Il tuffo
di Sergio Garufi
L’11 settembre 2001 più di 200 persone si lanciarono nel vuoto per sfuggire alle fiamme e al fumo che avvolgevano il World Trade Center . Alcuni adoperarono una tovaglia come fosse un paracadute, altri si buttarono in coppia, tenendosi per mano. Furono chiamati jumpers, saltatori, ed esistono innumerevoli fotografie che li ritraggono sospesi nel vuoto in quei tragici istanti. L’immagine che più ha colpito l’immaginario collettivo ritrae una posa composta, armoniosa, da tuffatore. Il protagonista precipita perfettamente in asse con l’edificio, la testa perpendicolare al pavimento che lo attende, quasi indifferente al suo destino, le braccia distese lungo i fianchi, i vestiti aderenti al corpo e una gamba leggermente piegata. Del volo di quest’uomo esiste una sequenza di 12 fotografie, tutte scattate da Richard Drew alle 9.41 di quella mattina. Negli altri scatti i movimenti sono scomposti, disperati, com’è naturale che siano. La casacca si apre e mostra una maglietta arancione, le braccia si allargano, la posizione del corpo ruota fino a diventare orizzontale, l’espressione del viso è allucinata, consapevole della fine.
Le fotografie di Drew furono utilizzate per cercare di dare un’identità a quell’uomo. Due anni dopo l’attacco alle torri gemelle, Tom Junod della rivista Esquire scrisse un articolo dal titolo The falling man, in cui tentava di ricostruirne la storia. Attraverso ingrandimenti si notò che la sua pelle era scura, che il volto aveva un pizzetto, e che la giacca era del tipo di quelle in uso presso i dipendenti del Windows of the World, il ristorante all’ultimo piano della torre nord. Ben 79 impiegati di quel ristorante erano morti la mattina dell’11 settembre. Si pensò a un ispanico, Norberto Hernandez, che faceva il cuoco di pasticceria e viveva nel Queens. Inizialmente le figlie e la moglie si rifiutarono di parlare con i giornalisti. Alcuni miseri resti di Hernandez erano stati rinvenuti fra le macerie e il test del DNA aveva confermato la sua identità. Durante i funerali la figlia maggiore acconsentì a guardare l’immagine, e rispose che “quel pezzo di merda non è mio padre”.
L’idea disturbante e inaccettabile era quella del suicidio. Suo padre non poteva aver scelto di morire, sebbene la scelta riguardasse unicamente la modalità della propria morte, non il fatto di morire. La reazione della figlia, che qui e ora appare del tutto ingiustificata, a New York e in quei giorni rifletteva in realtà un sentimento diffuso, più di orrore che di pietas. I quotidiani che il giorno successivo alla tragedia pubblicarono quella foto furono subissati di telefonate, mail e lettere di protesta. L’accusa era di voyeurismo morboso, così la foto di Drew sparì dai telegiornali e dalla carta stampata per venir relegata nello spazio libero del web. Poco a poco tutte le immagini dei jumpers subirono la stessa sorte, prima riducendosi a piccoli punti indistinti ripresi in campo lungo, e infine totalmente censurate. Il tabù del suicidio, nel caso di Hernandez, si univa all’intollerabilità della qualità estetica dell’immagine. La morte non può essere bella, meno che mai una morte volontaria, seppur indotta, anche perché una morte bella può essere una morte desiderabile.
Pure David Foster Wallace l’aveva fatto notare, nel saggio intitolato La vista da casa della Sig.ra Thompson (incluso in Considera l’aragosta, Einaudi), parlando della “abominevole bellezza di quei filmati”. Tommaso Pincio, in uno splendido pezzo uscito sul Manifesto del 30/6, recensisce l’ultimo libro di Don DeLillo, intitolato The falling man(Scribner, pp.256, $26), e si sofferma sul brano in cui un artista, appeso a un cavo con un’imbracatura come un trapezista, mima la posizione ritratta nella celebre foto di Drew, suscitando per le vie di New York sdegno e irritazione nei passanti. Pincio sostiene che DeLillo intende mostrarci la qualità estetica di quella tragedia, qualcosa che molti pensano ma che nessuno oserebbe chiamare col suo vero nome: un’opera d’arte. In realtà qualcuno lo ha fatto. E’ il compositore tedesco Karlheinz Stockhausen, che per questa dichiarazione scandalosa (“l’11 settembre è la più grande opera d’arte mai realizzata”) si vide annullare diversi concerti, non solo in America.
Del falling man di New York non conosciamo la precisa identità. Furono fatte altre ipotesi dopo il mancato riconoscimento della figlia di Hernandez, e tuttavia nessuna di queste tacitò del tutto i molti dubbi. Si optò alla fine per la soluzione più onorevole, quella di considerare la foto di Drew il monumento al milite ignoto di quel giorno di guerra non dichiarata.
Ma esiste un altro caduto di cui sappiamo tutto, grazie a un film girato da Eric Steel. Si tratta di Gene Romal Allen Sprague, 34enne di San Francisco, che alle 2 di pomeriggio dell’11 maggio 2004 (ancora un 11) si gettò dal Golden Gate. Le differenze col cosiddetto milite ignoto non sono da poco. Il primo si lanciò nel vuoto per sfuggire a un altro tipo di morte; il secondo a causa di una profonda depressione che lo minava da anni; come hanno riferito amici e parenti. Del primo conserviamo una sequenza di dodici fotografie, per la durata di pochi secondi, tutte relative a quel breve volo disperato; mentre del secondo abbiamo 90 minuti di riprese filmate, giusto il tempo di un film. Il film in questione (The Bridge) non è tutto su di lui. Riguarda altri 5 suicidi dal ponte (su un totale di 24 ripresi da Steel nel 2004), inframezzati dalle interviste ai conoscenti che ne ricostruiscono le biografie. Il regista prese spunto proprio da quell’articolo della rivista Esquire sui jumpers dell’11 settembre, e decise di chiedere, con motivazioni falsamente neutre, i permessi alle autorità locali per piazzare le telecamere sul ponte per un anno intero. Il Golden Gate è uno dei posti preferiti dai suicidi americani, li importa anche da fuori. E’ il fascino oscuro di questa icona della modernità, l’idea di terminare la propria esistenza in modo spettacolare da un luogo altamente simbolico, qui trasformato in un magnetico e beffardo cenotafio del Senso della Vita.
Il documentario di Steel ha vinto il Tribeca film festival, suscitando aspre polemiche sul voyeurismo di quelle riprese. Tranne in rari casi, i suicidi di solito avvengono in luoghi appartati, al riparo da occhi indiscreti. Le notizie che li riguardano si limitano a brevi trafiletti sui giornali, e gli stessi parenti non amano pubblicizzare la cosa, qualche volta giungendo perfino a negare la volontarietà dell’atto. Sul suicida continua a gravare il peso dell’interdetto religioso, che si esplica nel rifiuto di celebrarne la messa funebre (vedi il recente caso di Piergiorgio Welby), oltre che nella minaccia della dannazione eterna.
The Bridge è invece un film in cui gli attori principali sono tutti suicidi, gente che non sapeva di essere un attore e che non lo saprà mai. Alle accuse di voyeurismo Steel ha replicato affermando di averne salvati diversi, comunicando i movimenti sospetti alle autorità del ponte. E in effetti c’è una ragazza cui viene impedito all’ultimo di saltare. Quelle che la ritraggono sono tra le scene più inquietanti della pellicola. Si vede una giovane che scavalca il parapetto e un ragazzo vicino che sta fotografando la vista dal ponte. Accortosi delle intenzioni suicide volge l’obiettivo su di lei, e continua a scattare fino a che un sussulto di coscienza lo spinge a desistere per recuperarla quando lei si sta già sporgendo nel vuoto. Nel film compare pure l’intervista a un sopravvissuto, un ragazzo che si è gettato nell’abisso e miracolosamente non è morto.
Ma è Gene Sprague l’interprete principale, è lui l’atto d’accusa definitivo nei confronti di Steel. Lo si vede subito, pedinato dalla telecamera mentre cammina pensieroso sul ponte. Poi le riprese inquadrano altre storie, le parole investigano altre solitudini, ma le immagini di questo ragazzone dai lunghi capelli scuri completamente vestito di nero che cammina avanti e indietro fanno da trait d’union agli altri casi, e dopo poco s’intuisce che a lui spetterà il compito di chiudere in bellezza il film. Lo si capisce per esempio dal fatto che le testimonianze che lo riguardano risultano meno profonde e commoventi delle altre, restituiscono il profilo biografico di un giovane sicuramente tormentato, senza lavoro e con la madre da poco morta di cancro, un sognatore incapace di stare coi piedi per terra, che si considerava una nullità e che con gli amici scherzava spesso sui suoi propositi autodistruttivi, a tal punto da non essere quasi più creduto, o ascoltato. Gli altri casi denunciano sofferenze che sembrano più autentiche, se non altro per le parole più ispirate di coloro che le raccontano, ma il loro difetto imperdonabile è di natura estetica: il tuffo di questi poveretti somiglia troppo alle istantanee scartate da Drew, perché la posa è goffa, impacciata, poco consona a un momento così solenne, a quel tragico suggello.
Sprague no. Dopo un lungo e angosciante peregrinare su e giù per il Golden Gate, sostando per qualche minuto sulla balaustra con lo sguardo perso nell’acqua sottostante, o ricomponendo i lunghi capelli scompigliati dal forte vento, a un certo punto Gene si è issato sulla ringhiera, di spalle, e in piedi, incurante di tutto, si è lasciato cadere all’indietro con un volo elegante, armonioso, uno schiaffo in faccia a questa vita sgraziata, in cui le cose non vanno mai per il verso giusto, non vanno mai come le avevamo immaginate.
Dove si possono vedere, sul web, le 12 foto e il film di cui parli? Intanto complimenti per la riflessione, davvero utile.
Scusami se torno subito, a caldo, sul tuo pezzo. La prima cosa che mi viene in mente è questa: la differenza tra l’arte e un suicidio del genere di quelli che citi tu non consiste forse nel fatto che nell’arte c’è sempre una “intenzione artistica”? Non credo, invece, che ci sia alcuna intenzione di questo tipo nei suicidi da te citati né, ad esempio, in una lettera qualsiasi scritta a una persona qualsiasi – che pure spesso risulta bellissima, come si ricava da tanti epistolari di scrittori famosi, e così via. La tua riflessione, tuttavia, risulta interessante appunto perché fa scorgere il limite sul quale si situa sempre la cosiddetta arte (ma mi sembra ormai una parola sbagliata) – limite cioè facilmente oltrepassabile nel momento in cui tutto diventa un “fatto estetico” (che è un’altra dalla cosiddetta arte).
“non poteva aver scelto di morire, sebbene la scelta riguardasse unicamente la modalità della propria morte, non il fatto di morire”
all men are jumpers.
Bellissimo pezzo. Soprattutto il finale.
Condivido tantissimo.
Forse qualcuno dovrebbe spiegare alla figlia del pasticcere perché suo padre non si è suicidato. E chi l’ha costretto a buttarsi di capa sotto.
Lui se era lui, gli altri che erano gli altri.
L’opera d’arte salafita, wahabita, quaidista.
“La morte come opera d’arte” che i Fratellini Musulmani, quelli del nonno di madame Ramadan, mutuarono con gioia dall’estetismo fascista e nazista.
… quel tuffo (struggente) all’indietro l’ho visto (in qualche servizio in tv sul film The Bridge )…
Bel pezzo. Grazie
Penso alla cultura giapponese in cui il suicidio e’ forse anche un atto estetico.
Penso al volo finale del film di Wenders “The million dollar hotel”.
fem
Sapevo già sia dell’articolo di Junod e relativa querelle sulle foto, che del documentario di Steel.
Argomenti delicatissimi, ma di una cosa sono certa:
avrei preferito che le foto dei jumpers fossero scomparse anche dal web e che Garufi non ne avesse riproposta una.
La morbosità nel guardare, secondo me, c’è, e forte.
Barbara, meglio guardarli in faccia i tagliatori di teste.
Francesca, appunto, mi ero dimenticato il terzo dei totalitarismi estetici.
bel pezzo.
pezzo esemplare grazie a garufi
The O.C.
Non so a chi tu ti riferisca con i ‘tagliatori di teste’ , nel senso che io non metto in discussione l’11/9 come atto terroristico e relative implicazioni.
Io contesto soltanto la voglia di spettacolarizzazione di ogni evento (più brutto che bello) che regna oggi, una moda così deleteria e disumana, secondo me, che (si sa) ci sta rendendo a poco poco sempre più insensibili e morbosi.
Ci siamo immaginati tutti, credo, l’atroce morte delle 3000 persone, anche se nel privato delle nostre menti.
Il mostrarla invece in diretta (più o meno) mi sembra, oltre che morboso, una
profonda mancanza di rispetto per vittime e familiari.
Questa vita sgraziata è l’unico modo che abbiamo per amare
Quando Martin Amis decide di raccontare l’olocausto sa che è necessaria un’invenzione perché non si può mostrare il male fotograficamente, non è giusto ed è anche stupido perché abitua l’occhio. Occorre un’invenzione che contrasti il male in qualche modo. Allora Amis inverte la direzione del tempo così il male assoluto andrà verso il bene, addirittura una nascita, se ricordo bene.
Levi non ha scritto un diario magari inserendo fotografie, ha scritto – anche se quello che scrive è vero – un romanzo.
Non si può appiccicare quella fotografia senza un’invenzione. E’ una cosa che si deve capire con l’intelligenza o con la sensibilità. Se non si possiedono, non si scrive il pezzo.
penso a quell’artista che ha portato in scena i cadaveri
devo ancora farmi un’opinione a proposito (sul rapporto fra arte e sacralita’ della morte)
fem
Cara Barbara,
quei simpaticoni di YouTube, proprio perché non si considerano “morbosi”, hanno deciso di censurare lo sgozzamento di Pearl.
In compenso sul loro sito, tanto visitato, tanto osannato, tanto democratico e superpartese, caricano schifezzuole come questa:
http://www.youtube.com/watch?v=HOaUxx7rrIg&mode=related&search=
Ecco, vale la pena ridere meno e ricordare qualcosa in più.
Questa è bella. Barbieri, dài! T’eri ripreso (dopo avermi conosciuto di persona). Ma che ti prende? Citi il più brutto romanzo di Amis, La freccia del tempo. (Ha scritto un libro peggiore, Esperienza, ma è biografia). Dài, Barbieri, sveglia. Guarda la vita (e la morte) in faccia. Non pararti sempre dietro i minestroni del Caos, dietro i balletti russi di Scarpa, dietro allo smoke on the water con filtro. Fumati una Lucky Strike senza. Il pezzo di Sergio è perfetto. Fattene una ragione.
In un paese serio sarebbe stato preso di peso (scusa il bisticcio) da un quotidiano.
Barbieri, porco mondo, Anna Frank ha scritto un romanzo o UNO STRAMALEDETTO DIARIO?
E ora dimmi Barbieri, Arcipelago Gulag che cosa è? Eh? Forza, rispondi.
un piccolo paragrafo, ben scritto, che può integrare belpoliti, ‘crolli’. ma la fine no, a mio parere è buttata via: sembra che da uno spaccato possibile sui margini invisibili di quella storia, l’autore senza più fiato si riduca ad un ultimo respiro retorico, sentimentalista. stile un posto al sole. raitre.
credo che abbiamo tutti bisogno di un bagno di sole
splendido pezzo. riflessioni dolorose. grazie.
Credo (il dubbio è d’obbligo visto che abbiamo appena litigato aspramente per altri motivi) d’essere d’accordo con O.C.: ridere meno e ricordare di più. Distogliere lo sguardo serve solo a far dimenticare, comportamento esattamente contrario all’etica. Se una cosa è finta non ha senso censurarla, basta denunciarla o riderne. Se una cosa è vera è mostruoso censurarla perché in tal modo nessuno potrà mai credere al suo orrore.
Vorrei poter pubblicare le foto dei bambini algerini crocefissi nei propri banchi di scuola dagli Integralisti Islamici negli anni ’90.
Vorrei pubblicare i discorsi tradotti dell’imam di MI (forse uno di questi giorni lo faccio…).
Vorrei pubblicare i manuali degli Hezbollah dove si insegnano le tecniche di lavaggio del cervello per assoldare i kamikaze.
Io non dimenticherò mai molte cose che ho visto in questa vita, e sono le stesso che popoleranno di incubi ogni mia notte fino a che questa buffonata schifosa non avrà termine. La vita, intendo.
@diamonds: oggi piove (o quasi).
Ma ieri hai compiuto 40 anni? Auguri!
fem
P.S. mai smettere di pensare all’arte e alla morte (parlo per me). Ma nel post si parlava anche di suicidio (altro “tipo” di morte e altro lungo discorso).
adesso esco (con l’ombrello, forse e’ meglio): altro tipo di bagno ;-|
La vita non è buffona, siamo noi i buffoni!
ottimo pezzo.
una piccola chiosa: penso che la tentazione del suicidio trovi una specie di autodeterrenza, neppure troppo riposta, proprio nel ciò che sarà di noi postmortem: del ns. corpo, ovviamente. Che cosa ne sarà di quell’involucro che abbiamo curato a lungo e che abbiamo rimpinzato di cibo e vino e che tanti ineffabili piaceri ci ha dato? Quale sarà lo spettacolo riservato al primo che ci ritroverà dopo? sarà molto probabilmente un ns. caro/a e, come ringraziamento, gli faremo trovare grumi di sangue e materia cerebrale, tracce di vomito o liquami assortiti ?
( di faccende siffatte ne parla anche in un suo bel racconto tashtego).
La morte in acqua preserva da tutto questo, dà la sensazione, fallace, di una specie di ‘immunizzazione’ del corpo:anche per questo Antinoo sceglie di porre così fine alla sua esistenza, lasciandosi inghiottire dal Nilo.
Caro Linnio,
hai mai visto il corpo di un annegato dopo appena qualche ora?
A volte mi sa che in questo sito la tentazione di mettere tutto in poesia ci stia facendo scivolare nel grottesco.
Comunque, non c’è nulla di bello nella scelta di morire, come nulla di bello c’è nella vita. Anche ripulendo meticolosamente il nostro cadavere, rimarrà sempre la sporcizia di sapere quanto dolore e solitudine ci saranno state durante gli istanti o gli anni che hanno preceduto quell’atto.
Lo dico anche da… beh, lasciamo perdere.
Morire nell’acqua, lo preferisco.
Rimpiere la tasca con sassi, alla Virginia Woolf, andarsene con ninfea.
@fk: sinceramente aspetto anch’io le risposte di barbieri alle tue sacrosante domande. non con ansia, ma le aspetto.
la foto in questione è indubbiamente una bella foto
sulla morbosità del guardare: perché non dovrebbe essere morboso leggere, approfondire, conoscere, piuttosto che ascoltare, toccare, annusare…? perché solo allo sguardo si concede tale prerogativa?
guardare una foto no e leggere un romanzo sì, come se una foto (o una sequenza di foto) fosse meno artificiale o più vera…
io ogni volta che riesco a rivedere le immagini delle Twin Towers che si incendiano resto letteralmente INCANTATO (in questo incanto ritrovo sì molto dell’esperienza estetica che si può provare di fronte all’arte, e pur considerando l’attacco dell’undici settembre un capolavoro guerresco, non pertanto lo considero opera d’arte)
Caro Kristian,
saresti così incantato anche se dentro le Twin Towers ci fosse stata tua moglie?
beh, sinceramente non posso risponderti. però ci sono ‘situazioni estetiche’ nel decorso della malattia terminale di due persone della mia famiglia che mi hanno ugualmente lasciato a boccaperta come un pescione…
Beh, secondo me tu hai un concetto confuso dell’estetica. Mio padre si è sparato, è nel suo viso apparentemente intatto ci potevo leggere tutto l’universo ma di certo niente di estetico.
non per offendere, ma il problema è tutto tuo
il concetto di estetica della morte associato alla dignità della morte stessa è senechiano, e quindi nulla di nuovo è sul fronte occidentale, e tuttavia le tue riflessioni accendono luci nuove, purtroppo sinistre, sull’argomento.
Il considerare, da parte della società in genere e da parte delle autorità, e non solo ecclesiastiche, l’ultimo atto come destabilizzante e anarchico, da scoraggiare, potenzialmente pericoloso, da non nominare, da non analizzare, da condannare e basta senza troppi perché e con una generica pietà poco compromettente.
Tali atteggiamenti si sono riflessi anche riguardo le irragionevoli scelte estreme come quella dei jumpers dell’11 settembre: uno scegliere di morire diversamente da come pianificato dal terrorismo.
Lontana da me l’idea dell’esaltazione del suicidio o della sua estetica, trovo interessante il tuo sollevare la questione.
Un brano molto apprezzato.
Non per offendere nemmeno io, ma non vedo nessun problema a distinguere morale da estetica. Piuttosto vedo un emblematico problema proprio nel tuo annacquare quello con questa.
Visto che molti qui sembrano aver sollevato i passamontagna dei tagliatori di teste e avere insomma idee abbastanza chiare sull’11 settembre, non dimenticherei il contributo di Zbigniew Brzezinski, ex consigliere nazionale della sicurezza degli Stati Uniti.
Non più tardi di 5 mesi fa egli si presentò in Senato e rilasciò una dichiarazione, non proprio a braccio se è vero che l’aveva preparata e scritta di suo pugno proprio in vista dell’audizione. Disse testualmente questo:
“Dobbiamo mettere in conto questo scenario: una guerra con l’Iran, inevitabile risposta alla nostra intollerabile sconfitta in Iraq. Dobbiamo attribuire la responsabilità di questa sconfitta all’Iran. Poi mettere in atto qualche provocazione in Iraq o un attacco terroristico sul suolo americano, di cui l’Iran sarebbe ritenuto responsabile. Tutto ciò culminerebbe in una nostra azione difensiva contro l’Iran.”
Brown. sono molto interessato al documento di cui parli. Puoi per favore darmi la fonte dove posso trovare il discorso non tradotto? Grazie mille.
Non c’è nulla da rispondere se non che affiggere quella fotografia è di una volgarità inaudita, perché quel male ha bisogno di una reazione per essere rappresentato. Va bene la vendetta del colore, va bene la comprensione di un’intelligenza al lavoro, anche quella sensibile di una ragazzina nascosta in una soffitta, va bene tutto quello che è reazione “umana”, allora sarebbe qualcosa di eversivo, e anche coraggioso. Così è davvero volgare, se non lo capite sono cavoli vostri.
“E’ il compositore tedesco Karl Heinz Stockhausen, che per questa dichiarazione scandalosa (”l’11 settembre è la più grande opera d’arte mai realizzata”) si vide annullare diversi concerti, non solo in America”.
Il contenuto intellettuale di questa affermazione è pari a zero. Ha un significato solo eversivo.
Stockhausen, che tra l’altro ammiro molto, non è nuovo ad affermazioni da deficiente. Persino in campo musicale ha detto cose assolutamente errate, nonostante le sue idee musicali sono straordinarie.
@ Andrea Barbieri:
Hai ragione. Quella foto è brutta, indecente. Mi fa schiffo. Parlo solo della foto.
“L’immagine che più ha colpito l’immaginario collettivo ritrae una posa composta, armoniosa, da tuffatore”.
Che hanno fatto un sondaggio per stabilirlo?
@ ABN
La fonte è il financial times. Il discorso non tradotto puoi trovarlo solo lì. E’ stato l’unico giornale a riportarlo.
Stockhausen non ha mai pronunciato quella frase… e’ la solita montatura giornalistica che in Germania si accanisce da sempre con un compositore artisticamente autonomo rispetto ai diktat artistici e politici della musica contemporanea tedesca. La frase pronunciata realmente e che va vista nel contesto della visione “cosmica” di Karlheinz Stockhausen è: ” L’attentato dell’11 settembre è la più grande opera d’arte mai realizzata di Lucifero”. Il giornale che per primo ha riportato la notizia ha ritrattato e si e’ scusato, ma ormai il danno era fatto…”
@ Brown
Grazie ma non riesco a trovare il pezzo. Tu dove l’hai letto?
Peraltro i concerti annullati sono stati riconfermati dopo le scuse del giornale (tranne uno mi sembra, per problemi di tempo)… a garufi, informarsi please…
@ Brown
Ah, ho trovato dove l’hai letta: nell’articolo di quel simpaticone di Giulietto Chiesa, la vergogna del giornalismo italiano, l’uomo più falso del pianeta, di cui ripeti esattamente le parole. Complimenti!
Ora mi prendo la briga di andare a cercare il pezzo sul Financial Times e la traduzione del discorso completo di Zbigniew Brzezinski. Poi ti saprò dire.
@ ABN
un mio amico che vive a New York mi inviò una copia dell’articolo via mail, solo che non lo trovo più. Cerco di farmelo rinviare. Ti dirò.
Beh, questa seconda versione della frase di Stockhausen è più scema della prima. Quando suona incanta ma quando parla…
@ ABN
veramente se c’è una persona che mi sta sulle palle è Giulietto Chiesa. mai avuto voglia di starlo a sentire ne di averci a che fare. bene se trovi l’articolo, poi ne riparliamo.
@ luminamenti
Si’ va bene, ma come dicevo va vista in un contesto speciale che e’ quello del suo credo religioso, puo’ essere poi una battuta scema dire “credo in un solo dio”, ma certo lo e’ meno che dire “credo in un solo zio”… non so se mi spiego… :-) altro discorso e’ lo sfruttamento mediatico di una frase per screditare professionalmente una persona, appunto per fargli annullare concerti!
Si può poi discutere il concetto di “opera d’arte”… naturalmente il suo concetto e’ quello allargato “totale” di matrice wagneriana che comprende evidentemente anche il suicidio/omicidio…
grazie Francesca(in realtà è il mio avatar ad aver festeggiato il B-day.Io sono morto tanto tempo fa,quando mi sono reso conto che lanciare i sassi nell’acqua per vederli schizzare invece che riempirmene le tasche e prepararmi al grande salto era un’idea sbagliata).
“Negli USA circola una battuta,con la quale mi piace chiudere:’stavo per suicidarmi,poi ho saputo che Elmor Leonard aveva scritto un nuovo libro’.Via le mani dal rasoio,allora,e avanti il prossimo”(cfr Wu Ming1 nella postfazione di Mr Paradise)
non riesco ancora a leggerlo, soffro di vertigini…
Molto bello.Complimenti Sergio!
@The O.C.
Non riesco a guardare cose truculente, quindi ringrazio ma non ci vado proprio su YouTube….:o).
Nonostante la mia non più tenera età, infatti, al cinema, se anche solo comincio ad intravedere una scena che potrebbe degenerare in sangue&spappolamenti vari, mi precipito a tapparmi gli occhi..oh sì !
Vorrei poi precisare che non contesto il pezzo di Garufi, che è un resoconto preciso di argomenti assai delicati, come ho detto.
Bensì la pubblicazione della foto.
‘Notte
il pezzo non l’ho letto.
rispetto.
(dovessi considerare, da viva, l’approvazione alla pubblicazione della mia foto in morte da parte di un sedicente intellettuale americano in cerca di emozioni forti, farei in modo da predisporre un piccolo capitale finalizzato alla resa in mutande dell’usurpatore d’immagine)
(nel caso in cui il pezzo fosse bello, sensibile, accorato e intelligente, beh, si smentirebbe con la furba pubblicazione dell’immagine -consenso o meno – non esistono solo i diritti e la morte di una Persona non è materia per le personali elevazioni)
Come immagini, il crollo delle torri è leggermente meglio del botto di Zabriskie Point.
Ci vedo un’immensa differenza, tra le foto dei “cadenti” dell’11/9 e il film sul Golden Gate. L’11/9 quella gente si è buttata di sotto perchè stava per rimanere arrostita viva, e fra l’arrostimento e un minuto di volo verticale sfido chiunque a dire che sceglierebbe il primo.
Trovo invece il film del Golden Gate completamente immorale, rivoltante e malato. Non è una giustificazione il fatto che il regista abbia salvato qualcuno, girandolo: se voleva fare il salvatore di suicidi lo poteva fare anche senza telecamere. Trovo schifoso e miserevole appostarsi lì sotto a sperare che accada qualcosa, che arrivi il disperato di turno. Un film del genere dovrebbe essere vietato, quantomeno nelle sale cinematografiche.
Ma perchè immorale? Il suicidio è il nostro pane quotidiano. Il film è eccezionale. Un grande film, finalmente un grande documentario. Altro che Moore Blobbick. Questa è la vita ch si tuffa nella morte. Facciamo finta di niente per “decenza”? Facciamo finta che il suicidio non esista?
La foto è scandalosa? Per me è più scandalosa la foto di Fabrizio Corona libero. Questione di punti di vista. O di sensibilità.
La faccia di Berlusconi è orrenda, non il jumper del WTC.
@Barbieri. Non hai risposto. Sei all’angolo. Come volevasi dimostrare. (Cio’ non toglie la simpatia e la stima che provo per te).
non decenza, ma rispetto.
la prima ha a che fare con me e con ciò che ritengo urtante la mia sensibilità di circostanza, la seconda ha a che fare con l’altro (non consideriamo sempre il rispetto come un retaggio dell’ipocrisia più pelosa, queste sono distorsioni di comodo).
potremo mai fermarci di fronte al dolore altrui? o tutto è sempre e comunque “oggetto” dei nostri giochini cazzocentrici (o ombelicocentrici, o uterocentrici)?
errori qua e là, non ho riletto.
domani saro´ alla sede della Stasi, poi vi diro´ se la tortura e la morte sono qualcosa da scegliere esteticamente.
Pollari? :-) se lo sarebbero mangiati in un secondo.
a Spandau sembrerebbe di no…..poi qualcuno mi spieghera´anche come mai della bellezza in Germania cé´traccia solo nella musica, anzi direi del sublime.
orrore e sublime.
Berlino e´bella?
Vedo che si continua a definire suicidio l’omicidio.
Interessante teoria.
@ABN
inutile farsi il sangue amaro. Vaglielo a spiegare ai Giulietti e ai Padre Brown che Brzezinski è uno di quelli che vorrebbero l’appeasement con l’Iran. Uno di quelli che consigliarono a Bush padre di tradire i resistenti come Makiya all’epoca della prima “invasione” dell’Iraq. Però sarebbe bello, una volta o l’altra, raccontare di come la sinistra occidentale tradì quella irachena, per consegnarla nelle mani dei neocon. Ma forse non è questa la sede adatta.
È grande il disordine sotto il post, la situazione è eccellente per fare un paio di considerazioni:
1- il suicidio non è un reato.
2- reato è casomai l’assistenza attiva al suicida.
3- la ripresa di un suicidio non rientra certo in 2-.
4- il problema è morale, non giuridico, e in forma di dilemma: lo fermo per il suo bene o lo rispetto nella sua scelta?
5- un dossier filmato su vari suicidi nel medesimo posto è importantissimo per la scienza: se ne può ricavare una semiotica degli atti estremi, utile poi in chiave terapeutica.
Ciò per quanto riguarda il ponte: per le torri, magari dopo.
Non è neanche troppo vero che la Chiesa rifiuti intransigente le esequie ai suicidi, mia nonna si è suicidata e anche in quegli anni ha ricevuto esequie e sepoltura tradizionali, la Chiesa è elastica su questa cose, perché considera attenuanti la malattia mentale, la depressione etc, perciò è stata ancora più imperdonabilmente e scandalosamente ipocrita nel caso di Welby.
Posso comprendere la crisi di rigetto di Barbieri o di altri davanti alla violenza delle immagini, e il discorso sull’insensibilità alla violenza scaturita da una reiterazione delle immagini non è ingenuo, ma non ha molto senso e non restituisce all’orrore la sua pienezza di significato chi si arresta anacronisticamente su una posizione difensiva dettata da repulsioni moraliste, anche perché se l’alternativa è la censura o la rimozione dell’orrore e della violenza assecondata da un moralismo ipocrita e deteriore allora scelgo senza dubbio la prepotenza e l’invadenza voyeurista.
Il punto è un altro: restituire alla realtà il sistema di significati usurpati da un’immagine. Distruggere un’immagine non è l’unico metodo, non il più efficace. L’articolo di Garufi che accompagna l’immagine è un esempio, quanto meno perché induce a riflettere a porsi domande, salto nel vuoto= suicidio/omicidio/ unica via di scampo/ o tutto questo insieme e qualcos’altro ancora? Un altro esempio mi ricordo che è stato sfogliare avanti e indietro le ultime pagine del romanzo di Jonathan Safran Foer “molto forte, incredibilmente vicino”.
il film sul Golden Gate non l’ho visto, per cui non posso dire, ma dovrò rimediare al più presto, dal momento che io abito in una piccola cittadina di provincia tagliata in due dal fiume in cui molti scelgono così di finire così la loro corsa e secondo perché sono nata precisamente l’11 maggio.
Ho visto alcune sequenze su You Tube.
Al di là della mia commozione, mi sono chiesto cosa stessero provando, qual è lo stato mentale che consente ad un essere umano un gesto così profondamente terrorizzante, contro-intuitivo.
Credo che il suicida posa farsi tale solo in conseguenza di un totale disprezzo di sé, che è forse un altro modo per definire la disperazione.
Il luogo e l’entità spaventosa, quasi sublime, del volo da compiere conferiscono all’atto del lasciare la vita una sorta di dignità, se non di poesia.
Percepire e riflettere su quello che ci accade come umani deve andare al di là del politicamente corretto.
Non so se chi ha fatto quelle riprese abbia avuto o no la possibilità di fermare quelle persone.
Ma è giusto impedire ad un nostro simile di togliersi la vita?
Che ne sappiamo noi dei motivi che lo spingono a tanto?
Con quale diritto lo rispediamo a quell’esistenza che sta lasciando, che VUOLE lasciare?
E che, soprattutto, non è la nostra?
Quando la smetteremo di accampare diritti su come dove e quando un essere umano può/deve morire?
Quando impareremo a rispettare la sua volontà?
@skakkola
certo, “skakkola” è proprio un bel nome, sopra tutto per trattare argomenti del genere e poi la fatale coincidenza di quell’11 maggio!
Concordo con chi rimane stupito nel definire tale situazione suicidio.
In quanto a intervenire per evitare un vero suicidio penso che sia sempre giusto intervenire per evitarlo (ci sono poi anche quelli che inscenano il suicidio).
Diverso è il caso di un malato terminale o in condizioni di vita ridotta allo stato vegetativo. L’ultima parola spetta a lui.
Per chi invece vuole suicidarsi c’è sempre la possibilità di realizzare il suo progetto senza farsi scoprire. Ma se me ne accorgo intervengo. E’ una reazione di istinto di sopravvivenza della specie. E sempre sarà così. Mica occorre farci dei ragionamenti sopra!
nel mio commento mi riferivo unicamente a coloro che si buttano giù dal ponte.
i voli dell’11 settembre ovviamente furono altra cosa.
@Carlo, punto 5: sull’utilita’ per la scienza di tali osservazioni ho serissimi dubbi, gli stessi che ha magistralmente sollevato Peter Greenaway nel film “Lo zoo di Venere” (per capire la morte e’ utile filmare la decomposizione dei corpi??).
Non ho criticato il film N.B. (critico solo il punto 5 della lista di Carlo, che dice “importantissimo per la scienza”). Io comunque non l’ho ancora visto, quindi cerco di fare come il cugino di Rino Gaetano che “non ha mai criticato un film senza prima averlo visto”.
Mi accodo a tash sul “precisamente” relativo al mese di maggio!!!
@Tash: Quando la smetteranno di accampare diritti su come dove e quando un essere umano può/deve vivere? Tanto per fare un OT che richiama il Family Day e non solo ecc ecc
fem
Al di là delle considerazioni estetiche, che noi possiamo applicare a qualunque immagine, noi vediamo un uomo che, tra qualche secondo, si sfracellerà al suolo. Dietro ci sono molte altre immagini nascoste, la sua vita, i suoi familiari, il suo corpo ridotto in poltiglia. Questa duplicità di immagine evidente e immagini nascoste può causare – e di fatto causa – angoscia e ansia in molti osservatori. Io credo che questa ansia sia del tutto degna di rispetto.
@ tashtego
non preoccuparti, tanto le coincidenze mi perseguitano dalla nascita, pensa un po’ che mi chiamo come mia nonna!!! che, altra coincidenza, si è proprio buttata di sotto !!!
@francesca
ho scritto “quando la smettereMO”, non “quando la smetterANNO”.
l’interferenza in questo tipo di decisioni ci riguarda tutti.
auspico meno rispetto astratto per la Vita e più rispetto concreto per la Persona.
@skakkola
tua nonna si chiamava skakkola?
allora si può capire perché s’è buttata.
“Credo che il suicida posa farsi tale solo in conseguenza di un totale disprezzo di sé”, cioé quelli che guidavano l’aereo?
Ah, già, è stata ‘na congiura.
@tash: io non devo smettere niente, cerco sempre di non interferire ne’ accampare diritti sulla liberta’ di nessuno. Mi tiro fuori, scherziamo? Altrimenti va a finire che ho votato DC pure io e che non sono andata a votare al referendum pure io e che ho detto la mia contro l’eutanasia. E che il Family Day l’ho voluto io.
No, no.
Avevo cambiato con intenzione la persona al tuo verbo.
fem
(coda di paglia mia: in effetti sul discorso del suicidio continuo a non prendere posizione. E neppure sul fatto di filmarli. Avro’ la tara dell’agnosticismo anche in questa questione??)
@o.c.
credo che il disprezzo di sé valga anche per il suicidio a scopo d’offesa.
è quando si reputa una causa degna del sacrificio della propria vita che il disprezzo di sé è massimo, il disprezzo per il diritto individuale a vivere e viversi.
p.s. congiura? che vuoi dire?
@francesca
secondo me non si tratta di “prendere posizione” sul suicidio, ma di prendere posizione sull’altrui facoltà di scelta, anche riguardo la propria vita.
il suicidio non può essere approvato o respinto, può solo essere rispettato, o meno, come scelta altrui e può, eventualmente, essere agevolato.
era qui che si scriveva di una casa della buona morte in svizzera, mi pare.
Ecco, la differenza è esattamente questa: il primo è un suicidio, il secondo, cioè quello nella foto, un omicidio. Sulle congiure scherzo, ripensavo ai Giulietti.
C’è un grande fraintendimento in questo post. La foto qui ritrae un OMICIDIO, non un SUICIDIO.
Anch’io, tra fuoco e volo, avrei scelto il secondo. Ma certamente, quella mattina, non avrei mai pensato di suicidarmi.
E anche i riferimenti di qualcuno, qui, sul suicidio giapponese, sono del tutto fuori contesto. Io potrei parlare di Aiace, uno dei più belli e nobili suicidi ripresi nell’arte, ma sarei assolutamente off topic.
Quanto poi al video sulla morte in diretta, ricordo lo scandalo di Bill Viola con la telecamera piazzata di fronte al letto della propria madre agonizzante. Ebbi occasione di parlarne con lui, personalmente, e non è che mi trasmise tutta questa grazia divina di bellezza. Lì venne fuori invece il mio sentimento, tutto siciliano antico e molto pop, per i morti e gli affetti familiari.
Quel qualcuno dei giapponesi sono io: sì la foto è un omicidio, ma se leggi il pezzo di Garufi si parla anche del film “the bridge” sul suicidio e se ne discute la sua (possibile) estetica. Il titolo del post è inoltre “Il tuffo”.
@missy: Sei OT se guardi solo le figure
fem
tashtego, ascolta, io non la vedo così:
non è il disprezzo di sé che spinge al suicidio.
si può vivere perfettamente tutta una vita chiusi nel proprio disprezzo, io vedo così, ad esempio, la vita del clochard, una scelta di vita che ha ben poco a che fare con la libertà di essere fuori dal mondo se si rimane incatenati a un marciapiede.
quello che spinge, secondo me, una persona a spezzare anche l’ultimo filo è qualcosa di più forte del disprezzo di sé, che, per quanto debole, nasconde ancora un segnale di vita, e l’unica forza sorda a tutti i richiami è il dolore.
Tutti abbiamo una soglia di dolore, certo tutti siamo in grado di sopportare più dolore di quanto solitamente immaginiamo, ma c’è, io credo, una soglia limite oltre la quale nessuno dovrebbe mai obbligarci a restare
Cara Francesca, io non sono mai OT se guardo solo le “figure”, come le chiami tu.
Mi è impossibile e non sto neanche a dirti perchè.
Tra l’altro la mia critica era proprio verso l’intero minestrone del post, che cuciva un bel discorso (niente da dire, per carità) tra i morti dell’11/9 e il suicidio dal ponte.
OT: che c’entra il link a EULERO con questo Post??
Comunque grazie, l’ho letto e mi e’ piaciuto un sacco, soprattutto le labbra quadrate e l’immagine.
@missy: ho perso il senso logico del tuo commento (sara’ sicuramente colpa mia, pecco di distrazione acuta).
fem
Questa vita sgraziata è l’unico modo che abbiamo per amare
Questa vita sgraziata è il solo modo che ci è dato per amare
Questa vita sgraziata è il solo modo che ci “è stato concesso” per amare
Questa vita sgraziata ci è stata data per amare
Questa vita è la vita sgraziata che abbiamo a disposizione per amare
Cosa volete fare di diverso nella vita?
Ragazzi, qui sotto c’è il pezzo originale del discorso di Brzezinski, proviamo a tradurlo insieme e vediamo: in primis se Giulietto Chiesa è il solito stronzo, in secundis se Brzezinski si è bevuto completamente il cervello
http://www.thewashingtonnote.com/archives/001916.php
@ O.C.
A parte che sono ancora incazzato per come mi hai trattato la prima volta che mi hanno gentilmente ospitato qui per parlare del mio ultimo libro, ma credo che almeno politicamente siamo dalla stessa parte, o no? Mi trovi d’accordo con i tuoi post qui apparsi. Oppure sono ormai completamente fatto di Martini da non capire più niente?
Be’, l’altra volta non mi sembra di essere stato poi così acido. Tieni anche presente che sono astemio. Politicamente non saprei, ma se ti stanno a cuore Makiya e la Nafisi se ne può discutere.
Richard sorride. Scuote la testa. Dice: “Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici d iquanto siamo stati noi.”.
Si china leggermente in avanti, scivola dolcemente dal davanzale e cade. Clarissa grida: “No…” Sembra tutto così tranquillo, così sereno, che per un momento immagina che non sia affatto accaduto. Arriva alla finestra in tempo per vedere Richard ancora in volo, la vestaglia che si gonfia, e anche adesso sembra che potrebbe trattarsi di un incidente secondario, qualcosa di superabile. Lo vede toccare il suolo cinque piani più in basso, lo vede inginocchiarsi sul cemento, vede la testa che batte, sente il suono che fa e ancora crede, almeno per un momento, sporgendosi dal davanzale, che si alzerà di nuovo, malfermo magari, senza fiato. Ma ancora lui, ancora intero, ancora in grado di parlare. Lo chiama, una volta. Il suo nome viene fuori come una domanda, molto più basso di quanto lei volesse. Rimane dov’è caduto, a faccia in giù, la vestaglia sulla testa e le gambe nude esposte, bianche contro il cemento scuro.
@ O.C.
Il Cocktail Martini non ha niente a che fare col bere alcool. È una risposta umana alla teodicea.
Va beh, la smetto qui.
Makiya e la Nafisi sono uno dei pochi motivi per sperare ancora nell’Islam, e nel mio piccolo cerco continuamente di denunciare quanto questo Islam sia da difendere e sostenere contro l’altro, il nazi-islamismo.
Come si possa parlare di suicidio nel caso delle torri, proprio non lo capisco.
Se uno avesse dato fuoco alla mia casa per provocare la mia morte e IO (qua varrebbe la pena di dire IO, una volta tanto) scegliessi di sfuggire alla morte lenta del rogo buttandomi, penso che quello che ha provocato la mia morte verrebbe accusato di omicidio. E nessuno oserebbe dire che mi sono suicidata.
Tutto il resto è estetica. E come essere umano morto non mi interesserebbe proprio. E meno ancora come essere umano cadente. Spero solo che cadendo la velocità li abbia storditi e non si siano visti venire incontro il marciapiedi.
Il sentimento della figlia di Hernandez invece lo capisco: allontana da me questo calice.
Certo, ABN, appena uno prova a pensarla o a dirla in una maniera diversa dalla tua, allora quello si è bevuto il cervello. Poi magari ti scagli contro il nazi qui – nazi là. Bel modo di argomentare, complimenti.
@ Brown
Se permetti, uno che dice che per uscire dalla guerra in Irak bisognerebbe fare degli attentati in Usa e dare la colpa all’Iran, quello è uno che si è bevuto il cervello. Tu invece gli dai ragione? Complimenti a te.
Se poi sei uno di quelli della tesi complottista (che Bush appena eletto ha organizzato l’11/9 per rovinarsi la vita, anzi per conquistare il petrolio [che era già degli Americani perché tutte le compagnie di sondaggi e di sfruttamento del greggio sono americane] allora smetto proprio di argomentare. Il mio cane ha più logica di un giuliettochiesa.
@ Brown
e per la cronaca, la definizione di NAZI-ISLAMISMO non è mia ma di Magdi Allam, uno che ha ben maggiori credenziali del tuo giulietto.
@ ABN
Pinocchio Magdi Allam? Sì, forse è meglio smetterla qui.
non sapevo di avere bisogno ANCHE di ABN.
pensavo se ne potesse fare a meno.
e però non ci facciamo mancare niente, noi.
Non abbiamo altre possibilità
Abbiamo solo questa vita per amare
Dopo
c’è
l’eternità.
Onora il padre e la madre
Ti hanno dato questa unica possibilità di amare
@ tashtego
Me la spieghi, per cortesia? Hai dei problemi con me?
accorrete, accorrete…
“è aperto il tiro al bersaglio su giulietto chiesa”
‘azzz!!! quante cose si imparano in questo thread!!! e io che non ci volevo venire!!! finalmente ho capito (???) perché devo assolutamente cancellare dalla mia lista uno dei pochi giornalisti italiani che non mi fa vomitare!!!
eccezzzionale!!! e chi se lo sarebbe mai creso!!!
god bless the indian nation! halleluja!
Sul tema del suicidio c’è un vecchio (si fa per dire) romanzo di Piovene: Verità e Menzogna. Sui Kamikaze giapponesi c’è un fantastico saggio nella Bruno Mondadori.
ci sono pezzi belli come quelli di garufi. e poi c’è tashtego, *******************
(qui c’era un insulto, io l’ho tolto. Ovviamente chi si firma qui tashtego non lo è. G.B.)
Ottimo questo blog, il livello si sta innalzando rapidamente.
Questa vita sgraziata è l’unico modo che abbiamo per amare
Cosa volete fare di diverso nella vita?
Non perdete tempo, amate
Non distreate le vostre idee, amate
Non siate tristi, amate
Non amate voi, amate.
Non avete tempo da perdere
non avete altre possibilità
Amate
Autorevoli pareri,almeno per me,dicono che l’istinto di sopravivenza se la ride delle pulsioni suicide se la mente non è obnubilata da sostanze stupefacenti,liquori o disagi mentali talmente importanti da sconfinare nella patologia clinica(il problema è in questi casi se sia giusto attribuire a una persona il potere di comminare un trattamento sanitario obbligatorio nei confronti dell’aspirante morituro).E questo vale anche per le persone afflitte da pesantissime menomazioni,benché possa sembrare strano all’impietosito osservatore esterno.Al limite razionalmente vieni spinto a sublimare il dolore in arte(personalmente con Camus mi ricordo ogni giorno che l’unica domanda logica da porsi è se suicidarsi o meno. E conosco la risposta:no)
ciao pulce!:-)
“Pinocchio Magdi Allam”. Naso adunco, identità annacquata, cioccolato bianco. Ecco che spunta fuori anche l’antisemitismo. Tutto regolare. Mi premetto di consigliare Gadi Luzzatto Voghera, Einaudi 2007. Lettura piccina e concisa, a soli 8 euri.
Tashtego invece sfotticchia, ma chissà che ne pensa di Makiya. Cioé del fatto che c’è una guerra nell’islam, proprio dentro l’islam, di islamici contro islamici. Guerra fatta di idee e valori, non solo di bombe e kamikaze. Questa guerra è iniziata prima dell’11 settembre, prima dei neocon, prima delle congiure di Giulietta e babbeo.
Solo che i neocon sono stati bravi a sflilarle di mano alla sinistra, queste parole d’ordine dell’islam che non si piega; a sfilarle, dico, che ne so, a un Kouchner, a un Fischer, e via dicendo. Gente che immagino sia pericolosa nemica del proletariato. Come quel venduto di Kouchner, eh? Ma è tutto regolare.
Come va, Ana?
sono alle prese con la nuova tastiera!;-)
@the o.c.
mi astengo da ulteriori commenti, visto che ad un po’ di ironia si risponde con aperti insulti.
voglio solo precisare che sbagli ad identificarmi con “la sinistra” e anche nel pensarmi “comunista”, eccetera: però se ti fa comodo fai pure.
sono qui perché mi interessa il tema del suicidio, a dire la verità.
credo esista una sorta di emarginazione sociale postuma del suicida: o lo si trasforma in mito, oppure lo si considera un poveraccio cui va/andava impedito l’insano gesto.
poco rispetto per la sua dignità, per il suo coraggio nel voler lasciare la vita, per la sua disperazione.
(dei conflitti tra teisti buoni e teisti cattivi francamente non mi cale).
e Pinelli?
Si insulta alla grande anche con l’ironia. Con la differenza di poter poi dire che si stava scherzando. Tipicamente In quanto all’articolo di Garufi è certamente un articolo importante, al di là di condividerne tutti i contenuti.
Non ti preoccupare tash, abbiamo capito: quando vorrai suicidarti non ti fermeremo. Però io preferirei non saperlo.
‘voglio solo precisare che sbagli ad identificarmi con “la sinistra” e anche nel pensarmi “comunista…’
‘umaronnamìa!!! che giornata!!! e chi se lo sarebbe mai creso!!!
outing a tutto spiano, dichiarazioni pubbliche e pubbliche ricusazioni (ad usum editoris?), miti che crollano, conversioni in vista, luminari che per un attimo scendono dall’empireo a dimensione umana!!! echessarrammai!!! che giornata memorabile, da tramandare ai poster!!!
garufi, solo tu potevi rendere possibile un simile pirandelliano disvelamento mira-cul-istico!!!
i palinsesiti autunnali già fremono all’annunciato must della nuova stagione: tash & bin (uniti nella lotta)!!!
p.s.
o.c., ma sei tu lo sceneggiatore della serie? dài, confessalo!!!
p.s.s.
a quando il primo pubblico pentimento di aver scopato almeno una volta nella vita? magari in latino, com’altrui piacque…
Un breve racconto, vero.
C’è stata una persona che aveva deciso di farla finita, sul serio, non solo a parole.
Fu bloccata nel suo intento da uno sconosciuto, e venne salvata.
In modo rocambolesco i due entrarono di nuovo in contatto, e il mancato suicida colse l’occasione per rimproverare con parole di fuoco il suo salvatore, accusandolo di essersi preso una libertà (quella di averlo salvato) che non gli spettava, che al mondo c’è il libero arbitrio e che il ‘filantropo’ non si doveva permettere di interrompere un’azione, che era stata finalmente decisa dopo lunga sofferenza e tanto disperato coraggio.
Il giorno dopo questa conversazione, l’aspirante suicida riuscì finalmente a………..
é una foto terribile. antonella
cara batuffola, approfitto della tua testimonianza per fare una considerazione e chiedere lumi in proposito ai luminari qui convenuti.
ci ho riflettuto spesso. se mi imbattessi in qualcuno che sta per ammazzarsi (è già successo una volta nella mia vita), interverrei, sempre e comunque, anche a rischio della mia incolumità fisica. ma… nello stesso tempo, rivendico per me il diritto e la libertà di farla finita in ogni momento. in quel caso, magari, mi comporterei come gli elefanti…
sono grave?
“aperti insulti”.
Se non è un suicidio questo… Per non morire ucciso dalle fiamme l’uomo si getta dal grattacielo. Sa benissimo che è impossibile salvarsi. Dunque sceglie di morire. Sceglie di morire perchè la vita è diventata invivibile. Come un qualsiasi depresso. O come qualsiasi persona delusa dalla vita che sceglie volontariamente di porre fine alle sue delusioni.
Missy cara, il post mette in relazione, alla base, dei suicidi diversi. Quelli dell’11/9 sono suicidi al 100%. Il suicidio è sempre un scelta, quasi sempre dovuta a un tentativo estremo di porre fine a una terribile sofferenza. Sia Garufi che il sottoscritto hanno avuto suicidi in famiglia, purtroppo. Purtroppo siamo esperti in materia. Parlate di quel che conoscete.
A Genetica dico che il dolore altrui spesso è anche il nostro. Il rispetto cessa nel momento in cui si prendono quelle immagini e se ne parla distorcendone il senso in maniera ingiuriosa per le vittime e i loro familiari, o accoppiandole – chessò – a delle patatine fritte.
“Non c’è posizione più falsa dell’aver capito e rimanere ancora in vita”
Questo pensa cioran
io penso che non ci sia posizione più vera dell’aver “capito” ed avere l’orgoglio e il coraggio di rimanere ancora in vita.
Il suicida è in realtà incapace di vivere, cioè incapace di sostenere la morte che non muore
che è la vita stessa.
Pensare al suicidio, ad una possibilità di fuga è però salutare, terapeutico e consolatorio.
È comunque severamente vietato suicidarsi se si è padri o madri.
I figli non perdonerebbero mai.
Io per ora decido di non suicidarmi, domani può essere.
Tanti baci
la funambola
Se la vita è un inferno, quello in foto è un suicidio.
io invece ho perdonato.
credo che límplosione che si avverte prima, límplosione della vita, dev´essere qualcosa di catastrofico.
@ Ana
Cosa vuol dire?
Franz, qui alcuni hanno raccontato le loro camere separate. Non ci metto becco.
Dico solo che la foto forse si prestava a quelle “deformazioni”. Una delle deliziose amiche che hanno scritto prima di noi l’ha messa in questi termini: io sto qui, a casuccia mia, a battere sulla tastiera verbi e aggettivi. Un aereo di linea mi si conficca nella stanza. Mi butto giù dalla finestra per salvarmi la vita. Come minimo a un pilota normale gli darebbero disastro colposo.
Ad ogni modo, il tuffo c’è, ed è una scelta soggettiva.
Ma un’altra foto, allora, un altro tuffo? http://www.beatcanvas.com/pics/united_93.jpg
@ funambola
Cioran, se quello che hai estrapolato è il senso, non ha capito niente.
@Pulce, ciao
mi riferivo al discorso sulla tastiera che avevamo fatto su un post precedente, per sdrammatizzare un pò….
che angoscia guardare quell’immagine!
ciao
Ciao, Ana
più sdrammatizzante dei miei commenti cosa ci potrebbe essere?
Senti, sono un pesce fuor d’acqua. Devo ritirarmi (nooo!… non devo ritirarmi in manicomio! Altrimenti avrei detto: devono, ritirarmi) E’ una decisione volontaria. Devo stare in città fino a che non mi daranno il via libera. Ti auguro ogni bene. Così anche per il resto della ciurma. Divertitevi, così sentiamo un po’ di campanellini. Ciao!
:-)
ps: Ogni bene anche a te!
@Franz, io parlo di quello che conosco. Quelli lì non sono suicidi. E non è comparabile assolutamente con la situazione di un depresso (che curo). Non c’è nessuna scelta se si è vincolati a un’opzione che non è alternativa, ma in questo caso equivalente nell’esito. Differente solo nell’immaginario sul dolore pre-mortem. Suicidarsi significa in quanto al fatto nudo e crudo poter scegliere tra vivere o morire. Suicidarsi significa scegliere la morte volontariamente. Tra due tipi di morte non c’è scelta che si oppone alla morte, c’è un cortocircuito totale dove la volontà è annichilita dalla paura del dolore. E’ un drammatico e triste tuffo senza speranza nell’immaginario. Persino nel mondo dei sogni il tuffo nel vuoto ha una sua storia molto più potente della morte tra le fiamme.
Nel depresso psicotico inoltre si può escludere categoricamente che la scelta del suicidio sia un atto volontario.
@Tino S. Fila
Ho ripensato spesso a quanto avvenuto nel racconto che ho citato, sempre giungendo alla conclusione che anche io avrei cercato di salvare la persona, in qualunque modo, d’istinto, senza por tempo in mezzo a riflettere sulla prospettiva diversa dell”altro’.
Giusto o sbagliato che sia, non lo so proprio.
@Franz
Un abbraccio forte.
Ed anche a Garufi, ovviamente.
Luminamenti, in caso di psicosi non abbiamo un scelta. Ma negli altri casi? E che tipo di scelta abbiamo? Possiamo chiamarla una scelta obbligata? Direi di sì. Come una scelta obbligata è la fuga dinanzi a un pericolo che ci sovrasta = la vita. Il percorso di un jumper del World Trade Center è lo stesso di un depresso all’ultimo stadio. Possiamo dire così, a mio avviso: un jumper è stato colpito da “depressione fulminante”. Non ha trovato altra via d’uscita dinnanzi al fortissimo malessere psicologico (creatogli dalla sensazione di morte imminente tra le fiamme) che darsi la morte gettandosi dal grattacielo.
Qualcuno ha parlato di suicidio vietato ai padri di famiglia. Io penso che la famiglia inviti al suicidio. La famiglia, come suol dirsi, ti ammazza. C’è chi si suicida per fare un torto a una famiglia devastante. Nulla in contrario. D’accordo con Tashtego quando invita a non forzare la mano su un aspirante suicida. Certo, è etico tentare di dissuaderlo, ma senza esagerare. A volte insistere fa più male che bene. Pregare, pregare molto. E magari stargli vicino, ma senza soffocarlo. La partita è difficile, e spesso si conclude con la morte. Il suicidio è imprevedibile.
Un abbraccio a Batuffola:-)
una mia amica, anni fa, si è recata come sempre dallo psico-analista dal quale era in cura da anni, ma non l’hanno fatta nemmeno entrare, perchè lo psico-analista si era suicidato quella notte stessa.
forse e’ lo stesso che conoscevo io (padre di un mio caro amico) e caro amico di mio padre
fem
Le immagini dei voli non presentano nulla di nuovo rispetto ai meccanismi noti della tragedia greca, la quale vietava l’esibizione del sangue. Lucrezio, il suicida, ragiona appunto sull’effetto catartico del naufragio da riva. Poi avemmo patiboli e roghi… l’interessante della foto è che la morte violenta esibita non ricade nell’orrido-sublime, ma nel bello-grazioso: come un balletto-volo in cui scompare pure il sublime-stoico e forse traspare l’ultima soddisfazione psicofisica, una sobria ebbrezza.
Francesca, penso sinceramente che l’amico di tuo padre e lo psicologo di cui parla Tashtego siano persone diverse.
Franz: credo anch’io, forse tash voleva fare una specie di battuta, o forse no… potevo in effetti evitare il mio commento (almeno per rispetto dei miei amici), visto che a proposito degli argomenti trattati qui sono molte le cose che ho deciso di non scrivere.
@Carlo: pare che la storia del suicidio di Lucrezio sia stata inventata (per screditarlo) da parte di chi lo censuro’ pesantemente…
fem
…no no pulce, cioran è un fulminato, uno che ha “capito” tanto, tanto che non si è suicidato.
la sua frase è un paradosso, un apparente paradosso.
chi ha capito non può che “fingere” (io direi che può, se lo vuole,può trasformare la finzione in compassione ed è il gradino sul quale cioran non è riuscito ad approdare), pena la totale esclusione, pena la pazzia.
mi fa ridere quando dice che la grande fortuna di nice è di essere finito come è finito : nell’euforia! :)))
io amo le persone, i pensieri delle persone “costantemente e drammaticamente in contatto con le realtà ultime”.
con loro mi sento un po’ a “casa”.
ti trascrivo quello che lui dice del suicidio
“quanta viltà in coloro che pretendono che il suicidio sia un’affermazione della vita! per giustificare la loro mancanza di coraggio s’inventano le ragioni più diverse, a discolpa della loro impotenza.
In realtà, non c’è una volontà o una decisione razionale di suicidarsi, ma solo cause organiche e intime che predestinano a un tale gesto.
I suicidi hanno per la morte un’inclinazione patologica, cui resistono lucidamente senza riuscire a sopprimerla.
In loro la vita ha raggiunto un tale squilibrio, che nessun argomento d’ordine razionale potrebbe più consolidarla.
Non si arriva alla decisione di suicidarsi solo per aver riflettuto sull’inutilità del mondo o sul niente dell vita.
E se mi si opporrà l’esempio di quei saggi dell’antichità che si suicidavano in solitudine, risponderò che poterono farlo solo perchè avevavo liquidato in loro stessi ogni palpito di vita, distrutto ogni gioia di esistere e soppresso ogni tentazione.
Se le lunghe riflessioni sulla morte o su altre questioni insidiose assestano alla vita un colpo più o meno mortale, non è meno vero che questo genere di pensieri non può cher affliggere un essere già minato.
Non ci si suicida per ragioni esterne, ma per uno squilibrio interno, organico.
Le medesime avversità lasciano certuni indifferenti, segnano altri, e altri ancora portano al suicidio.
Per essere ossessionati dall’idea del suicidio occorre un tale tormento, un tale supplizio e un crollo delle barriere interiori così violento, che della vita resta solo una vertigine rovinosa, un turbine tragico, un’agitazione bizzarra.
Come potrebbe il suicidio essere un’affermazione della vita?”
e ancora…mi meraviglio che si cerchino ancora le motivazioni del suicidio, così da stabilire una gerarchia, o allo scopo di trovargli delle giustificazioni, quando non per svalutarlo.
Non so concepire idozia più grande che volerlo classificare in base alla nobiltà o alla volgarità delle ragioni.
IL fatto di togliersi la vita non è di per sè abbastanza grave da rendere meschino indagarne i motivi?”
io di per me sono per l’autodeterminazione sempre, la vita ha un valore che io, solo io posso stabilire di attribuirle.
baci
la funambola
Quello che dice Carlo è interessante, ma chissà cosa passava nella testa di quell’uomo. Rimarrà inaccessibile. In quanto a quella postura non è così semplice assumerla nel vuoto, mi pongo domande…ma penso che la risposta giusta sarà banale.
La fortuna di Cioran è che sapeva scrivere.
In quanto alla morte nel mondo greco antico, non dimentichiamo che la loro morte non è la nostra morte. Inoltre il concetto di individuo e di soggetto erano ignoti alla cultura greca. Sono concetti moderni.
C’è in giro l’idea che uno psicoanalista o uno psichiatra proprio perché cura
o tenta di curare la mente di un’altra persona, non possa non avere problemi mentali. Ma chi cura quel tipo di problemi assorbe tantissimo
@francesca
nessuna battuta, il fatto è vero e ne fui molto colpito, ma ne so poco.
da Moby Dick
Capitolo I
MIRAGGI
Chiamatemi Ismaele. Qualche anno fa- non importa sapere con precisione quanti- avendo in tasca poco o punto denaro e, a terra, nulla che mi interessasse in modo particolare, pensai di andarmene un po’ per mare, a vedere la parte del mondo ricoperta dalla acque. E’ uno dei miei sistemi per scacciare la tristezza e regolare la circolazione del sangue. Ogniqualvolta mi accorgo che la ruga attorno alla mia bocca si fa più profonda; ogniqualvolta c’è un umido tedioso novembre nella mia anima; ogniqualvolta mi sorprendo fermo, senza volerlo, davanti alle agenzie delle pompe funebri o dietro a tutti i funerali che incontro; e, specialmente, ogniqualvolta l’ insofferenza mi possiede a tal punto che io devo fare appello a un saldo principio morale per trattenermi dal discendere in strada e buttar giù metodicamente il cappello di testa ai passanti, giudico allora che sia venuto il momento di prendere il mare il più presto possibile.
Questo è il mio modo di sostituire la pistola e le pallottole. Con un fiorito filosofare Catone si buttò sulla spada; io, con calma, mi imbarco.
…Mais, vrai, j’ai trop pleuré! Les Aubes sont navrantes.
Toute lune est atroce et tout soleil amer:
L’âcre amour m’a gonflé de torpeurs enivrantes.
Ô que ma quille éclate! Ô que j’aille à la mer!
Mi pare che nell’impresa del film “The bridge” si palesi la sostanza mostruosa dell’arte in forma quasi pura: uno piazza una telecamera sul ponte e come un buon pescatore aspetta il suicida. Una volta che ne l’ha catturato, fa le ricerche sulla sua identità, intervista parenti e amici in lacrime, taglia e monta e produce il prodotto che pare vero come la vita vera. Sì, siamo vampiri, avvoltoi, stercorai. Per forza di cose. Ma così no. Magari Tash non è giusto fermare i suicidi, ma aspettare che si ammazzino, cos’è? Scusate, ma trovo un po’ strano che solo una persona si sia soffermata su questo aspetto. Si vede che anche noi abbiamo piena la testa, alla nostra maniera occidentale postmoderna, di troppo bella morte…
Forse sarebbe meglio fermare prima gli omicidi.
Mah…
Dai, non tiratele addosso…Non è mica tanto facile. Ma forse si potrebbe piazzare una telecamera sul luogo di un probabile attentato, fai una grande moschea sciita in Iraq, aspettare l’autobomba che prima o poi verrà e poi andare a intervistare i famigliari delle vittime. Però magari con i cadaveri dilaniati il risultato non sarebbe esteticamente valido…
@Luminamenti,
riguardo a ciò che sopra scrivi…
‘Joung era sempre stato ben consapevole del rischio del contagio mentale;
dell’effetto negativo che una personalità può avere su un’altra(…).
Chiunque abbia praticato la psicoterapia con degli psicotici confermerà che i meccanismi maniacali e le altre caratteristiche del mondo dello psicotico sono in effetti contagiosi e possono avere un effetto assai sconvolgente sulla mente del terapeuta.’
AntoNj Storr, Joung cap.II
parole dure le tue, Helena…
mi si stringe il cuore!
Anche sta cosa di “averne salvati alcuni” puzza parecchio. Come, per caso? O ne ha tirati giù un tot, magari i meno fotogenici, quelli troppo obesi che sarebbero venuti male, caduti con troppa rapidità e malagrazia, quelli troppo sfigati o troppo poco sfigati? Così, per avere la coscienza apposto o poter dire, “beh, però io ne ho salvati alcuni”. Perché è chiaro che per fare il suo bel film non poteva che salvarne ALCUNI. E non importa se questi alcuni poi vanno ad ammazzarsi da un altra parte o continuano a vivere maledicendo chi ha impedito che facessero quel tuffo. Ci sarà stato anche quello che si è buttato in uno di quei momenti di disperazione nera, scatenata da chissà quale evento traumatico, che però passano.
Di fatto, chi ha deciso di girare un film del genere, parte dalla consapevolezza di aver bisogno che un numero sufficientemente grande di persone per riempire la pellicola riesca a fare il tuffo mortale. E probabilmente delega il proprio lavarsi le mani alla telecamera che fa da sola, che è piazzata lì. Delega alla tecnologia quello che è in realtà il frutto di una decisione umana. Roba da Kamikaze d’occidente.
Con i jumers delle Twin Towers, belli o brutti che appaiano nelle foto questo non c’entra niente. Nessuno può impedire un uso cinico, estetizzante, persino pornografico di materiale documentario. Quelli che saltano dai grattcieli ce li ha sulla coscienza solo chi li ha fatti saltare.
Domanda (seria e fatta da una che non crede che la vita te la dà e te la deve togliere soltanto Iddio): ma non esiste un reato chiamato “concorso in suicidio?” Ho appena associato un’altro salto dal ponte, quello del ex poliziotto Adamo Bove, passato per sua disgrazia a fare il funzionario Telecom…
@helena. Mi sembra che tu abbia ragione. Questa malattia si chiama epidemia dell’immaginario
non subisco il fascino nemmeno dei tossicodipendenti morituri inquadrati colpevolmente dalle telecamere del solitamente ottimo Iacona martedì su raitre.Vorrei ricordare agli autori di quel servizio che la pietà è un’altra cosa augurandogli lo stesso coraggio dimostrato per entrare in quello schifo di posto quando vorranno guardare negli occhi i mafiosi che importando quella merda permettono che certe abberrazioni si replichino fino al considerarle normali
Bravissimo Sergio
non ho visto il film, non ho capito bene le condizioni in cui è stato girato, non so pronunciarmi.
non so nemmeno cosa sia l'”arte pura”.
so però che ad un adulto che vuole buttarsi giù da un ponte io non gli andrei a rompere le scatole, perché poi alla sua vita è lui che ci deve tornare, non io.
e se lui ha deciso di lasciarla, meglio non interferire.
è questione di rispetto per la persona umana, per le sue ragioni.
anche per le sue eventuali allucinazioni.
la vita non è un valore in sé, non bisogna costringere e costringerci a viverla a tutti i costi: se la morte è vista come l’unica soluzione alla sofferenza, che sia.
poi credo che nell’arte possano esserci sia il dolore che la morte.
non solo in simulazione.
la validità etica la si valuta al post-tutto, cioè nel risultato artistico, ma non a priori.
Helena, sei il mio mito. Ad ogni modo, la telecamera davanti alla moschea sciita non c’è, ma come dimenticare i video con colonna sonora rap dei salafiti che fanno saltare in aria gli Humvee? Ganzo, no? Anzi, gonzo!, puro jihad-style! Dieci cento mille yeah. Olè. O come diceva quello? affrappé.
Helena, mi piacerebbe farti leggere due righe su costui, come faccio?
http://www2.abdalmalik.fr/
o tashtego tashtego, che ci sarà nella tua testa? io lo so: c’è segatura. Tashtego tashtego
tash, ormai sei alla frutta quanto ad argomentazioni. e mi di spiace dirlo a uno che ho sempre considerato con le contropalle. i tuoi ultimi commenti sono molto esplicativi al riguardo. stai solo raschiando il fondo del barile alla ricerca di appigli inconsistenti, pur di tenere in piedi quello straccio di coerenza, o presunta tale, che ti trascini di post in post.
se non ricordo male, qualche mese, un libraio pazzo di cui si sono perse le tracce lanciò un appello per il ritorno del ‘vecchio tash’. forse te lo ricordi. ebbene, visto che sei tu il creatore del clone che mandi in avanscoperta, pensa se non sia giunto il tempo di richiuderlo a chiave in un armadio, gettare la chiave, e rimettere in circolo l’originale.
pensaci, franceschino.
@eva
se hai obiezioni puoi argomentare, siamo qui per questo.
tutto il resto è fuffa, come si dice.
ti consiglio inoltre di pensare al tuo, di barile.
‘… ad un adulto che vuole buttarsi giù da un ponte io non gli andrei a rompere le scatole, perché poi alla sua vita è lui che ci deve tornare, non io.
e se lui ha deciso di lasciarla, meglio non interferire.
è questione di rispetto per la persona umana, per le sue ragioni.’
sì, hai perfettamente ragione, mi hai convinta: di fronte a questo nulla, anche il barile che raschio io, per quanto usurato, è ancora qualcosa di ben collocato e visibile all’interno dell’esistenza e del reale.
se poi il ‘rispetto per la persona umana’ è questo, beh, comprati una cinepresa e filma. filma tash, filma…
ci sono tanti modi per suicidarsi da vivi.
uno può essere quello di filmare suicidi.
la fu
Non capisco Tash, perché dici che la vita non ha valore in sé. Sono d’accordo con te che non bisogna costringerci a viverla a tutti i costi.
Non pensi invece che bisognerebbe considerare vita e morte un tutt’uno in sé, senza separarle? La vita e la morte sono tutto quello che abbiamo e tutto quello che pensiamo e accade avviene dentro questo grande contenitore che è la vita-morte. Se priviamo questo contenitore di valore, allora che stiamo facendo? che ci stiamo a fare? Un mistero sì, ma un mistero che ha valore, proprio perché ne parliamo, agiamo, facciamo.
Persino suicidandosi si dà valore alla vita, mi sembra.
Non capisco Tash, perché dici che la vita non ha valore in sé. Sono d’accordo con te che non bisogna costringerci a viverla a tutti i costi.
Non pensi invece che bisognerebbe considerare vita e morte un tutt’uno in sé, senza separarle? La vita e la morte sono tutto quello che abbiamo e tutto quello che pensiamo e accade avviene dentro questo grande contenitore che è la vita-morte. Se priviamo questo contenitore di valore, allora che stiamo facendo? che ci stiamo a fare? Un mistero sì, ma un mistero che ha valore, proprio perché ne parliamo, agiamo, facciamo.
Persino suicidandosi si dà valore alla vita, mi sembra.
p.s ben detto funambola
Secondo me, se si ammette che ciascuno di noi è padrone della propria vita e non ha nessun diritto di interferire nelle decisioni riguardanti l’esistenza altrui, allora il discorso di non interferire con l’atto del suicidarsi, torna.
Se invece si pensa, come i cattolici, che la vita è un dono e nessuno di noi ha il diritto di disporne come vuole e di lasciarla quando ne è stufo, allora l’interferenza con l’atto suicida è giustificata. Però diventa in questo modo legittimo anche impedire una morte dignitosa per coloro i quali hanno problemi simili a quelli di Welby, con TUTTO quello che ne consegue, che non è poco.
Tutto qui.
Poi vorrei capire per quale motivo troviamo moralmente neutro e sommamente interessante osservare un leone che uccide una gazzella (quella è natura, vero? Dunque la morte per sgozzamento di una gazzella non è “oscena”, vero? Non ci riguarda, perché noi NON siamo natura, vero?), senza pensare che il documentarista dovrebbe in primo luogo impedirlo, mentre chi filma un uomo che si butta giù da un ponte per libera scelta dovrebbe mollare lì la macchina da presa e buttarsi obbligatoriamente al salvamento.
Trovo molto più “etico” mostrare che nascondere.
Siamo qui a “discutere” di questi temi proprio a seguito dell’atto coraggioso di un filmaker di mostrare il suicidio come fenomeno concreto, nel suo accadere, invece di sorvolare et sottacere come al solito.
La prima barbarie è nel conformismo etico, nello spiritualismo, nel politically correct.
In definitiva nel nenismo di sinistra di cui voi, eva & fem, siete discrete et aggressive rappresentanti.
al limite servirebbe una composta e discreta indagine su ogni suicidio,senza ausilio di audiovisivi che servono esclusivamente a spettacolarizzare una faccenda che non è esattamente facile da elaborare.Forse aiuterebbe a capire(temo che l’indifferenza uccida più delle associazioni di stampo mafioso e dei sinistri stradali)
@Tash: “eva & fem”? Perché tiri in ballo anche me? Io non riesco ancora a prendere posizione per i seguenti motivi:
1. pro: è giusto non interferire sulla libertà di azione di chiunque, quindi sono a favore dell’eutanasia e in linea di principio al suicidio
2. contro: la vita del singolo non è un valore in sé ma solo in quanto contribuisce alla sopravvivenza della specie, quindi sono contro l’omicidio e il suicidio perché va contro l’interesse della specie (di ogni specie animale, anche se non sono a conoscenza di suicidi fra gli altri animali, forse gli elefanti quando si allontanano dal gruppo per morire?? E comunque quel documentario in cui il leone dominante uccide il cucciolo della leonessa che lui vuole conquistare è un’oscenità tremenda, non lo ho ancora accettato, alla faccia della scienza e della sua oggettività ). E poi c’è il discorso dell’istinto di sopravvivenza che diceva diamonds. Se facessimo tutti come quelle sette che si suicidano in gruppo, addio alla specie animale umana. (anche il farsi prete o suora è un atto quasi equivalente al suicidio dal punto di vista della specie perché impedisce la procreazione)
3. pro: ci sono mille motivi per suicidarsi, tutti validi o meno (a seconda delle culture e dello stato psicologico), quindi chi sono io per giudicare la validità delle motivazioni che spingono al suicidio?
4.contro: la vita del singolo non è un valore in sé , ma lo è per gli altri che lo amano, quindi non riesco a tollerare l’idea che qualcuno a cui voglio bene si suicidi, se fossi lì lo impedirei per ME stessa, cercherei di convincerlo/a di continuare a vivere per evitarmi uno strazio insopportabile. Andiamo, io non riuscirei mai a uccidere mia figlia, anche se tossica, come nel film “La ville est tranquille”. Anche se sono a favore dell’eutanasia si tratta sempre di mia figlia. Come vedi sono già in contraddizione con il punto 1. (come dire che sono a favore dell’eutanasia solo se si tratta di un estraneo…) Ma poi non è detto, bisogna trovarsi dentro le situazioni. Che ne so io? Non sono in un film, e magari anch’io potrei staccare la spina a mio padre (o a mia figlia), chi lo sa. Non riesco proprio a decidere neppure sull’eutanasia, guarda un po’ te. Se entro in casa e vedo il mio compagno che cerca di uccidersi secondo te che faccio?
E comunque ha già detto tutto Laborit (a proposito del punto 4), gli animali esseri umani hanno l’istinto del possesso, quindi stanno bene con le persone amate vicine e il suicidio le allontana definitivamente, creando una sofferenza insopportabile. Si salva il suicida per evitarci tale sofferenza (e se invece si tratta di un estraneo? Abbiamo la forza di restarcene fermi?)
Bho (non riesco a staccare la razionalità dall’emotività, perché in questa faccenda sono troppo legate e poi non si può generalizzare, ogni suicidio è un caso a se stante)
fem
sul fatto poi di filmare, fare arte dal vivo, anche lì è tutto un altro discorso (sul quale non riesco a prendere posizione). Però non mi risulta che filmare i suicidi o fare uno spettacolo con i cadaveri in scena sia un reato. Ma poi a Milano glielo hanno fatto fare lo spettacolo? Non mi ricordo come si chiama l’artista in questione… (quest’anno c’era anche un’altra polemica degli animalisti su uno spettacolo in cui si uccidevano le aragoste??)
La Societas Raffaello Sanzio ad esempio ha sempre sfruttato la realtà in scena: capre morte, cavalli e cani (vivi), ragazze anoressiche od obese, mi risulta che abbia anche messo il filmato dell’omicidio di Genova (come icona del contemporaneo). O quegli altri (i Magazzini criminali?) che uccidevano un cavallo in scena??
Basta ho raggiunto la taglia di luminamenti, anche se in maniera molto meno intelligenti, acculturamenti e brillantementi.
“Your comment is awaiting moderation.”
che vuor di’??
fem
errata corrige: macellavano un cavallo in scena (quindi l’esempio è un po’ OT)
fem
@fem
scusa mi sono confuso.
volevo scrivere “eva & fu”
@ fem
una domanda banale, che più banale non si può, ma passamela e, se ti va di farlo, ti ringrazio in anticipo dell’eventuale risposta.
ma tu, quando hai messo al mondo tua figlia, l’hai fatto, principalmente, per contribuire alla sopravvivenza della specie? la tua scelta rispondeva a quel richiamo, a quel tipo di ‘bisogno’?
domande da fondo del barile, come vedi, quindi inutile farle a tash. oltretutto si rischia di distoglierlo dalla sua occupazione preferita del momento, almeno quella che emerge dai suoi scritti: filmarsi mentre fa il solletico sull’epidermide del nulla.
nel caso ti interessasse, non sono credente e, soprattutto, non sono politicamente corretta. il mio essere di sinistra nasce proprio sui margini dove s’innesta la rottura, l’effrazione.
@ tash
scusa l’ardire: ti sei mai chiesto quanta (in)sospetta(bile) (l’avverbio e il suffisso in parentesi riguardano solo te) vicinanza ci sia tra la posizione di chi si vede – e aspira a presentarsi e a essere riconosciuto come tale – come un ‘puro’ atomo di nulla e la ricerca di ‘purezza espiatoria’ di tanti pentiti e neoconvertiti che bazzicano, anche, da queste parti?
per me siete egualmente, e profondamente, perniciosi e nefasti: accomunati, anche se da sponde (solo) apparentemente opposte, dalla stessa ansia: la negazione dell’umano.
saluti.
Gunther Brus si “disegnava” il viso usando lamette da barba; Rudolf Schwarzkogler addirittura morì per essersi evirato e accecato; Arnulf Rainer si avvolgeva nel filo spinato; Fabio Mauri esponeva saponette ricavate da cadaveri di ebrei e poltrone in pelle umana marchiate con la scritta “Judeus!. Hermann Nitsch nel suo Teatro delle Orge e dei Misteri usava decine e decine di animali squartati e obbligava i suoi attori a bere litri di sangue caldo o anche li seppelliva nelle viscere fumanti e intanto Francesca ricorda soltanto un lavoro dei “Magazzini”, esattamente “Genet a Tangeri”, rappresentato in un mattatoio, durante la macellazione di un cavallo… la quasi totalità della critica italiota fecero a “pezzi” i “Magazzini”, furono isolati, sospesi i finanziamenti, persero il loro stesso teatro. Un giornale di provincia che si atteggia, tale “Corriere della Sera”, osò intervistarli e Roberto De Monticelli, critico teatrale (allora vivente) ebbe una dura reazione. Eravamo nell’estate del 1985, ho qui davanti a me, una cartellina con decine di interventi dei “maggiori” (si fa per dire) critichessi e critichesse teatrali… Il mattatoio era uno spazio abbastanza grande, con vari locali, stiamo parlando di Sant’Arcangelo, naturalmente e il testo fu scomposto in un prologo, all’esterno dell’edificio, e poi la prima scena nella stalla, con il cavallo vivo, etc. Gli attori assistevano all’uccisione, non vi hanno messo le mani dentro, non hanno tracciato scritte col sangue, etc. Si voleva rappresentare Genet e la sua disperazione osservando i massacri operati nei campi palestinesi di Sabra e Chatila…
Care ragazze, cari ragazzi, se vi disturbano tanto i mattatoi, fate come me: astenetevi dal consumare cadaveri, anzi carogne…
sarei tentata di suicidare il sentimento che ho per lei signor tash
ma resisto e confido in lei.
la fu
Sono sempre più inopportuna. Il suicidio, il problema del rapporto arte – morte è serio e io invece lo ho trattato allegramente senza un minimo di sensibilità.
Che mi serva di lezione per il prossimo futuro: leggere di più e commentare di meno (al max 5 righe)
fem
@ Eva Risto (Galois??): come faccio a individuare le cause dei miei bisogni?? So solo che la volevo e la desideravo.
Ci sono diversi punti di vista: se il punto di vista del singolo coincidesse un po’ di piu’ con quello della specie il nostro pianeta forse non sarebbe così conciato.
fem
vogliamoci bene con la fu, che mi ha dedicato una bella poesia, tempo addietro ;-))))
fem
Il tuffo: vi ricordate di quell’episodio di cronaca in cui due fidanzati si sono buttati da un ponte per fare il jumping (o come si chiama), la corda non ha tenuto e sono morti.
fem
a proposito di commentare di meno: al max 5 commenti e poi basta
adieu
fem
Una riflessione di Chuck Palahniuk:
“E’ vero, noi abbiamo bisogno di raccontare le nostre storie – di digerire le nostre vite – ma pochi sono disposti ad ascoltare le peggiori: quelle truculente, o tragiche, o davvero umilianti. Ecco perché quando qualcuno si arrischia a raccontare storie simili, dà agli altri il permesso di raccontare le loro. Storie che di rado hanno l’opportunità di raccontare. Eventi che forse passeranno tutta la vita a digerire. Arrischiandoci a raccontare le nostre storie più raccapriccianti, le più estreme, stabiliamo un precedente che offre agli altri questa opportunità rara. Il mio amico che smistava i bagagli a Seattle raramente racconta la storia del dito. Ormai sono anni che viaggia per l’Europa. Ha studiato in Francia, in Spagna, in Italia. Quando qualcuno si accorge del dito, lui fa spallucce e dice che è stato un incidente. Roba di decenni fa. Non fu un incidente. Con la mano sinistra afferrò il dito penzolante. Viscido di sangue. Già freddo. Barattando materia con energia, il suo dito con il suo futuro, tirò. Il lembo di pelle si tese. Lui cominciò a torcerlo, fissandolo, stupito di quanto resistesse. Di quanto fosse robusto il tessuto di cui era fatto. Tirò, finché non si strappò. Perché nessuno lo trovasse, perché il dito morto non lo raggiungesse all’ospedale, aprì la cerniera di una valigia e ce lo infilò dentro. Quel pezzettino di lui se ne stava andando dove il resto di lui presto l’avrebbe seguito. In avanscoperta. Quel sacrificio. Ormai questa storia non la racconta più. A me la raccontò anni e anni fa, e ogni volta che accenno al dito perduto lui si mette a ridere. Si guarda la mano, rigirando il moncherino come se non l’avesse mai visto. Scuote la testa e dice non ci posso credere che ti ricordi ancora quella vecchia storia. Certo che me la ricordo. Io racconto la storia perché è la mia vocazione. Per me qualsiasi storia, se è buona, se è forte, rimane irrisolta finché non riesco a trascriverla e a venderla. Finché non diventa un libro, magari un film, magari un videogioco. Questo saggio è la riduzione della storia del mio amico, che a sua volta era la riduzione di un evento realmente accaduto. Col tempo siamo destinati a vedere gli attentati al World Trade Center ridotti a sfondo di un film porno. Digeriti. Banalizzati. Risolti. Esauriti. Assimilati. Io qui non c’ero mai venuto. A Capri. Finora. Il dito del mio amico si è trasformato in una settimana al sole. Per me, ora, questa storia è completa. E c’è comunuqe qualcuno, da qualche parte, in un bar o a una festa, che ancora sta raccontando alla gente di quando, aprendo la valigia, tanto, tanto tempo fa – decenni – trovò un dito infilato fra gli abiti ben ripiegati. E quel pubblico, la gente che lo ascolta, attende di raccontare storie simili. Eccitata all’idea di poterlo fare.”
… il rallentie di Zabriskie Point…
@tash. Secono me la vita è in un certo senso anche dono. E in un altro senso ne siamo padroni (molto poco). In ogni caso anche pensandola come dono non ne consegue quello che la dottrina cattolica sostiene. Non sono per niente d’accordo con i cattolici. Inoltre sono molti che, oggi, non trovano moralmente neutro vedere un leone che ammmazza una gazzella.
Forse tempo fa era così, ora le cose stanno cambiando.
In quanto al film, non ho una posizione morale al riguardo, piuttosto psicoanalitica. Credo al potere altamente distruttivo per la psiche di certe immagini. Non credo alla pedagogia di certe immagini, né credo in una sociologia delle immagine. L’immaginario è fondamentale per la psiche e siamo in piena epidemia delle immagini. Le nostre immagini interne sono ammalate per questa continua invasione dall’esterno. Non si tratta di nascondere le immagini, nè di negarle, ma di ripristinare un equilibrio che è profondamente alterato. Un’analisi approfondita del funzionamento psichico, mostrerebbe l’effetto devastante che si sta producendo.
ottì per lumì
Quando vado cercando il senso della vita, mi imbatto in prati sconfinati, in vastità di luce, in lande desolate e mostruosi baratri.
Ma una misericordiosa ignoranza interviene sempre quando la luce può accecarmi o il baratro inghiottirmi.
E l’amore, l’amore è sapienza,è divina ignoranza per “l’immensità” con la quale mi mette in contatto.
E poi, per il resto, vivo, con quell’andatura incerta che chiamano esperienza.
ti immaginavo alle prese con un caimano mentre sfuggivi miracolosamente ad un serpente biforcuto dopo aver convertito due cannibali ad una dieta vegetariana che fa bene alla malaria. :))))
fortuna che non sei partito che sarei stata in pensiero nè!
un bacio
la funambola
… E’ questo il punto. Scriviamo pagine di storie, riempiamo baratri di inchiostro con budella e pietre, budini e psicofarmaci, gogne, visi deturpati e la gente è lì. Ferma ad ascoltare. La gente ha bisogno di storie.
Noi abbiamo bisogno di storie.
Di poliziotti travestiti che viaggiano in 124 Spider e di silenzio.
Ossessionato. Umido. Rancido. Odiamo il silenzio e lo riempiamo, con le storie degli altri. Passiamo la vita a riempire il nostro silenzio, come il ripieno con l’aglio e il pan grattato per il tacchino; il giorno del ringraziamento.
Loro condannati nel ruolo dei tacchini, il culo aperto. Noi la mano che infila il ripieno e le storie degli altri.
Blackjack.
Sì, anche a me pare che Palahniuk abbia centrato il punto. Vampirizzazione e trasfigurazione, è questo che fa l’arte con la vita, da sempre. Con le immagini di un film-documentario forse diventa più intollerabile il racconto di una storia tragica rispetto alla scrittura, ma il procedimento è lo stesso. E anche il guadagno dell’artista (visibilità, denaro, una settimana a Capri).
“Se venne dagli dèi strage cotanta,
Lor piacque ancor che degli eroi le morti
Fossero il canto dell’età future.”
(Odissea, VIII libro)