di Enrica Fei Quando zia Sara mi chiama dalla sinagoga – ogni volta è lì, nei pressi, che mia madre decide di farlo, di buttarsi sotto una macchina o di fingere uno svenimento nel cortile dei Càroli e sbattere la testa contro il nano da giardino, quello che fa da guardia – esco di casa, compro le sigarette, e mi incammino verso l’ospedale.