale di vendita (ad esempio, on-line) anziché su un altro avvantaggia certo slealmente quel canale di vendita danneggiando l’altro (spesso, le librerie indipendenti), ma facilita il passaggio dall’interesse all’acquisto, e dunque la vendita del libro. Oggi, il lettore si trova solo davanti a libri B: è orfano della sensazione che comprando quel libro a quel prezzo “fa un affare” (percezione che aiuta le vendite in particolare in una situazione di crisi economica). Anziché comprare di più nelle librerie indipendenti, compra semplicemente di meno. Non a caso, un risultato collaterale del tetto agli sconti è stato quello di esacerbare il meccanismo ‘Newton Compton’: per far percepire al lettore di aver fatto un buon affare, non avendo a disposizione la valvola degli sconti, si ricorre sempre più spesso a prezzi di copertina aggressivi, molto visibili ed esageratamente bassi, con il contrappasso spesso rappresentato dalla bassa qualità dei contenuti e del prodotto editoriale.

Non voglio affatto sostenere che l’applicazione ai libri di questi meccanismi psicologici – che siamo abituati a collegare ad altri settori merceologici culturalmente meno ‘nobili’ – sia positiva o desiderabile: sicuramente non lo è. Né voglio sostenere che la guerra degli sconti fosse di per sé desiderabile: indubbiamente favoriva le grandi catene e la vendita in rete rispetto alle librerie indipendenti. Mi limito a rilevare che in un momento di forte crisi economica, quando si sarebbe dovuta semmai sottolineare la capacità del libro di assicurare una soddisfazione protratta in cambio di una spesa relativamente bassa, si è invece finito per far percepire il libro come un bene costoso (o almeno, più costoso di quanto potrebbe essere, e più costoso di quanto era in passato). Non è vero, ma tant’è. Nel frattempo, il problema della sovrapproduzione editoriale – già presente in forma di ‘bolla libraria’ prima del crollo delle vendite – si è ulteriormente aggravato per l’impossibilità di usare se non in modo limitato la valvola degli sconti. L’impressione è che in questa situazione parecchi editori si libererebbero oggi volentieri della legge che hanno (quasi) unanimemente chiesto pochi mesi fa, se non ci fosse a trattenerli la forte dipendenza che attraverso il meccanismo delle rese lega il nostro sistema editoriale alla salute delle librerie fisiche, e l’idea – tanto diffusa quanto fallace – che la legge Levi rappresenti di per sé una difesa efficace dei canali di vendita trade più a rischio (a cominciare dalle librerie indipendenti).

Ho detto però che di non credere che il mix crisi economica – legge Levi sia la causa unica o principale del crollo delle vendite rilevato dal rapporto Nielsen. Credo sia una concausa, che contribuisce a spiegare alcune caratteristiche di questo crollo (inclusa, almeno in parte, la sua così precisa collocazione cronologica) ma non basta a spiegarne né l’apparente protrarsi, senza alcuna attenuazione, nei primi mesi del 2012 (evidente dai dati di molti operatori del settore) né la sua sostanziale coincidenza con analoghi fenomeni riscontrabili in altri mercati internazionali.

Va dunque considerata, credo, anche l’altra possibile (e plausibile) spiegazione della crisi nelle vendite, quella che lega la diminuzione delle vendite dei libri all’aumento del consumo di informazioni in formato digitale. Una spiegazione che dal punto di vista degli operatori di mercato risulta in un certo senso più preoccupante, perché strutturale e non congiunturale. Ma che potrebbe essere meno preoccupante dal punto di vista di chi guarda alla promozione della lettura… a condizione (non scontata) che l’informazione fruita attraverso le nuove piattaforme digitali sia qualitativamente paragonabile a quella che era tradizionalmente legata alla forma-libro.

Si è detto spesso – a ragione – che media diversi non sono necessariamente concorrenziali. Sappiamo che i lettori forti hanno in genere una dieta mediatica ricca e variata. Tuttavia occorre considerare anche le situazioni d’uso dei diversi media. Così, ad esempio, libro, televisione e cinema sono caratterizzati da situazioni di fruizione assai diverse. Il libro è leggero e facilmente trasportabile, televisione e cinema non lo sono. Posso portare un libro con me non posso farlo con televisione e cinema. Per questo una qualche concorrenza fra questi tre media può esserci nell’impiego del tempo, ma non a livello di situazioni d’uso.

Il nuovo ecosistema digitale offre però strumenti di accesso alle informazioni digitali e di rete fortemente mimetici rispetto al libro. Uno smartphone di ultima generazione o un iPad sono portatili come un libro, e si usano in molte situazioni in cui potremmo altrimenti leggere un libro. Questo può effettivamente creare una concorrenzialità fra lettura di libri e uso di altri contenuti digitali attraverso strumenti portatili. Credo che la diffusione di tablet e smartphone di ultima generazione possa effettivamente rappresentare una concausa rilevante della flessione che il mercato del libro ha conosciuto negli ultimi mesi.

Questa situazione sposta all’interno dei dispositivi portatili, e all’interno delle loro situazioni di fruizione, la ‘battaglia dei contenuti’ che la forma-libro deve affrontare. Perché sui dispositivi portatili si continuino a leggere libri (tradizionali o arricchiti), occorre riuscire a rendere molto più visibile, innovativo e concorrenziale il mercato degli e-book. Credo sia significativo osservare che, mentre il calo nelle vendite dei libri fisici – magari senza i picchi così concentrati che hanno caratterizzato la situazione italiana degli ultimi mesi – sta investendo in maniera diffusa tutte le principali economie industrializzate, nei paesi in cui il mercato e-book ha cominciato a svilupparsi in maniera più solida e con un’offerta più vasta e differenziata (principalmente negli Stati Uniti) la vendita di e-book – pur nell’ambito di un deciso mutamento nelle caratteristiche generali del mercato – sembra in grado di compensare il calo del cartaceo. Ma dove il mercato e-book è meno sviluppato, la perdita di lettori su carta non è compensata dall’aumento di lettori di libri elettronici. In altre parole: trovandosi davanti a un tablet come l’iPad, per il quale i libri elettronici disponibili in italiano sono ancora relativamente pochi, poco visibili, poco pubblicizzati e non necessariamente facili da acquistare e usare, l’utente si orienterà verso altre tipologie di contenuti digitali. Gli editori devono abituarsi ad affrontare la concorrenza fra libro e altri contenuti digitali all’interno dei dispositivi di lettura, e per ora non sembrano affatto attrezzati a farlo.

Soffermiamoci per un momento proprio sugli e-book. Il rapporto Nielsen fornisce al riguardo dati sorprendenti, che forse – nel concentrarsi dell’attenzione sul dato certo più eclatante della crisi delle vendite – non sono stati adeguatamente messi in risalto.

Carta / Ebook

Innanzitutto, la percentuale di lettori che hanno acquistato almeno un e-book nel corso del 2011 è dell’1,1%. E’ una percentuale che suggerisce, già a livello di vendite, una penetrazione dell’e-book circa doppia rispetto a quella stimata finora per il 2011 dalla maggior parte degli osservatori (attorno allo 0,5%; qui un esempio). Certo i dati non sono immediatamente confrontabili, perché da un lato si misura il numero dei lettori che hanno acquistato e-book, dall’altro la quota di mercato. Ma i dati disponibili relativamente a paesi in cui la penetrazione degli e-book è più alta che da noi suggeriscono che chi legge e-book tende, con il passaggio alla lettura digitale, ad aumentare e non a diminuire il numero di titoli acquistati, lasciando stabile o semmai aumentando la spesa complessiva. Dunque il dato fornito dalla ricerca commissionata dal Centro per il libro è comunque interessante, perché suggerisce che almeno una parte del fenomeno e-book sfugga alle tradizionali analisi di mercato. Come mai?

Una spiegazione almeno parziale di questo fenomeno può essere data da una caratteristica dell’evoluzione del mercato editoriale che merita credo una specifica attenzione: la tendenza a una separazione sempre più chiara fra due editorie radicalmente diverse, o, se preferiamo, due strategie completamente diverse nel rispondere alle sfide del digitale.

La prima editoria è quella tradizionale: una editoria che in Italia è tutto sommato forte (anche, come abbiamo visto, non in buona salute, sia per la già ricordata crisi delle vendite sia per la notevole dipendenza dal sistema del credito e – su un altro versante – dal mercato librario tradizionale), ha una lunga tradizione, marchi riconoscibili, proposte editoriali che almeno fino a qualche anno fa erano in media ragionevolmente interessanti e differenziate. Questa editoria vede nel digitale una forte minaccia; nella maggior parte dei casi ha avviato la distribuzione di contenuti digitali più per sollecitazione esterna che per effettiva convinzione, e lo ha fatto in maniera estremamente cauta (scarsa promozione, scarsa attenzione alla qualità tecnica, scarso investimento in competenze specifiche), nel tentativo di squilibrare il meno possibile il funzionamento tradizionale della filiera e di danneggiare il meno possibile la distribuzione libraria.

La seconda editoria è quella nata nel e grazie al nuovo ecosistema digitale. Una editoria fortemente innovativa, strettamente legata al mondo del social reading e dei social network, che sperimenta strade nuove sia rispetto alla selezione e all’organizzazione dei contenuti (in genere relativamente brevi) sia rispetto ai modelli di prezzo, e fa largo uso di vendite in bundle e di giornate promozionali con prezzi fortemente scontati. Al suo interno sono presenti molte realtà di microeditoria spesso al confine con il self-publishing, accanto a qualche esperimento più strutturato, come 40K e Quintadicopertina, e a singole collane sperimentali di pochi fra gli editori più affermati.

Se rispetto al mercato editoriale complessivo le quote di questa microeditoria digitale sono davvero minime, rispetto al mercato editoriale digitale – come abbiamo visto, in Italia comunque ancora assai limitato – sono relativamente alte. Si tratta di realtà che probabilmente in molti casi – nonostante l’assenza di spese legate a sedi fisiche, magazzini, tipografia ecc. – non possono essere considerate economicamente autosufficienti o rappresentative di modelli sostenibili sul lungo periodo. Ma si tratta comunque di realtà interessanti, che nello spazio lasciato volontariamente quasi senza presidio dall’editoria tradizionale si sono conquistate un proprio ruolo e una propria visibilità, soprattutto in rete. E’ possibile che le analisi tradizionali sulla diffusione degli e-book abbiano sottostimato il peso di questa ‘seconda editoria’, e che questo contribuisca a spiegare la percentuale certo ancora assai bassa ma sicuramente più alta del previsto di lettori che hanno acquistato e-book nel corso del 2011 (probabilmente senza che a questo acquisto corrispondesse un aumento altrettanto significativo nel valore delle vendite, dato che i modelli di prezzo della ‘seconda editoria’ prevedono in genere prezzi assai più bassi di quelli degli e-book venduti dagli editori tradizionali).

La questione veramente delicata è capire se questa divisione del mercato editoriale digitale – pur nei suoi piccoli numeri – in due realtà fra loro poco o nulla comunicanti non rischi di rappresentare un pericolo per l’evoluzione di un ecosistema digitale maturo. L’editoria digitale ha bisogno insieme di capacità editoriali consolidate e di forti capacità di innovazione: dividere queste competenze in soggetti radicalmente eterogenei, poco capaci di sinergie, potrebbe sul medio periodo costituire un problema notevole, che rischia di indebolire il nuovo ecosistema digitale.

Ma torniamo ai dati relativi alla diffusione degli e-book forniti dal rapporto Nielsen – Centro per il libro. Un dato ancor più sorprendente è quello relativo non già all’acquisto ma alla lettura di e-book: secondo il rapporto, ben il 2,3% dei lettori ha letto un e-book nel corso del 2011. Cosa spiega il salto enorme fra l’1,1% di acquirenti e il 2,3% di lettori? Gian Arturo Ferrari ha indicato, credo a ragione, due cause di questa differenza. Da un lato la forte diffusione di e-book fuori diritti (alcuni dei quali sono peraltro spesso offerti in bundle con i dispositivi di lettura), dall’altro la forte incidenza della pirateria. Pirateria facilitata anziché ostacolata, aggiungerei, dall’uso da parte dei maggiori editori di meccanismi ‘duri’ di protezione dei diritti, inutilmente penalizzanti nei confronti dell’utente senza essere veramente efficaci. Se l’e-book pirata è non solo più economico ma anche più comodo da usare di quello legale, il pericolo che la pirateria metta fortemente a rischio la sostenibilità del lavoro editoriale si trasforma in certezza.

Incapace di creare strati di servizio che rendano gli e-book legali più appetibili di quelli pirata, impegnata più a rallentare che a gestire il passaggio al digitale, ostacolata da una crisi che riduce le risorse utilizzabili per lavorare in maniera innovativa nel nuovo ecosistema, poco lucida nelle scelte dei meccanismi di protezione, l’editoria sembra caduta nella più tipica delle ‘self-fulfilling prophecy’: il digitale, guardato come un pericolo, si trasforma effettivamente in un pericolo; gli errori commessi negli anni ’90 dal mercato discografico nel suo incontro con il digitale, evocati con terrore, vengono poi di fatto pedissequamente ripetuti.

La differenza fra e-book acquistati ed e-book letti è dunque un pessimo segnale per l’editoria: il massiccio ricorso agli e-book fuori diritto non corrisponde a una prodigiosa riscoperta dei classici, ma piuttosto alla povertà che continua a caratterizzare l’offerta digitale ‘mainstream’ (la percentuale di libri in commercio disponibile in formato e-book si aggira intorno al 2%) e alla progressiva espansione della distribuzione pirata, facilitata dagli errori di quella legale. A mitigare solo in parte queste poco confortanti considerazioni sono forse altri due fattori che credo vadano aggiunti ai due indicati da Gian Arturo Ferrari: da un lato, la novità rappresentata dai dispositivi di lettura elettronici determina probabilmente una situazione in cui in una famiglia difficilmente è presente più di un e-reader. In molti casi, il nuovo dispositivo e i titoli che vi si trovano saranno dunque usati da più persone. Dall’altro, la novità rappresentata dall’offerta digitale ha spinto molti fra gli editori che si sono affacciati su questo terreno a offrire gratuitamente alcuni titoli d’assaggio. Non tutti gli e-book gratuiti sono dunque necessariamente fuori diritti: molti possono essere stati offerti gratuitamente per una precisa strategia promozionale.

L’insieme delle considerazioni fin qui svolte suggerisce che, in una situazione di profonda crisi del mercato editoriale, la promozione del libro e della lettura richieda da un lato azioni trasversali capaci di interessare sia il mercato editoriale tradizionale sia quello digitale, dall’altro azioni mirate su ciascuno di questi due mercati. Trasversalmente occorre restituire al libro, alla lettura e ai lettori quel riconoscimento sociale che si è negli ultimi anni fortemente indebolito, con iniziative mirate soprattutto al mondo della scuola. Il nostro sistema educativo sembra costituzionalmente incapace di far percepire il piacere della lettura, e finisce per trasformarla in un obbligo; iniziative come la settimana della lettura proposta da Roberto Casati potrebbero aiutare a cambiare questa situazione. L’esistenza di biblioteche scolastiche funzionanti, concepite non come semplici punti di distribuzione di oggetti fisici ma come sede e strumento di vere e proprie campagne di information literacy, di alfabetizzazione e aggiornamento informativo, capaci di coinvolgere insegnanti e studenti, di frequentare i diversi canali comunicativi e di parlare i diversi linguaggi delle giovani generazioni, non può più essere un lusso limitato a poche scuole privilegiate: deve trasformarsi in una realtà diffusa, risultato di un investimento specifico di energie e di risorse. Così come lo deve essere il funzionamento del sistema bibliotecario nel suo insieme (il 16% dei libri letti, ci dice il rapporto Nielsen, sono presi in prestito dalla biblioteca: un dato che conferma la centralità delle biblioteche come presidio del libro e della lettura in un periodo di crisi).

Ma servono anche iniziative specifiche e differenti indirizzate al mercato dell’editoria su carta (che non scomparirà in pochi anni, e che nel breve e medio periodo conserverà un’importante funzione di produzione e diffusione della cultura, ma che conoscerà difficoltà crescenti e probabilmente ristrutturazioni radicali e dolorose) e a quello del digitale. Nel primo campo, serviranno iniziative che vadano in una direzione ben diversa da quella della Legge Levi: occorre tornare a far percepire il carattere anticiclico del libro, ad esempio attraverso una settimana della lettura fortemente pubblicizzata a livello nazionale e durante la quale il limite agli sconti sia eliminato su tutti i canali di vendita. Occorre aumentare la presenza del libro in televisione (i libri presentati da Fazio conoscono un immediato picco delle vendite; non sarebbe il caso di promuovere presentazioni di libri anche all’interno di altre trasmissioni televisive, garantendo nel contempo una maggiore varietà dei titoli presentati?). Occorre prevedere meccanismi di sgravio fiscale per l’acquisto di libri, in particolare da parte di categorie come insegnanti e studenti. Occorre aiutare le librerie in difficoltà semplificando, ad esempio, l’organizzazione di banchi volanti di vendita di libri presso cinema, teatri, uffici postali, scuole e università.

Quanto al mercato digitale, va ricordato che di per sé la disponibilità di buoni strumenti di lettura e di buoni contenuti da leggere (e-book, riviste, quotidiani, blog, ecc.) in ambiente elettronico non costituisce necessariamente uno strumento di promozione della lettura, ma solo una precondizione per evitare una perdita di lettori. Senza e-book, c’è il forte rischio che le nuove generazioni – abituate a un universo comunicativo interamente digitale – percepiscano il libro come una sorta di corpo estraneo, lontano dal mondo delle loro esperienze e dei loro interessi. Ma il fatto che gli e-book ci siano non basta a garantirne la diffusione. Occorre che gli e-book siano ben visibili nell’ecosistema digitale, e che si lavori a promuoverne – e non a ostacolarne – la diffusione e l’uso. Ma occorre anche che si lavori subito per costruire intorno ai contenuti digitali un ecosistema usabile, produttivo e sostenibile (e, aggiungerei, capace di ‘presentarsi bene’, evitando scivoloni d’immagine). Se non si riesce a farlo, e a farlo in tempi rapidi, il rischio è quello di indebolire l’attenzione verso il libro e la lettura, e di minare strutturalmente il funzionamento del mercato editoriale – già in difficoltà sul cartaceo – anche nel nuovo ecosistema digitale.

Il mondo della testualità digitale è complesso e articolato, ancor più di quello della carta stampata. Vi sono e-book tradizionali ed e-book arricchiti, quotidiani che in elettronico restano organizzati in forma tradizionale e quotidiani che sperimentano nuove tipologie di contenuti e nuove forme di organizzazione dei contenuti, riviste tradizionali e riviste interattive, blog, contenuti costruiti per aggregazione a partire dai social media, ecc. Credo che la promozione della lettura debba riguardare tutte queste forme di testualità, ma che all’interno di questo panorama la forma-libro, in tutte le sue articolazioni, debba conservare una qualche centralità, in quanto caratterizzata da un’attenzione specifica verso la costruzione di contenuti (argomentativi o narrativi) complessi e articolati. Nel mondo digitale la forma-libro non è più l’unica forma della complessità, ma rimane – almeno per il prevedibile futuro – quella per molti versi più significativa ed efficace. Agli operatori del settore, ma anche alla società civile interessata al futuro del nostro paese, spetta il compito di salvaguardarne il ruolo, rispondendo nel modo migliore a sfide culturali, tecnologiche e di mercato certo non facili.

[da questo articolo è stato tratto un ebook per Ledizioni con una selezione di commenti, una conclusione e tre brevi articoli su testi scolastici, diritto d’autor/copyright, prestito bibliotecario ]

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36 Commenti

  1. Molto interessante, anche se lunghissimo. Molto appropriata la parte sul mercato ebook, sfrondata dalle semplificazioni di Ferrari che avevo letto sul Sole24ore. Ma è un contributo originale di Roncaglia per NI, oppure è stato pubblicato altrove?

    Kudos a Quintadicopertina per la menzione.

  2. Mi sembra che il problema editoriale sia stato affrontato con estrema chiarezza a monte della difficoltà di vendita del ibro cartaceo la cui percentuale in Italia è molto bassa, ma dobbiamo considerare il digitale alle sue prime esperienze che dovrà coinvolgere i giovani e le masse studentesche che non possono accedere naturalmente alle biblioteche o alle librerie salvo che in rare occasioni.Aumentare l’interesse di questo programma digitale significa credo aumentare anche le possibilità di vendita e commercio.

  3. Sono una “lettrice forte”. Ho la casa piena di libri. Negli ultimi anni ho smesso quasi del tutto di comprarne per vari motivi: 1- La spesa. I libri costano cari e se ne leggi uno a settimana, comprare tutti quelli che leggi diventa veramente oneroso. 2- Il senso di saturazione che provo ormai da tempo per tutte le merci e che coinvolge anche i libri in quanto oggetti ingombranti e, alla finn fine, inutili. 3- La scarsità di attrattiva: molti dei libri che vedo in libreria mi sembrano poco attraenti, poco interessanti. Rimedio frequentando la biblioteca della mia città e facendomi prestare qualcosa.

  4. l’accenno di marisa alla biblioteca mi dà il destro di segnalare la percentuale del tutto significativa di libri letti che derivano da prestito bibliotecario. quel 16% è interessante per almeno due motivi: uno che la percentuale di mercato rappresentata dalle biblioteche è davvero molto inferiore (credo si stabilizzi intorno al 3% ma forse anche meno); l’altro è che la presenza del servizio bibliotecario sul territorio nazionale è molto diseguale e quindi quel 16%, in determinate aree, diventerà certo ancora più ampio.

  5. Anch’io ho sono un discreto lettore, ma negli ultimi anni ho cominciato a comperare libri online e a ricorrere sempre più spesso al prestito in sostituzione dell’acquisto.
    In effetti sarebbe interessante sapere qualcosa di più sull’andamento del prestito bibliotecario. I dati del Comune di Bologna, ad esempio, mostrano una crescita del prestito solo nelle biblioteche di quartiere (http://www.comune.bologna.it/iperbole/piancont/dati_statistici/Indici/Cultura%20e%20sport/index.htm).

  6. Anch’io compro meno libri di prima. Mi ritrovo più spesso a leggere on line (magari Nazione Indiana!), a scaricare ebook. Marisa coglie nel segno quando fa riferimento ad un senso di saturazione, direi un esaurirsi progressivo di quel “quid” che rendeva il libro un oggetto diverso, estraneo, almeno in parte, alle leggi di mercato. Non credo che stiano diminuendo i lettori. Certo, questi saranno sempre più donne che uomini, più gay che etero, ma questo per ragioni essenzialmente psicologiche, legate alla “posizione mentale” necessaria per amare la lettura. Ma questo è un altro tema :-)

  7. sul prestito, posso dire che, nella realtà in cui lavoro io, ovvero l’insieme dei sistemi della provincia di brescia, i numeri sono in aumento da anni (http://tinyurl.com/6e7f5cf). anzi: la fortuna del prestito inizia a diventare un vero e proprio problema logistico, di coordinamento, di allocazione delle risorse.

  8. Sarebbe sicuramente interessante capire se c’è qualcosa che non funziona anche nell’offerta (troppo vasta e dispersiva per riuscire a focalizzare attenzione e dibattito su singoli titoli?). Se questo fosse uno dei problemi (e portasse a ripensare scelte e organizzazione dell’offerta editoriale) devo dire che non mi dispiacerebbe. Temo però che – anche se suggestiva – questa spiegazione non riesca a dar conto di tutte le caratteristiche del fenomeno: il mercato editoriale in fondo non era molto meno dispersivo due o tre anni fa. Quelli che invece due o tre anni fa mancavano erano strumenti comodi e ragionevolmente diffusi per poter aggregare contenuti web e leggerli su dispositivi come i tablet e gli smartphone.

    Concordo pienamente sull’interesse dei dati relativi a penetrazione e ruolo delle biblioteche, che sarebbe molto interessante integrare sistematicamente con quelli provenienti dai sistemi bibliotecari.

  9. Articolo molto lucido e “panoramico”.

    Alle cause della crisi del libro però bisogna aggiungere la “cronofagia” di altri strumenti di seduzione dell’attenzione.

    Ho un’amica lettrice forte e dottoranda a lettere.
    Si è iscritta l’anno scorso a un social network.

    Da allora, mi diceva, non legge quasi più libri.
    Semplicemente utilizza il suo tempo libero per fare altro, vedere
    foto di ex fidanzati, leggere commenti.

    C’è anche un effetto novità di certi (relativamente) nuovi strumenti
    esaurito il quale il libro ritornerà forse ad avere lo spazio che aveva
    prima nel nostro tempo libero.

    Gherardo, tu cosa ne pensi?

  10. @marco: la tua amica probabilmente cercava nella lettura qualcosa che ha trovato in facebook ;-) (ma anche: facebook è una forma narrativa che può risultare estremamente coinvolgente, sotto certi punti di vista quasi bachtiniana)

  11. A me piacerebbe leggere qualche studio sul fattore tempo: cioè quanto è calato il tempo medio da dedicare alla lettura (ma non solo, anche all’informazione sulla stessa, cioè la scelta del libro da leggere) col mutare delle condizioni economiche e di vita? Ho idea che il tempo sia sempre più scarso, perché deve essere dedicato alla sopravvivenza, alle problematiche materiali in continuo aumento. Per cui diventa più difficile navigare nei cataloghi, nei cori urlati di “strilli” (il supercapolavoro, cento milioni di copie nel mondo, un esordio travolgente e così via). Insomma, la lettura deve combattere con la scelta dell’assicurazione, del contratto di telefonia, dell’acqua, del gas, della luce, e mi piacerebbe capire a che punto è l’economia del tempo.

  12. Gino Roncaglia domanda: “Ma è possibile che i lettori italiani si siano accorti improvvisamente, tutti insieme, della crisi economica proprio nell’ultimo trimestre del 2011, dopo averla ignorata nei tre anni precedenti, incluso il catastrofico 2009?”.
    Direi di sì.
    Per un paio d’anni abbiamo avuto un governo che è andato avanti a dire che tutto sommato la crisi ci passava a lato, non ci investiva; oppure era già passata; oppure c’era, ma non era poi questo gran che; eccetera. Dopodiché

    quel governo è andato a ramengo, l’Unione europea ha preteso cure da cavallo, si è installato un governo che ha promesso lacrime e sangue, eccetera, e si è potuto dire apertamente in ogni luogo che la situazione è tragica.
    Quindi, i consumi si sono contratti.
    O dico sciocchezze?

    • Concordo senz’altro con questo commento e con il successivo sul fatto che la percezione della crisi – e la sua incidenza sul portafoglio – sia maggiore oggi che nel 2009. E non nego che una componente di crollo delle vendite legata alla crisi ci sia: è indubbio. Ma non credo che questi dati spieghino tutto. Se si trattasse di pura percezione della crisi, il calo sarebbe *comunque* dovuto cominciare nel 2009. Certo, il PIL da solo non spiega tutto, ma un crollo di oltre il 5% si sente eccome, e nelle vendite dei beni percepiti come ‘costosi’ ha influito chiaramente: nel 2009 sono scese di oltre il 30% le vendite delle macchine di lusso, è sceso di oltre l’11% il mercato della casa, sono scese di circa il 4% le vendite dei piccoli esercenti al dettaglio… ma evidentemente nel 2009 il carattere ‘anticiclico’ del libro funzionava ancora, e le vendite di libri non sono scese. Il crollo invece è cominciato nell’autunno 2011, ed è stato repentino e traumatico. I dati AIE (http://bit.ly/GY8QCw) parlano di un -36,3% in soli quattro mesi, fra ottobre 2011 e gennaio 2012: un dato ancor peggiore di quello dell’inchiesta Nielsen. Credo che un crollo così drammatico – ben più forte di quello che pure c’è in altri settori, come il cinema – si possa spiegare solo con un concorso di più fattori. Resto però dell’idea che i più importanti siano due: 1) il libro non è più percepito come un bene anticiclico (e su questo un po’ di responsabilità la legge Levi secondo me le porta); 2) grazie a tablet, smartphone & c. i contenuti digitali (certo, inclusi i social network!) sono ora disponibili non solo sul computer che abbiamo sulla scrivania, ma anche nelle stesse situazioni d’uso (in poltrona, a letto, in treno…) in cui prima leggevamo libri. Sicuramente, anche una certa saturazione del mercato e dei lettori provocato dalla bolla di sovrapproduzione editoriale degli ultimi anni conta, ma anche qui, non è facile – senza considerare i due fattori appena citati – spiegare perché questa saturazione abbia avuto effetti così improvvisi e traumatici.

  13. Beh, come la mette Mozzi, si potrebbe credere che sia prevalso un elemento di natura psicologica (…si è potuto dire apertamente…).
    Mi pare piuttosto che prima del luglio 2011 Tremonti per contenere il deficit di bilancio si era affidato prevalentemente a tagli della spesa degli enti territoriali ed autonomi vari, anche nel reparto istruzione e ricerca, molto meno (quasi nulla) per quanto riguardava le spese ministeriali vere e proprie.
    Da luglio, si è cominciato a fare sul serio direttamente sui consumatori, come si può facilmente illustrare con il lievitare del prezzo dei carburanti. Quando con la stessa cifra compri poco più della metà del volume di benzina che compravi fino a pochi mesi prima, non ti resta che ridurre l’uso dell’autovettura, mi sembra inevitabile.
    La manovra in realtà si completerà, almeno per il momento, ad ottobre. Nel frattempo, avremo ancora l’IMU che sarà molto più pesante dell’ICI, e poi, salvo provvedimenti differenti, avremo ancora due punti percentuali in più di IVA.
    Allora sarà chiaro quanto meno guadagneremo, e quanto più ci costerà comprare la stessa quantità di merce di appena un anno prima, ed allora i consumi si contrarranno.
    Perchè ripartano, biaogna che circoli più denaro, proprio l’esatto contrario di quanto sta facendo Monti con le nuove imposizioni e i nuovi tagli.
    Fortuna che egli ci assicura che basta aprire di notte i negozi perchè questi si riempino di clienti desiderosi di spendere e spandere: ancora ieri ho visto il personale di sorveglianza del supermercato che cacciava fuori frotte di clienti
    con carrelli pieni di roba di ogni tipo: peccato che le casse fossero già chiuse :-D

  14. Attenzione che ad usare una grandezza come il PIL in modo isolato ci si capisce poco. A me pare proprio che la crisi – o meglio la seconda parte della crisi dell’Eurozona – stia colpendo i nostri portafogli individuali soprattutto adesso. Chi aveva già perso il lavoro sta esaurendo le risorse sociali, familiari o personali, o teme di esaurirle, per gli altri la parola d’ordine è austerity, e tocca ammettere che i libri non si mangiano. A parte ci sono i lettori forti molto ricchi, che semmai rinunciano ad una nuova palazzina, non a un meridiano mondadori. Sull’effetto psicologico della legge Levi non saprei dire. Per quanto mi riguarda, e per tutti i lettori forti che conosco, la faccenda è molto semplice: entriamo in libreria con tot euro, intenzionati a spenderli comprando il maggior numero di libri possibile, perché vogliamo leggere tanto. Se prima potevamo spendere tot, ora spendiamo meno di tot. Se prima sforavamo, trafitti dai sensi di colpa, ora ci controlliamo. E’ dura controllarsi. C’è poi il problema dello spazio, come scriveva marisa salabelle: il lettore forte e fortissimo, superato un certo livello di accumulazione libraria, deve fermarsi. Certo, qualcosa si può regalare ma sino a un certo punto. Quel lettore, che spesso fa parte della piccola borghesia declassata, mica si può permettere di prendere un appartamento dedicato al deposito dei libri – c’è chi può farlo, eh.

  15. Mi sono un po’ perso nelle cifre, ma mi è rimasta l’impressione che il calo nelle vendite dei libri cartacei sia molto più alto di quanto conti la crescita degli e-book. Credo che il commento n.4 centri qualcosa di importante: c’è un senso di saturazione nei lettori, ormai i libri sono tutti uguali, giallo, giallo-nero, noir, una scopata a pag. 80 e un’altra a pag. 160, un omicidio a pag. 30 e altri due o tre sparsi fra pag.90 e pag. 150, poi la soluzione a pag.180 (la più inverosimile che si riesca a immaginare è comunque risaputa) e dieci doverose pagine di anticlimax. Mi pare che i lettori siano stati fin troppo bravi a continuare a leggere e abbiano resistito alla sazietà anche troppo a lungo. Cosa ne direbbero i nostri editori di pubblicare anche qualcos’altro?

  16. Cito Gino Roncaglia:

    «Uno smartphone di ultima generazione o un iPad sono portatili come un libro».

    «trovandosi davanti a un tablet come l’iPad, per il quale i libri elettronici disponibili in italiano sono ancora relativamente pochi…»

    A questo punto, vorrei fare una piccola precisazione tecnica.

    I tablet (come l’iPad, ma ce ne sono innumerevoli altri) non sono stati pensati come dispositivi di lettura. O almeno non solo per quello. Potremmo vederli piuttosto come la naturale evoluzione dei notebook. Certo, tra le tante funzioni di cui dispongono, troviamo anche la possibilità di leggere ebook. Ma questo può farlo anche un normale notebook o il più obsoleto dei computer, basta scaricare ADE di Adobe.
    Altro discorso, invece, meritano gli ebook reader, che sono (o dovrebbero essere) i veri “media” del mercato dell’editoria digitale.
    Cito di nuovo Roncaglia: «in una famiglia difficilmente è presente più di un e-reader». A questo punto è lecito chiedersi: il dato si riferisce agli ebook reader o ai tablet?
    La precisazione finisce qua.

    Poi volevo fare due considerazioni di merito.

    La prima.
    Negli Stati Uniti, il mercato degli e-book è floridissimo ( http://bit.ly/GZY4L7 ). Per lo stesso motivo, il fenomeno della pirateria è sicuramente più diffuso di quanto possa esserlo in Italia.
    Ergo: non necessariamente la pirateria mette in crisi il mercato dell’editoria digitale. Anzi – analizzando settori merceologici diversi – c’è chi lascia intendere che è vero l’esatto contrario ( http://bit.ly/oYOglD ).
    Mi pare strano che da noi si voglia fare la guerra ai pirati prima ancora che il bastimento abbia levato l’ancora.

    La seconda.
    L’eBook è ancora concepito come la trasposizione del libro cartaceo in formato elettronico. In realtà, mi convinco sempre di più che siano due forme espressive essenzialmente diverse. Una differenza paragonabile a quella che esiste tra pittura e video. Tra Michelangelo Merisi e Orson Welles.
    Per il momento dobbiamo accontentarci di vivere il dilemma se acquistare un romanzo (o un saggio) in formato digitale o cartaceo. Tra non so quanti anni questo potrebbe non accadere più, perché le forme espressive sviluppate attraverso gli strumenti elettronici saranno definitivamente incompatibili con il supporto cartaceo.
    Tuttavia, prima che la “letteratura elettronica” possa raggiungere esiti narrativi davvero notevoli – penso a un’opera paragonabile a quello che rappresentano “I fratelli Karamazov” per il mondo dei libri di carta –, credo si renda necessaria una nuova stagione di sperimentazione. Un atteggiamento più creativo, che ripensi la forma-libro e abbia il coraggio di esplorare le potenzialità tecniche e linguistiche di questo nuovo strumento.

    Cito Roncaglia:
    «Questa situazione sposta all’interno dei dispositivi portatili, e all’interno delle loro situazioni di fruizione, la ‘battaglia dei contenuti’ che la forma-libro deve affrontare.»
    Concordo in pieno.

    • Marco, credo che siamo tutti al corrente delle differenze tra tablet, smartphone ed ereader, compreso l’autore. Quel che va sottolineato è che telefoni ed mp3player sono già oggi un enorme piattaforma di potenziale lettura, non comoda, non ottimale, ma disponibile già oggi senza costi aggiuntivi. Ne ho scritto qui, per esempio:
      https://www.nazioneindiana.com/2012/01/30/dove-leggere-un-ebook/

      Sulla forma libro, è la stessa cosa che dice QuintadicopertinaFabrizio Venerandi:
      < < È stato interessante vedere come l’ecosistema descritto con chiarezza (e fascino) dagli editor Mondadori, basato su testi creati per diventare libro, fosse sostanzialmente identico a quello degli editori digitali, che ammettevano di fare libri digitali perché non potevano farli di carta; o ancora nei blogger che chiedevano agli ebook di non allontanarsi dalla lineare narrazione romanzo/libro. Mentre parlavo di ebook come servizio o come accesso ad ambienti di scrittura connessi tra lettore e scrittore, mi sentivo un po’ come quello che razzola nel deserto (di predicare ho finito). Esperienze come theincipit, le polistorie o come la letteratura elettronica restano indigeribili per nativi digitali che separano ancora il messaggio dal mezzo.>>

      qui:
      http://salvoesaurimentoscorte.wordpress.com/2012/02/01/il-futuro-anteriore-dellebook/

      • jan ti quoto tutto! in effetti, virtualmente nessuno degli attori dell’industria legata al libro riesce a togliere mentalmente lo sguardo dalla rilegatura. continuano a considerare il futuro del libro come una qualche versione eterea del codex e sfugge loro l’evoluzione in corso, orientata alla produzione di contenuti “sciolti”, più o meno aggregabili, condivisibili, passibili di essere rimessi in circolo. un’esperienza significativa è usare una di quelle applicazioni tipo feedly (che non è niente di più di un feed reader) per capire che cosa può essere il prossimo “libro”.

        qui: http://www.minimaetmoralia.it/?p=7003
        un intervento di lagioia che al capoverso “Letteratura e nuove tecnologie II” dà un esempio di questa cristallizzazione.

        • @ gherardo bortolotti

          Molto affascinante l’esempio di feedly. Sono tuttavia d’accordo con Roncaglia quando dice che, anche nel complesso mondo della testualità digitale, «la forma-libro, in tutte le sue articolazioni, debba conservare una qualche centralità».

          Una cosa è certa, però: l’elaborazione elettronica del testo sta erodendo piano piano il potere del modello lineare del libro. E soprattutto sta modificando il nostro modo di interpretare la realtà. Non si procede più per singoli scorci prospettici gerarchicamente ordinati. La nostra visione del mondo è diventata reticolare: una sintesi, in continua evoluzione, di molteplici punti di vista. Certo, si tratta comunque di una percezione parziale, ma decisamente più complessa e coinvolgente (perché condivisa).

          Da qui, mi ricollego all’intervento di Lagioia da te menzionato http://www.minimaetmoralia.it/?p=7003
          Solo per fare tre rapide considerazioni.

          Cito:
          «Chiedersi (è il tema dell’anno) cosa ne sarà della letteratura con il cambiamento del supporto di cui ci serviremo per leggere – dalla carta all’e-book, all’I-Phone, al web – è invece un falso problema ontologico. Si tratta di un falso problema perché non sono carta, e-book, I-phone, web il vero supporto della letteratura, bensì (direttamente) il cervello umano. La letteratura è fatta di linguaggio e il linguaggio è la forma di comunicazione più astratta e sofisticata a nostra disposizione perché è l’unica che per esistere non necessita di un supporto che sia fuori di noi.»

          Non c’è bisogno di scomodare il solito McLuhan per ipotizzare il contrario. Infatti, che i modi primari di produzione influiscano sulla coscienza e diano forma alle sovrastrutture culturali non è proprio una novità, dopo Marx.
          Che il linguaggio poi non abbia bisogno di ciò che è “fuori di noi” mi sembra una tesi molto vicina all’innatismo razionalistico di Leibniz. Il quale, a parte questo, era e rimane un genio.
          Comunque, che l’evoluzione del pensiero, e del cervello, derivi dal continuo processo di adattamento alla realtà, non sono io a dirlo, ma teorie decisamente più autorevoli. Il darwinismo neurale di Edelman, per esempio.

          Altra citazione:
          «Interrogarsi su come la rivoluzione digitale inciderà sulla letteratura è un buon punto di avvio. Ma siamo sicuri di sapere sempre chi agisce su chi in questa complicata faccenda? Forse la vera domanda è: come la letteratura rivoluzionerà la rivoluzione digitale a proprio uso e consumo.»

          Forse. Ma forse è possibile anche il contrario. Forse la rivoluzione digitale sta già modificando il nostro modo di pensare e quindi anche di scrivere libri. Compresi i libri cartacei (e un esempio è proprio il testo che Lagioia sta recensendo).
          È ovvio, per molto tempo ancora la letteratura in Italia sarà di carta: ma per fattori economici (“di mercato”), non certo culturali.

          Ancora:
          «Questa continua produzione di narrazioni è, oggi, il linguaggio mainstream. Vale a dire la lingua del potere (si pensi alla drammaturgizzazione in progress della vita politica).»

          Non è vero piuttosto il contrario? Il “campo simultaneo” dei media elettronici (Internet) crea le condizioni per rispondere alla pressante domanda che viene dal basso di dialogo e di partecipazione. A differenza dei media tradizionali, che sono sempre il frutto unilaterale di un’iniziativa privata.
          Forse il p o t e r e oggi, più che una faccenda pubblica (legata alla politica), è un affare privato (sottoposto ai dettami dell’industria culturale). Anzi, forse non rimane che la politica per riuscire ad arginare lo strapotere dei privati nelle faccende culturali. Magari adottando le sacrosante iniziative qui suggerite da Roncaglia.

          @ jan

          Non metto in dubbio la preparazione dei lettori di NI, né tanto meno la grande competenza di Gino Roncaglia in tema di informatica applicata alle disciplina umanistiche. Credo che il testo qui presentato sia uno degli interventi più esaustivi, lucidi e interessanti che mi sia capitato di leggere in rete sull’argomento.
          “La quarta rivoluzione” è un’opera fondamentale che va assolutamente letta da quanti vogliano seriamente e criticamente affrontare il problema del “futuro del libro”.
          Il mio era solo un tentativo (poco brillante, evidentemente) per segnalare un fatto alquanto strano: la sempre più ricorrente associazione tra dispositivo-elettronico-di-lettura e iPad. Un’inezia, d’accordo. Una pagliuzza su un tir carico di travi gigantesche, ok. Tuttavia è una metonimia che francamente non riesco a digerire. {Mah… Una precisazione che forse potevo risparmiarmi…}

          Ho apprezzato molto l’ironia usata da Fabrizio Venerandi nel suo blog a proposito del futuro (anteriore) dell’ebook.

          • Concordo con quasi tutte le vostre considerazioni, vorrei spiegare però perché qui secondo me il discorso tablet-smartphone è *molto* più rilevante di quello legato agli e-reader basati su e-paper (di analogie e differenze fra queste due tecnologie, e delle rispettive caratteristiche, ho scritto abbondantemente altrove). Il punto è proprio quello che ricorda Marco: gli e-reader sono dispositivi dedicati, tablet e smartphone sono multifunzionali. Se avessimo solo gli e-reader, avremmo una concorrenza fra due dispositivi (il libro su carta e l’e-reader) che – allo stato attuale di evoluzione dell’e-paper – sono usati per fare sostanzialmente le stesse cose, e per leggere sostanzialmente lo stesso tipo di testi. L’e-reader potrebbe conquistare lettori a scapito della carta, e forse determinare un lieve aumento delle vendite per via del fattore ‘acquisto d’impulso’. Ma la lettura di libri, complessivamente, non dovrebbe diminuire, se non per l’intervento di altri fattori esterni. Su tablet o smartphone la situazione cambia: li posso usare per leggere libri (in modo più o meno efficace a seconda dei dispositivi e delle preferenze personali) ma li posso usare – e li uso – per fare molte altre cose: social network, navigazione web, filmati, ecc.. E queste cose le posso fare nelle stesse situazioni d’uso del libro: in poltrona, in bagno, a letto, in treno… non più solo sulla scrivania. Inoltre, smartphone e tablet sono molto più diffusi degli e-reader. Dunque, se è vero (come credo) che questa concorrenza a libro e lettura si faccia sentire, la responsabilità è di smartphone e tablet, ed è per questo che ho parlato solo di questo tipo di dispositivi. Gli e-book reader non tolgono oggi spazio a libro e lettura tradizionali, ma li propongono su un supporto alternativo. Gli smartphone e i tablet tolgono spazio al libro, e sostituiscono la lettura tradizionale con la lettura di contenuti assai lontani dalla forma-libro, o con la fuizione di contenuti non testuali, come i filmati. Concordo infine sul fatto che in futuro il discorso dovrà riguardare anche e-book con struttura e contenuti assai diversi rispetto alla forma-libro alla quale siamo abituati. In questo momento però di e-book davvero multimediali ce ne sono pochi, e (purtroppo) praticamente solo su iPad: sono un fenomeno importante e meritevole di ogni attenzione, ma non hanno un ruolo diretto nel tracollo del mercato editoriale che si è manifestato negli ultimi mesi.

          • Solo un corollario: non limiterei alla multimedialità gli aspetti di originalità del ‘libro’ elettronico rispetto a quello cartaceo. I motivi di interesse a mio parere sono più ampi e in alcuni casi già applicabili oggi a device e-ink come a tablet o smartphone. L’utilizzo di materiali della rete, dai tweet ai blog, per ricostruire azioni ed eventi; la pubblicazione in divenire di materiali in fase di composizione; la creazione di strutture di lettura non lineare; la condivisione di apparati meta-testuali da parte dei lettori; la coesistenza nello stesso luogo di analisi e fonti delle analisi; aggiornabilità del testo man mano che cambiano le informazioni su cui in testo si basa: i luoghi della filiera editoriale che vengono toccati da una progettazione “nativa” digitale sono diversi e hanno visibilità e impatti diversificati a seconda dei contenuti. La multimedialità è certamente un elemento importante, forse tra quelli citati è quello più ‘visibile’, anche in termini commerciali. Ma sul medio termine penso che verrà assorbito in un quadro più ampio (come poi -mi pare- sia successo anche nel web).

  17. Analisi interessante sulla quale riflettere. Per il digitale un punto chiave è quello che cita Roncaglia: “occorre anche che si lavori subito per costruire intorno ai contenuti digitali un ecosistema usabile, produttivo e sostenibile”. È un tema importante che richiede anche una riflessone su quali siano gli attori che gestiscono e gestiranno questo ecosistema.

  18. Non per fare il bastian contrario a tutti i costi, ma ho come l’impressione che qui si capovolga la situazione.
    Che la disponibilità di testi in formati digitali offra nuove potenzialità, credo che nessuno possa negarlo, ma l’argomento “ebook” non è il vecchio che sopravvive in un nuovo ambiente appena creato. Mi pare che le cose stiano all’opposto, che cioè mezzi digitali ormai da decenni disponibili, anche se nel frattempo evolutisi anche in maniera sostanziale, tentino di ricevere con successo contenuti finora affidati al cartaceo, che quindi la novità stia proprio in questo.
    Mi pare che in alcuni commenti invece si dia per scontata questa specifica applicazione, come da tempo acquisita e riduttiva, rispetto a nuove modalità di fruizione e a nuove possibilità espressive. Mi chiedo allora perchè mai si sia atteso così tanto perchè queste nuove forme espressive cominciassero a proporsi.
    Per evitare quivoci, non è che io abbai nulla rispetto a qeusti sviluppi differenti, che sboccino mille differenti fiori, ma mi pare che con questo approccio si rischi di aggirare il punto specifico riguardante proprio il passaggio del libro tradizionale al supporto digitale, come se questa cosa fosse acquisita e già appartenente al passato.

  19. Molto interessante, concordo con Marco Cetera sulla pirateria: un problema che per adesso ancora non si pone. si rischia di fasciarsi la testa e non andare avanti per difficoltà che attualmente hanno ridottissima pertinenza nel quadro globale, anzi: potrebbe essere un volano per la diffusione di una cultura editoriale anche digitale e per l’analisi di problematiche a venire (meglio un testo piratato che uno legalmente acquistato ma troppo chiuso?).
    Roncaglia poi dice che “occorre riuscire a rendere molto più visibile, innovativo e concorrenziale il mercato degli e-book”, anche per capire quanto l’ecosistema digitale possa avvalersi di un modello economicamente sostenibile. Ci si muove in un quadro estremamente frammentato, mancano soggetti grandi sostenitori di grandi progetti (e mancano anche proposte innovative dove digitale e carta si supportano reciprocamente). Se questo lascia spazio alle microimprese porta più difficoltà a fare numeri e quindi anche cultura.
    Ultimo punto i giovani e l’educazione alla lettura (digitale): alla fiera di Bologna l’innovatività nel settore ragazzi si comunicava con le applicazioni, ebook e digitale sono un capitolo ancora aperto e non definito, il confronto con l’interattività delle app è più forte che in altri settori, e l’incertezza su formati e device non dà possibilità di ragionare su strategie… Insomma ci sarebbe bisogno se non di una visione condivisa almeno di sinergia e collaborazione fra operatori di settori diversi (digitale, editoria tradizionale, settore educativo e culturale) che stentano a costruire pratiche al di là delle tavole e delle parole.

  20. Due parole sul tema della pirateria. Conosco bene – e in parte condivido – le tesi di chi sostiene che la pirateria non debba necessariamente rappresentare un ostacolo alla crescita del mercato editoriale digitale. Nel caso del software, ad esempio, la pirateria ha rappresentato probabilmente un volano per lo sviluppo del settore. Perché però la pirateria possa svolgere questa funzione occorrono due condizioni: 1) la pirateria deve fornire contenuti appetibili ma ‘non ottimali’ (il software pirata non ha manuali, aggiornamenti, ecc.) e 2) il mercato legale deve fornire contenuti ottimali (più comodi) e affiancare ai contenuti dei servizi (help desk, aggiornamenti, contenuti integrativi on-line, siti dedicati ecc.). Purtroppo, in parte per miopia degli editori nella scelta dei sistemi di protezione, delle licenze e dei meccanismi di distribuzione, in parte per limiti oggettivi, in parte perché non abbiamo ancora pensato abbastanza al tema dei servizi a valore aggiunto che possono accompagnare l’e-book, la situazione attuale è molto diversa: gli e-book pirata sono magari meno curati editorialmente ma, essendo privi meccanismi duri di DRM, sono spesso più comodi da usare – e non meno comodi – degli e-book ‘legali’. E i servizi a valore aggiunto che potrebbero fare la differenza non ci sono ancora (anzi, perfino ePub3 non si è ancora davvero posto il problema di cosa questi servizi potrebbero essere, e di come potrebbero funzionare). Dunque attualmente la pirateria *è* un pericolo – e un pericolo notevole – per la creazione di un ecosistema editoriale sostenibile in ambito digitale. Paradossalmente, lo è proprio perché è in parte giustificata. Credo che anche chi, come me, ma anche come tanti editori indipendenti, preferisce meccanismi di DRM sociale, si renda conto del fatto che la pirateria incide sulle vendite – e questo, su un mercato ancora piccolo e che deve crescere, è un problema.

  21. Altra breve nota sul tema, affascinante, dell’uso del tempo. L’ISTAT rileva parecchi dati al riguardo (gli ultimi qui: http://www.istat.it/it/archivio/52079) ma che io sappia non ci sono lavori che li analizzino a fondo e provino a collegare ad es. le variazioni nell’andamento mercato del libro e nella diffusione della lettura con le variazioni nelle abitudini di uso del tempo libero. Credo sarebbe un’analisi molto interessante da fare. Se qualcuno conoscesse letteratura al proposito (o avesse voglia di lavorarci sopra), sarebbe prezioso.

  22. segnalo un articolo http://blog.smashwords.com/2012/03/does-agency-pricing-lead-to-higher-book.html che mi è capitato di leggere oggi (originato da una disputa di natura legale descritta qui http://online.wsj.com/article/SB10001424052970203961204577267831767489216.html). L’autore è parte in causa, ma l’analisi del rapporto editore-distributore di ebook, delle politiche di prezzo e degli effetti sulla remunerazione dell’autore e sul consumatore (negli USA, almeno) mi sembrano interessanti

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