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Io, preda

di Giovanni Fazzini Adagio, non troppo La preda erodeva il mio corpo. Acqua evaporava, e combustibili macromolecole si consumavano nel moto di muscoli incandescenti. E l'anima anche si consumava, ritirandosi e spalancando un vuoto accogliente, ergonomico. Lì si accoccolò la preda, si addormentò beata; per sempre al sicuro, dolce ninnananna del cozzar di denti e ruminar di mascelle.
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