di Giacomo Sartori
Sempre pollo!
sempre pollo!
sempre pollo!
declamavi
scimmiottando
l’agiata vicina
durante la guerra
il pollo noi
ce lo sognavamo
la notte
dicevi
sprofondando
nei marosi
d’una risata
per una volta
vera
Da domani
da domani
andiamo al ristorante
sempre e solo al ristorante
non voglio più
stare ai fornelli
dicevi
Mi guardano
mi guardano
come fossi
una mummia
sei sbottata
l’ultima volta che
t’ho accompagnata
a sciare
All’ospedale
all’ospedale
mentre assaporavi
un sopore di tregua
singhiozzavo e
singhiozzavo
(non potevo domarmi)
al piede del letto
mio nipote e la sua bella
covavano ieratici
la loro incoluminità
di giovani sportivi
(grazia simmetrica
d’etruschi)
Ho sognato
ho sognato
che dovevo passare
la maturità
e non sapevo...
di Giacomo Sartori
Volevo dirti
volevo dirti che
il libro su dio
vendicchia benino
anche se certo
la critica latita
(i clerici delle lettere
son così ligi
ai riti prestabiliti
così disattenti
così asserviti!)
i cattoliconi svicolano
e gli esteti atei
sogguardano da sopra
volevo dirti che
le beghe ereditarie
non sono poi serie
archiviati i conticini
si squaglieranno certo
come avanzi di neve
in aprile
volevo dirti che
sono un po’ giù
questa sera
la pioggiolina
è tanto lagnosa
(lo zelo si dilava
nel buio umido)
ma certo passerà
certo verrà mattina
verrà il sole sfacciato
non devi preoccuparti
volevo dirti...
di Giacomo Sartori
Al maestro dicevo
al maestro dicevo
ch’eri sempre fuori
sempre fuori
di giorno e di notte
(soprattutto la notte)
fuori con la pelliccia
fuori con i rossetti
ogni sera via
nella notte buia
con le calze a rete
poi i pomeriggi
saldata alla cornetta
sbraitando chissà che
tutti quei nomi
che chiamavano
per fissare l’ora
e fare baldoria
lui t’ha convocata
non senza prosopopea
ma anche clemente
(cristiano praticante)
ognuno fa
quel che il fato
gli posa sul capo
ha esordito
quel tuo mestiere
(se di mestiere
potevasi discorrere)
era quel che era
dovevi però pensare
pure ai...
di Giacomo Sartori
In una foto
in una foto sulla neve
(sfondo di pareti
simili a pandori)
hai calzoni rastremati
di protosportiva
scarponi di pelle
fissi l’obiettivo
(certo tua figlia)
contenta dell’attimo
gli occhi sorridono
(poi scruteranno
da uno scranno
di disincanto)
ancora coerente
con te stessa
minuscolo sciatore
famelico di contatto
premo la spalla
sulla tua coscia
una tutina di panno
quasi d’aviatore
cincischio le manopole
canto o grido
il mio broncio
(labbrette protese)
pencolo il mio bisogno
la tempia sull’anca
del mio sostegno
per non concedermi
quello ch’anelo
il tuo braccio
fugge all’indietro
Dovresti andare in vacanza
dovresti andare in vacanza
lavori sempre
mi...
di Giacomo Sartori
Come potevano
come potevano
l’incongruenza del pensiero
la presunzione
la foia di primeggiare
la petulanza
(in sintesi lo snobismo)
dare un cocktail
così umano
e così toccante
come potevi
farti tanto amare?
(tu ch’amare
sapevi male)
A spezzare l’idillio
a spezzare l’idillio
tsunami arcano
(pedissequa gelosia
guardando indietro)
giunse la voce adulta
una prima amichetta
poi un’altra
quasi mogliettina
e non parliamo
dei rivoluzionari
i grezzi operai
il prete spretato
il grecista comunista
coacervo trasandato
(scarpe sformate
e capelli unti)
m’hai ripudiato
come si congeda
un domestico
ch’ha rubato
pure l’amico tanto caro
lo squisito omosessuale
(il mio padrino):
radiato dai radar
del mio esistere
(niente più...
di Giacomo Sartori
Portavi i fiori
portavi i fiori
sulla tomba di famiglia
brullo muro
nel cupo del colonnato
(neoclassicismo malmesso
dei cimiteri)
dov’è il dandy
che tanto t’è mancato
(presenza immateriale)
tua mamma cosmopolita
dalla lingua tagliente
suo fratello incisore
quello erudito
professore e libraio
più giù nella lista
lo scienziato mazziniano
poliomielitico bigamo
tuo cugino narciso
figlio d’una scopata militare
nei Balcani in fiamme
(la madre l’ha portato
in un involto
e s’è riavviata)
superbo e permaloso
(fino alla fine
bisticci e paci
d’indomiti vecchini)
due tue sorelle
ben più belle
(e sposate ben meglio)
e altri nevrotici
(mica si...
di Giacomo Sartori
Eri bella mentre morivi
eri bella
all’ospedale
senza rossetti e fronzoli
senza plateali
parole
eri bella
avviata alla morte
priva d’attrezzatura
bramosa di concludere
(sobbarcandoti pur sempre
la lunga marcia)
eri bella
prima di morire
(basta ospedale)
davvero tanto bella
finalmente calma
finalmente assorta
(con una così
faceva voglia
ricominciare)
eri bella
finalmente leggera
nell’etere della morfina
leggera come una piuma
leggera come il tuo nome
stavi bene
e te ne andavi
eri bella
sballata e rilassata
senza più disprezzi
senza fingere interesse
senza esigere
d’essere finita
eri tanto bella
divertita e incantata
dalla recita privata
(danze certo di morti)
avevi vinto
(il dolore e le...
di Giacomo Sartori
Adoravi i risotti
adoravi i risotti
il prosciutto di Parma
i formaggi cremosi
i bianchi secchi
i rossi leggerini
la frutta gonfia di succo
e i dolci
tutti i dolci
morbidi o crostosi
i cioccolatini
il torrone burroso
piluccavi avidi bocconcini
becchettatine d’uccello
mimetizzate nelle arguzie
spigliate o analitiche
(guai all’ingordigia
solo il volgo
s’abbuffa e strafà)
detestavi i buongustai
e chi mangia d’appetito
se sceglievo un buon posto
decriptavi il menù
stringendo le guance
e poi chiedevi del pollo
normale pollo arrosto
indignata del disservizio
(davvero non servite pollo?)
Mi raccontavi
mi raccontavi
ch’avevi sbagliato tram
poi...
di Giacomo Sartori
Il tuo fascismo
il tuo fascismo
era la voluttà della neve
l’asprigno di resina
(pino mugo e larice)
l’aria grezza nei capelli
la disciplina dell’alpinismo
le risate interclassiste la sera
(eterno brio di giovinezza)
il tuo fascismo
era la nostalgia
d’un dandy
appena intravisto
dei dettami e delle norme
che non t’aveva lasciato
(neppure per interposta persona)
il tuo fascismo
erano le libidini
del tuo corpicino
indomito e ligio
i severi precetti
che gli imponevi
la tua perseveranza
il tuo fascismo
era la febbre
delle forme
della bellezza
dei vestiti
dei mobili antichi
della distinzione
il tuo...
di Giacomo Sartori
Più di tutto
amavi i libri
i fiori
i cieli
i film
chiacchierare
viaggiare
ridere
ma più di tutto
più di tutto
adoravi sciare
fin da ragazza
fin dal fascismo
su e giù
e ancora giù
l’aria cruda sugli zigomi
giù e sempre giù
leggera e intrepida
nel riverbero cereo
su e giù e su
e poi di nuovo giù
sulla scorza viscida
dei grattacapi nel fondovalle
(come tagliare il traguardo
della fine del mese?)
giù in ebbrezza vitalista
(per non dire postfascista)
giù nel bianco
giù nell’azzurro
perfino molto anziana
scivolavi lieve
sulla pelle della neve
anche sui...
di Giacomo Sartori
come foglie di novembre
non mi dicevi ch’era morto
l’amico d’una vita
o l’ultraconfidente
crollato un altro bastione
dissertavi e divagavi
murata nella logorrea
(stizziti guizzi del mento)
le persone sparivano
dalle tue frasi troppo tese
come foglie di novembre
da tralci traumatizzati
qualche spettro riafforava
anni o decenni dopo
fossile ben conservato
carezzato con discrezione
da un’altra era
eri molto bella
scavata e senza rossetto
(l’odiato rossetto
d’eccentrica borghesaccia
d’acculturata baldracca)
i capelli fini e candidi
sovrimpressa ormai a tua madre
eri più grave
eri molto bella
cosa ci faccio
cosa ci faccio
io...
di Giacomo Sartori
come facciamo con le sedie
come facciamo con le sedie
ci tenevi tanto
a regalarmele tu
ma poi mancava il tempo
per andare a sceglierle
veniva la festa successiva
avevo altre urgenze
l’anno seguente ero via
il Natale dopo ancora
mi faceva fatica
un po’ era anche
per non farti spendere
diciamola tutta
(anche le vecchie
accoglievano le chiappe
stando un po’ accorti)
ridevamo di queste sedie
che non arrivavano
né a Natale né mai
adesso come facciamo
è il mio compleanno
e il tempo lo avrei
(scegliere è niente)
tu...
di Giacomo Sartori
poi ricordo
quando mi scopro stanco
o le cose smottano
mi dico che
devo proprio chiamarti
(il solito opportunista)
poi ricordo
che sei morta
la psicanalista mi dice
la psicanalista mi dice
che da bambino
m’hai preso in ostaggio
sa che so
ci tiene però a ribadirlo
non infierisce sul presente
accarezza il coperchio
della trappola terapeutica
(e insomma retorica)
posponendo l’affondo
certo prematuro
con magnanime inspirazioni
d’umanesimo junghiano
le nostre chiamate
le nostre chiamate
si avviticchiavano
al tempo atmosferico
e alle maniglie dei giorni
in reciproca auscultazione
dei carsi sotto le frasi
tu parlavi dei...