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Da “Stanze camere e vetrine”

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di Marco Mantello

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Candido 1984

Mi sono rotto, fratellone
di essere una Bburago o una Ferrari
che la devi caricare con lo spago
perché prenda la sua direzione.

Appunti indiani #3

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di Sergio La Chiusa

thrissur.jpg Il Kerala è uno strano paese. Qui ridondanti templi indù convivono con moschee islamiche e con esili chiese cattoliche dai colori pastello, in disaccordo con la rigogliosa vegetazione tropicale. Qui si trovano perfino rare sinagoghe. Qui le immagini di Shiva nelle sue diverse forme si alternano a quelle di un dolente Gesù Cristo, e non è raro trovarli l’uno accanto all’altro, Shiva e Gesù Cristo, a contendersi la sovrintendenza di una stanza d’albergo. Qui, di tanto in tanto, si vedono perfino sventolare bandiere rosse con falce e martello. Qui la modernità sembra avere spazzato via un po’ di miseria. Qui l’India sembra essere scesa a patti con il mondo.

Appunti indiani #2

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di Sergio La Chiusa

madurai.jpg In India dobbiamo mettere da parte il nostro linguaggio verbale e corporeo. Il nostro codice di segni qui non ha significato. Sono altri i gesti e altri i significati ad essi correlati. Basta pensare a quel dondolio della testa comune a tutti gli indiani, tanto a quelli del nord come a quelli del sud. Si direbbe che le teste degli indiani non siano ben avvitate sul collo, a vederle dondolare a quel modo, docilmente, da destra a sinistra e viceversa, con quel movimento ondulatorio e un po’ enigmatico, da bambole eternamente sorridenti, che è un segno d’assenso e un benvenuto e una dimostrazione di gratitudine e molte altre cose ancora. Un gesto dolce e impensabile per noi.

Appunti indiani #1

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(note da un viaggio nell’India del sud)

di Sergio La Chiusa

chennai.jpg L’India mi dà il benvenuto con la sua moltitudine che afferra la gola. Fuori dall’aeroporto di Chennai si è accalcata una folla immensa, compressa sotto la pensilina al riparo dall’acquazzone. Sono quasi tutti immobili; impediti nei movimenti, attendono che spiova con una pazienza così naturale che – mi pare – potrebbe trattenerli lì per l’intera stagione monsonica. Sulla strada, sotto il diluvio, un ingorgo di taxi ammaccati, di autorisciò giallo neri che danno fiato ai clacson, cercano clienti. Mi insinuo in un varco che si è creato tra due corpi e qui, in una nicchia d’aria, occupo il mio posto di statua avventizia, esotica, in questa architettura vivente. Respiro per la prima volta l’aria dell’India; la sento anzi appiccicarsi alla faccia, una specie di ragnatela invisibile, che non capisco se è polvere o il volo inebetito di migliaia di microscopici insetti.

In appoggio al gesto di Agamben

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di Carla Benedetti

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“Vi sono soglie nel controllo e nella manipolazione dei corpi, il cui oltrepassamento segna una nuova condizione biopolitica globale” –
scrive Giorgio Agamben in un articolo uscito su “Repubblica” dell’8 gennaio.

Gli alfabeti dello spazio

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di Giorgio Vasta

uncondamneamortsestechappe.jpgFalso inizio

Dal treno, rallentando, oltre il finestrino rigato del mio scompartimento, entrando nella stazione di Zugo, attraverso la parete di vetro di una palazzina moderna (ricorderebbe – ed è probabile che sia una sua diretta discendente, nella concezione vetro-cemento-metallo – la Heidi Weber Haus di Le Corbusier, che sta poco più in là, a Zurigo), vedo, frammentati, scomposti dalle lame strette orizzontali delle tapparelle, ognuno vestito di colori diversi (riconosco il verde, del rosso, del blu), un gruppo di sei sette persone. Sono disposte in un cerchio allungato, un’ellisse, sono leggermente sollevati dalle sedie (tranne che per queste sedie la stanza appare vuota), come si stessero alzando lentamente (proprio al ralenti), tutti insieme. Tengono le braccia sollevate come fossero ali, inarcandosi (questo movimento di inarcamento di spalle e braccia, oltre ad alludere al volo ha anche qualcosa dell’immergersi – sembra di assistere a un tuffo pensoso). Più alto degli altri un uomo biondo, con i baffetti e una lieve peluria sul viso, bionda anch’essa, magro ma solido, si inarca e si innalza sopra i suoi allievi (suppongo siano i suoi allievi, per come guardano, per come restano, nella riproduzione del gesto, qualche millimetro indietro rispetto al maestro), con maggiore compenetrazione, con gli occhi socchiusi, e guarda in alto, estatico: probabilmente è il capostormo di questa nidiata di svizzeri volanti.

L’ARTISTA PENSATORE (lettura della “Macchina mondiale” di Volponi)

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di Antonio Moresco

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Trascrivo qui alcuni appunti, sviluppati poi a braccio in un incontro su Paolo Volponi che si è tenuto a Cagli il 28 novembre del 2003.

Vi ringrazio per avermi dato il pretesto di andarmi a rileggere dopo molti anni “La macchina mondiale”, che avevo incontrato per la prima volta a 18 anni e di cui ho ancora in casa il volume Garzanti comperato allora. C’è scritto: “Prima edizione, marzo 1965”. Perciò non a 18 anni ma a 17, dato che sono nato alla fine di ottobre. Prezzo: 1800 lire. Meno di 1 Euro di adesso.

Riforme – Riformismo

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di Bruno Bongiovanni

cola_di_rienzo.jpgIl concetto di riforma non è esente da ambiguità che sono forse accentuate dal monismo lessicale che c’è, in questo caso, nella lingua italiana. In altre lingue vi sono due diversi termini (in inglese reform e reformation, in francese réforme e réformation, in tedesco Reform e Reformation). Sono termini intercambiabili quando vengono utilizzati nel significato ampio e generale di “miglioramento”. Più in particolare, però, in inglese, reform designa il tentativo di correggere pratiche corrotte, eliminare abusi e promuovere cambiamenti in primo luogo sul piano politico e legislativo, mentre reformation viene preferito in ambito morale e religioso (e usato, soprattutto, per indicare la Riforma protestante). Con il termine “rivoluzione”, sorto in ambito religioso e diffusosi in ambito astronomico, “riforma” ha dunque in comune il significato originario, e paradossale se si pensa all’uso corrente, di ritorno al punto di partenza. Vi è però una differenza. Con la “rivoluzione” si torna al punto di partenza per vie “naturali” e prefissate – la creatura che torna al creatore, un corpo celeste che compie un’orbita per ritrovarsi là dov’era – mentre la “riforma” è artificiale e volontaria: viene cioè effettuata dai riformatori per cancellare i deragliamenti subìti dalle istituzioni civili ed ecclesiastiche.

Traiettorie dell’anticomunismo

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di Bruno Bongiovanni

communism_logical.jpgL’anticomunismo è un fenomeno che ha certo un cuore antico. Ha tuttavia avuto tante anime. Ed è stato declinato, nel corso del tempo, in modi storicamente e concettualmente diversi. Non va d’altronde passato sotto silenzio il fatto che, allo stato attuale delle conoscenze, il termine comunismo è comparso per la prima volta nel 1569, in ambito religioso, e in lingua latina, come atto d’accusa, e quindi con significato negativo, contro la setta protestante dei fratelli moravi. Questi ultimi, a quel che sosteneva l’anonimo anabattista anticomunitario che per primo produsse, proprio contro di loro, il termine “comunisti”, pretendevano, mettendo in comune i beni, di trasformare la vita quotidiana in vita conventuale. Annullavano così, a suo dire, la necessaria distanza tra esistenza laicale ed esistenza monastica. Alle origini della sua accidentatissima vicenda semantica, il comunismo germinò dunque da un’evidente intenzionalità anticomunista. Si può così quasi dire che il sospettoso anticomunismo sia nato prima del paventato comunismo.

Il poema del disoccupato

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di Gianluca Gigliozzi

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Gli ultimi studi, sociologici o in forma d’inchiesta giornalistica, circa la vita quotidiana del disoccupato italiano in questo scorcio di millennio, nonostante la scrupolosità delle osservazioni e l’attendibilità delle statistiche, forniscono un quadro o troppo grigio o troppo nero della situazione, indugiando eccessivamente, a nostro modesto avviso, su una sequenza significativa di dati reali, quali potrebbero elencarsi come: aumento dell’apatia, innalzamento del coefficiente di irritabilità individuale, ora tarda del risveglio, aumento del numero medio giornaliero di sbadigli, in taluni casi aumento dell’attività sportiva e delle letture manualistiche (specie le guide alla Pesca e al Giardinaggio), ma anche indebolimento progressivo del sistema immunitario; ancora, in taluni casi diminuzione sensibile della volontà di vivere relazioni sociali mature, in talaltri casi, in sensibile incremento, diminuzione della volontà di vivere;

L’idea di equilibrio

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di Andrea Falegnami

{Sangue dal naso, cavatappi, catastrofi, adolescenza. Gente prima non c’è e un attimo dopo c’è, gente che manca da un momento all’altro, gentaccia che mena le mani, persone che ti danno una lezione, lezioni che vengono impartite da nessuno…}

Dopo tutto è pur sempre una storia…
[Da dove comincio? Be’ vediamo alcune tipologie d’incipit:
a. Immissione in media res; vi spiattello là per là una frase, tipo: “A Marco cominciò a sanguinare il naso solo al terzo pugno ricevuto” che voi sicuro già vi figurate Marco che fissa lo Zenith, coi tamponi emostatici nelle froge, a loro volta premute dalle sue mani incapaci di difenderlo ed io comodamente vi ho portato dentro la storia, sta a me poi farvici rimanere;
b. Presentazione immediata d’un personaggio: “Marco ha quindici anni e gli occhi neri e almeno fino ad oggi, non ha mai avuto bisogno di menare le mani in vita sua”;
tuttavia la mia preferita resta sempre la:
c. Presentazione d’una situazione banale e tranquilla, il che lascia supporre che di lì a poco si verificherà l’evento perturbatore, la Catastrofe.
Una catastrofe, nel senso più ampio che René Thom [[il fondatore della teoria delle catastrofi]] attribuisce a questo termine, è una transizione discontinua qualsiasi che si verifica quando un sistema dispone di più di uno stato stabile, o può seguire più di un cammino stabile di trasformazione. Chiaro, no?

Capodanno in piazza

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di Diego de Silva
fireworks.jpgIl presentatore arrivò che stavano ancora montando il palcoscenico. Nella piazza deserta, il vento aveva rovesciato un cassonetto della spazzatura. I rifiuti più pesanti rotolavano. Il presentatore veniva a piedi dalla stazione con il trolley, offeso per non aver trovato nessuno dell’organizzazione ad aspettarlo. Eppure aveva comunicato l’ora esatta del suo arrivo. Avrebbe rinfacciato questa grave mancanza, di sicuro.
Uno solo si voltò, e trovandosi il vento in faccia contrasse le labbra in una smorfia che sembrò un sorriso. Il presentatore allora pensò che l’avesse riconosciuto, e si tirò su nelle spalle.
Andò fin sotto il palco, schiacciandosi i capelli radi con la mano. Parcheggiò il trolley accanto a sè e alzò la testa in direzione di due operai che in quel momento stavano inchiodando una moquette rossastra sulle assi di legno.
– Scusate – disse alzando un po’ la voce per farsi sentire, – c’è qualcuno dell’organizzazione?

Contro Carver

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Appunti per un requiem sul post-minimalismo
di Alberto Bogo

carver.jpgSono allergico a Carver. Non tanto ai suoi libri (o ai libri del “prodotto Carver”, visto l´apporto consistente del suo editor), ma dei suoi figli illegittimi. Dello svarione che hanno preso tanti “giovani scrittori”. Carver è un prodotto semplice, non tanto nell’imitazione pedissequa, ma nelle sue infinite declinazioni, delle sue varianti parziali, delle parodie involontarie.

Ci sono una serie di piccoli editori che rovinano schiere di potenziali scrittori dandogli in pasto il kit del bravo minimalista. Il kit comprende una lista di scrittori con in cima Carver, storie superficiali di periferia, racconti di formazione senza epica, il nulla impacchettato a modernità. Nascono così contraffattori della letteratura, taiwanesi della parola, cinesi della narrativa.

Dante vs Carver. Una parodia

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di Alberto Bogo

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Mi trovavo a metà strada, circa verso i quaranta. Avevo appena divorziato da Linda Bully, mi stavo recando dal mio amico Jimmy Wait. Mi sono accorto che mi ero perso. Il vialetto era lì in fondo, ne ero sicuro. Vedevo la luce di un televisore, era estate. Intorno adesso avevo solo alberi e buio, non so cosa avessi in testa in quel periodo. Forse ero semplicemente fuori rotta, certo che quella strada era davvero brutta. Mi vengono i brividi solo a pensarci, mi sembrava di stare in un cimitero. Andare da Jimmy altre volte non mi era sembrato poi così male.

Nuovo cinema paraculo: Come ti smonto e rimonto un’umanità da cani

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Dogville di Lars Von Trier

di Paolo Pecere

«Dogville è un geniale apologo sulla malvagità umana. La Grazia (una struggente e bellissima Nicole Kidman, riconsacrata al cinema d’autore dopo l’affaire Kubrick) venuta a dare un’ultima occasione alla Comunità umana-americana, si scontra con la comune crudeltà e ipocrisia, per tramutarsi infine in violenza distruttiva e… purificazione o provocazione? … Il geniale regista danese mette ancora una volta in scacco i nostri… toccare le corde più… trasparente e feroce come nessun altro… a nudo le nostre… » ecc. – così, forse, Lars Von Trier avrà immaginato la prima recensione al suo ultimo film.

Rue du Bac

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di Dario Voltolini
(omaggio a Julio Cortázar)

ruedubac.jpg Io sono quello che ha il negozio di liquori in rue du Bac. Il mio non è certo un negozio dozzinale, che venda a un pubblico qualsiasi liquori di dubbia qualità. No. Il mio è un esercizio di classe. Lo si vede subito, entrando: la qualità dei legni che lo arredano, le scansie stagionate, lucidate, incerate con cura. Le tendine, a fare da quinte per la rappresentazione della vetrina allestita. Ho un mobilio sobrio e ben disposto, anch’esso di legno, scuro, con venature calde, bronzee.

Il Natale di Gesù Esposito

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di Tiziano Scarpa

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Stava arrivando l’inverno, ma quella mattina il sole stendeva il suo mantello caldo sulla città. I ragazzini correvano per la strada in camicia. Solo Filippo aveva freddo. Era salito fino a Sant’Elmo, per guardare Napoli dall’alto. Gli uomini, laggiù in fondo, erano più piccoli di un bruscolo nell’occhio.

Nuovo cinema paraculo: Kappa e Spada

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Da Kill Bill a Kitano, samurai, clown e buffoni di corte

di Serafino Murri

Quando Big Jim Jarmusch, con la discretezza degli antesignani, diffuse incastonandolo nell’occhio semichiuso modello Black De André di Forrest Whitaker-Ghost Dog il modello adamantino del Samurai urbano come unica forma attiva di opposizione uguale e contraria all’autismo indotto dalla società dello spettacolo integrato nella sua fase metastatica, non credo avesse considerato il rischio che l’inesorabile lama dello sputtanamento sarebbe piombata a spiccarne la testa con dentro tutti i sentimenti e i mantra nel giro di così pochi anni com’è accaduto in questo guerriero, posticcio 2003.

La trappola del fuorigioco

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di Andrea Bajani

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Coloro che per mestiere fanno ridere la gente hanno una lunga frequentazione con i meccanismi della censura: è un patto implicito, quello che regola la gestione non conflittuale della messa in ridicolo, o della traduzione in riso, di alcuni aspetti della vita associata. Si conoscono le regole e le si condividono, se per condivisione si intende l’accordo che rende possibile una coabitazione tra due parti. Finché la condivisione persiste, persiste la coabitazione. Nel momento in cui salta, scatta il fuorigioco e si rimette in discussione l’assetto complessivo: si fischia l’infrazione, si ferma il gioco e si concede potere di manovra a chi ha subito l’infrazione. Coloro che per mestiere fanno ridere la gente appartengono a una categoria, che per semplificazione chiamiamo “del comico”, che storicamente ha fatto alzare in più di un’occasione la bandierina del fuorigioco. Una categoria, e non la sola naturalmente, che ha fatto scattare più di una volta la tagliola della censura.

Due poesie

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di Helena Janeczek

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Tre mesi

Nascono insieme dalla stessa gola
l’urlo e il pianto
e dilatano in un mantice a due canne,
l’esofago e la trachea. Gonfiano,
premono in alto e in basso
le tue viscere nere dalla nascita,
ma ora coperte pietosamente di bianco,
dove si consuma il profumo di latte
dolce perché ti dimentichi ogni volta,
e non ricordarci più che fa tremare.

Epitaffio per un orsacchiotto

Aveva perso un pezzo di sé,
che era un peluche.
Gli aveva dato un nome,
lo aveva nutrito,
ma non lo aveva preso come figlio.

“Lui è il mio orsetto,
e io sono il suo bambino “.

Il pelo sporco raggrumato,
il naso di plastica scorticata,
l’esalazione umana.

Platone e la fecondazione eterologa

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di Beppe Sebaste
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…. un ulteriore campanello d’allarme per una civiltà che non sa risanarsi, non sa evolversi, non sa trovare un equilibrio nella e con la natura.