Home Blog Pagina 604

Fine della Roma da cartolina

2

(emergenza casa: hilarotragoedia del mercato immobiliare)

di Nicola Lagioia

Ascesa e crollo dei titoli tecnologici – nascita e morte dell’anno giubilare – diretta televisiva dell’11 settembre. I ragazzi venuti ad abitare a Roma dopo questi eventi, accorsi dai quattro angoli del paese o dalle coste trans-adriatiche, venuti qui per frequentare l’università e poi fare carriera negli studi legali, o darsi al cinema, diventare scrittori, curare mostre, non fra cinque anni, quando staranno faticosamente chiudendo il loro primo contratto editoriale e non avranno tempo per guardarsi alle spalle – riceveranno un misero obolo dal titolare dello studio legale oppure saranno felici di esporre in una galleria di terz’ordine – neanche fra sette di anni, ma tra dieci o quindici allora forse sì, quando la loro vita starà scorrendo su binari più sicuri e i ragazzi di un tempo saranno diventati uomini molto meno interessanti ma verso i cui c/c convergeranno le forniture di un qualche ministero – patrocineranno cause importanti, trionferanno a Cannes, saranno nominati primari o vinceranno un concorso a cattedra… – soltanto allora, anche se tutti questi dovessero restare i traguardi mai tagliati di una vita priva di gloria e di successo, soltanto allora, gettando rabbiosamente un telecomando sul pavimento, e sudati, involgariti dal tempo, nel cuore dell’estate del 2018, ripensando ai loro primi anni a Roma – dopo il Giubileo, il crollo del Nasdaq, quello delle Twin Towers – non si limiteranno a interpretare quel periodo come l’inconcludente vagabondare per case editrici, tribunali, gallerie d’arte e aule universitarie che in effetti sarà stato, ma lo rileggeranno anche come un quinquennio eroico e disgraziato, i beati anni del castigo in cui venivano tenuti per le palle da un agente immobiliare. Che dico uno: centinaia, forse migliaia di agenti immobiliari.
Questi turlupinatori di professione. Questi emissari del male. Queste cravatte troppo larghe e la chiassosità delle camicie. Questi contratti preliminari.

Senza titolo

144

di Antonio Moresco

goya.jpg(In questo articolo di Antonio Moresco pubblicato sull’”Unità” sono nominati i libri di Moresco, di Scarpa, miei e un libro collettivo firmato da alcuni collaboratori di Nazione Indiana. Nel postarlo ho avuto perciò qualche perplessità. Tra gli stili di comportamento che Nazione Indiana si è data c’è infatti anche quello di non lodarci e imbrodarci a vicenda, né di recensire libri di amici solo perché sono di amici. Dapprima avevo perciò pensato di tagliarne via un pezzo. Ma poi mi sono accorta che avrei alterato la natura dell’articolo, che è una risposta a ciò che altri ha detto. Ed è una risposta che si ribella al finto galateo di chi gioca con le carte truccate, di chi non fa che ripetere da un po’ di tempo a questa parte che non c’è più nessuno nella stanza, pretendendo che chi è nella stanza nemmeno ribatta qualcosa. “Ah, sì? Tu dici che ci sei? Ah, ti lodi da solo, narcisista!”. Come in quel film di Bunuel, “Abbasso la libertà!”, dove c’è una bambina che tutti danno per dispersa, che tutti cercano, e che continuamente zittiscono quando tenta di dire “Ma io sono qui”. Se quindi in questo pezzo si parla, tra le altre cose, anche di Nazione Indiana e dei suoi collaboratori, è perché altri li ha dati per inesistenti. Perciò mi prendo la responsabilità di pubblicarlo nella sua interezza. Carla Benedetti)

Sono ormai settimane che leggiamo quasi quotidianamente su giornali e riviste interventi e articoli che hanno come unico e generico contenuto il seguente assioma: in Italia non c’è più niente.

Il partito del lamento

23

di Carla Benedetti
goya.jpg(Romano Luperini ha scritto sull’”Unità” del 18 febbraio che dopo la generazione di Pasolini e Calvino non c’è più stata in Italia nessuna voce di scrittore o di intellettuale. Pubblico qui sotto la lettera che ho mandato al giornale in risposta a quell’incredibile dichiarazione di inesistenza rivolta a un’intera generazione.
Oltre alla mia, l’”Unità” ha pubblicato anche le risposte di Aldo Busi, Beppe Sebaste, Tiziano Scarpa, Mario Domenichelli e Antonio Moresco. L’articolo di Scarpa (“La generazione dei padristi”) si può già leggere qui su Nazione Indiana. Domani ci sarà anche l’articolo di Moresco, uscito oggi sull’ “Unità”. cb)

Caro Direttore,

qualche giorno fa “l’Unità” ha ospitato in prima pagina un articolo di Romano Luperini dal titolo “Intellettuali, non una voce”.

Ponti nella nebbia

4

di Massimo Rizzante

dogana_10solinas.gif

Le vere Muse
“Yo soy yo y mi circumstancia”, affermava Ortega y Gasset. Ognuno è la sua circostanza geografica, storica e culturale. Anche se oggi, all’epoca dell’emancipazione planetaria, è sempre più facile credersi liberi da tutte le radici, bisogna essere onesti con noi stessi: siamo individui finiti e limitati; non possiamo nascere due volte; nè viaggiare senza sentirci stranieri.
Nel nostro mondo, ovvero nel mondo di un uomo che ha perduto di vista il proprio orizzonte e perciò la possibilità stessa di vivere altrove, la lezione di Homo Poeticus dovrebbe essere quella di resistere di fronte alla scomparsa della nozione di esilio, concepito come solo altrove autentico; e di resistere di fronte al più grande sogno dell’umanità, la quale vorrebbe vivere in ogni luogo allo stesso modo. Infatti, se questo sogno si realizzasse non ci sarebbe più nessun luogo da dove poter sognare.

L’infinita congettura

0

di Roberto Saviano

uwe2.jpg Su un’isoletta alle foci del Tamigi nella sua casa di Sheerness-on-Sea, nella notte fra il 22 e il 23 Febbraio del 1984 Uwe Johnson muore d’infarto mentre tenta di stapparsi una bottiglia di vino. Nessuno si accorse della sua mancanza, nessuno aveva interesse e voglia di cercarlo, di sentirlo, vederlo. Solo diciannove giorni dopo, per caso, fu trovato il suo corpo morto, gonfio d’alcool. Se è vero, come qualcuno ha detto, che la fine d’un uomo dovrebbe compiersi in coerenza con la vita che ha vissuto, la fine di questo scrittore certamente smonterebbe quest’ipotesi. L’incredibile vicenda privata di Johnson infatti si compie in un clima di sospetto e di continua osservazione della sua vita da parte della Stasi (la polizia segreta della Germania dell’Est) e di tutti i servizi segreti dei paesi dell’area del socialismo reale. Uwe Johnson fu messo sotto osservazione non per attività sovversive o politiche ma perché i suoi testi sembravano nascondere qualcosa, la sua caotica precisione stuzzicò la paranoica acribia dei censori. E’ una bizzarra tragedia la morte di Johnson, un uomo che seppur spiato e osservato durante tutta la sua vita, quando muore nessuno si accorge della sua morte.

Metafisico cabaret

0

petrolini1.jpg

di Federica Fracassi/Teatro Aperto

Metafisico cabaret, in scena al Teatro dell’Arte di Milano, è uno spettacolo diretto da Giorgio Barberio Corsetti, ideato insieme alla sua compagnia Fattore K.
E’ una smorfia, una carezza, un tentennamento, un urlo, una lapide, un ghigno,

Osservazioni scientifiche e politiche sul doping

19

(Prelevo questo testo di E. Giordano dal box dei commenti a Quello che doveva fare Pantani di Franz Krauspenhaar apparso qui, nella sezione Diari. Con il permesso dell’autore e facendo quasi nessun editing. Un articolo veramente “fatto in casa”! Ringrazio Emanuele Giordano. Dario Voltolini)

di Emanuele Giordano

siringa_e_uovo.jpg L’ipocrisia e l’ignoranza regnano sovrane! Bisogna innanzitutto dire che la pratica dei test anti-doping ha un costo economico non indifferente. E’ un problema! in quanto, dato un campione di sangue o di urina i medici-analisti deputati alla ricerca di sostanze alteranti le prestazioni fisiologiche decidono sulla base degli studi scientifici del momento di andare a cercare nei campioni corporali prelevati, solo una o soltanto alcune tra le tante possibili sostanze che fino a quel momento si sa o si suppone possano alterare la prestazioni sportiva. Più sostanze si cercano nei campioni prelevati più costoso economicamente è il test. Inoltre c’è una continua rincorsa tra coloro che individuano nei campioni ematici, di urina le sostanze dopanti possibili e coloro che sperimentano nuovi farmaci o combinazioni di vecchi e nuovi farmaci al fine di alterare la prestazione sportiva o mascherare l’individuazione delle sostanza dopanti prese. Faccio un esempio, ma ne potrei fare parecchi.

La generazione dei padristi

33

di Tiziano Scarpa
goya.jpgLa civiltà italiana è in declino. Gli intellettuali tacciono. La letteratura degli ultimi tre anni fa schifo. E poi non conta nulla all’estero. Gli scrittori non discutono le loro poetiche, ammesso che sappiano ancora che cosa sono. Il teatro è assente. Il cinema sta ancora peggio. Il paragone con trent’anni fa è imbarazzante. Eccetera.

Solita storia. Ormai siamo abituati. Questa volta la lamentazione l’ha fatta Romano Luperini. Non varrebbe neanche la pena di rispondere. La scena è sempre la stessa. Ripetuta talmente tante volte da assomigliare a una gag comica, un classico del cinema chiacchierone: il critico letterario di turno, lo studioso di turno, lo scrittore di turno (intellettuali a loro volta!) che scuotono la testa costernati di fronte al deserto intellettuale e creativo italiano: negli ultimi anni lo hanno già fatto Luigi Baldacci, Cesare Garboli, Giulio Ferroni, Alfonso Berardinelli, Giovanni Raboni, Mauro Covacich… Adesso anche Luperini. (Non tutti. Bisogna essere onesti: Goffredo Fofi, Cesare Segre, Vittorio Spinazzola, Renato Barilli, Angelo Guglielmi non hanno mai smesso di essere curiosi a tutto campo e valorizzare ciò che nasce e cresce nella cultura italiana).

Questa volta però c’è qualcosa di più. Un caso di padrismo.

The Golden Gate

9

di Vikram Seth ma anche molto di Christian Raimo e Luca Dresda

1.1

Salve Musa, per cominciare è meglio
restar leggeri. O caro lettore,
tanto tempo fa, era il primo abbaglio
degli ’80 , c’era un uomo di nome
John. Era, nel suo campo, realizzato:
giovane, solitario, rispettato.
Una sera attraversando il giardino
accanto al Golden Gate, il suo cammino
s’andò a incrociare con un frisbee rosso
che quasi lo decapitò: “Chi farei
disperare”, pensò, “chi renderei
felice con la mia morte?”. Fu scosso,
e da questi concetti deprimenti
si rivolse a meno estremi argomenti.

Diario dell’educatore

1

di Andrea Inglese

contemp_twombly_hxl.jpg

La luce è un argomento inconfutabile. Anche se vecchia di otto minuti, mantiene una sua dose di brillantezza: trafigge i dormienti, gli accoccolati, gli acciambellati, gli annidati nelle sale d’aspetto, gli inquilini dei cartoni, i coricati sulle panchine, i distesi nei vani urbani più discosti. La luce è un argomento perentorio, di pubblico dominio, una prova retorica senza ambiguità, anelastica come la logica: non è possibile evitarne la pregnanza. Certo, ci sono gli scuri, le persiane, le tapparelle, i tendaggi, le mascherine senza i fori oculari, i vari materiali coprenti e filtranti. Ma la luce è il più tipico fenomeno cosmico esortativo.

Emergenza di specie

23

di Carla Benedetti

Bosh1.jpgIl discorso della politica copre e rimuove l’emergenza più grande e tremenda in cui viviamo, quella del pianeta. Da anni gli scienziati annunciano sconvolgimenti climatici imminenti, allagamenti di intere terre, siccità e desertificazione in altre, migrazioni di milioni di profughi, fame, epidemie…Annunciano queste catastrofi, dati alla mano, ma i vari governanti del mondo si coprono gli occhi. I giornali ne parlano poco. Per non allarmare, certo. Ma è un silenzio complice, terribile. Complice di un modello di sviluppo e di una logica del profitto che non abbiamo scelto.

Ci chiedono di avanzare a occhi chiusi verso l’abisso che è a due metri di distanza! Penso ai bambini, a quelli che si affacciano oggi alla vita, a quelli che stanno per nascere, o nasceranno in futuro. E’ un pensiero intollerabile! Cosa possiamo fare? Ora. Subito. C’è rimasto poco tempo!

Il settimanale britannico The Observer, in un articolo firmato da Mark Towsend e Paul Harris, ha dato notizia di un documento segreto, preparato per il Pentagono da due consulenti della Cia. L’articolo si può leggere qui:
the observer

Viaggio in Argentina #10

0

di Antonio Moresco

Verso le Ande.jpgLe Ande
Partenza di mattina presto per le Ande. Ci si avvicina pian piano. Guida la macchina il padre di Eugenia, Carlos. Sullo sfondo un’enorme raffineria di petrolio che fuma, l’immagine lontana del cono vulcanico spento del Tupungato. Entriamo nelle preande, poi nelle Ande. C’è una strada larga, diritta, con pochi tornanti, che passa attraverso enormi montagne nude, monumentali, dalle tonalità di colore più incredibili di sabbie e rocce, i grigi, i verdi, i grigioverde, i rosa, i neri, i rossi, che si fondono tra loro nei larghi fianchi sabbiosi che franano fin quasi ai bordi della strada. Passano di tanto in tanto lunghissimi camion diretti in Cile, che vengono dal Brasile o da posti più lontani ancora e attraversano le Ande. Laura ci mostra il vecchio passaggio per il Cile, percorso da Darwin a dorso di mulo durante il suo viaggio.

Viaggio in Argentina #9

0

di Antonio Moresco

deserto mendoza2.jpgMendoza
La mattina dopo, partenza per Mendoza. Ancora vento, pioggia. Arrivando col taxi all’aeroporto, per le strade e gli incroci allagati, e costeggiando di nuovo il Club des Pescadores, e poi ancora, mentre l’aereo decolla, la vista del Rio della Plata a fianco della pista, con la sua acqua limacciosa, livida, gialla. Grandi onde, come fango in burrasca.

La cosa ossea

33

Il cranio e la spina dorsale
di Giorgio Vasta

locand_primoamore_big.jpg10. Io non conosco Vitaliano Trevisan. Conosco i suoi libri, e mi piacciono, ma non conosco la sua storia e le sue rabbie, se ha rabbie. Ho parlato con lui una volta sola, lo scorso novembre, a Macerata. Ero lì, a Macerata, per lavoro, e una sera sono stato coinvolto in un incontro con l’autore organizzato da una biblioteca locale. Avendo letto i suoi libri, dovevo aiutare a presentarlo. L’autore, appunto, era Vitaliano Trevisan. Prima di questa presentazione, che era alle nove di sera, sono andato a cena con l’organizzatore dell’incontro e con Trevisan stesso. Ci siamo seduti e gli ho guardato la testa. Alla parola ‘testa’, mentre guardavo la testa di Trevisan, si è sostituita la parola ‘cranio’. Alla parola ‘cranio’, mentre guardavo il cranio di Trevisan e parlavo con lui della sua città, Vicenza, città dell’oro e della fiera, si è sostituita la parola ‘ossa’. Esattamente l’espressione ‘ossa piatte’. E ancora, sempre procedendo, a fatica, nella conversazione (è stata una conversazione molto laboriosa, come impastare una zolla di fango), dall’espressione ‘ossa piatte’ è affiorata la parola ‘parietale’, e poi la parola ‘temporale’, e poi ‘frontale’ e ‘occipitale’, e infine ‘cucitura’, ‘sutura’, ‘suturare’.

Quello che doveva fare Pantani

51

di Franz Krauspenhaar
pantani.jpgLunedì sera guardo La7, Otto e mezzo: c’è Giorgio Dell’Arti, il giornalista-scrittore, che parla con cinica pacatezza dell’omicidio e del suicidio. Non è un caso: sta pubblicizzando il suo ultimo libro, che s’intitola “Coro degli assassini e dei morti ammazzati”. Giulianone Ferrara gli chiede un parere sulla morte di Pantani. Dell’Arti riprende le “ispirate” parole di Candido Cannavò, ex direttore della Gazzetta dello Sport: doveva parlare, doveva dire tutto all’indomani di quella squalifica di Madonna di Campiglio, giugno 99. E va pure oltre: anche lui, Pantani, aveva le sue colpe.

Il ricettario del Signor G.

25

di Elio Paoloni

gestalt.jpgMa cos’è la destra? Cos’è la sinistra? Contrapposti menu, separate vacanze, inconciliabili guardaroba, insinuava Gaber. Di sicuro le differenze più appariscenti sono queste (erano, anzi, perché recenti look dalemiani hanno rimescolato le carte). Dovrebbero essercene di più sostanziali: la sinistra difenderebbe gli interessi dei ceti più deboli (con riforme e innovazioni), la destra gli interessi delle classi alte e insieme i valori tradizionali. Pare che non sia esattamente così, ormai: le spinte progressiste nel costume sono ampiamente trasversali, e succede addirittura che la destra proponga innovazioni e la sinistra si arrocchi sull’esistente. Il progresso non si capisce bene chi lo avversi di più: i rivoluzionari guardano indietro con occhi pieni di nostalgia, un “governatore” di destra sponsorizza il Gay Pride.

Viaggio in Argentina #8

1

di Antonio Moresco

Monzon2.jpgSanta Fe
Sveglia prima dell’alba, dopo pochissime ore di sonno. Il tempo è cambiato. Il cielo è tutto nero, piove, la temperatura si è abbassata di colpo di dieci, quindici gradi. Guardo, dall’altra parte della ringhiera, le mie mutande e le mie canottiere stese, che ieri avevo lavato con un pezzo di sapone e appeso a un filo con le mollette. Inutile ritirarle. Sbattono fradicie d’acqua, per il vento. Vado a svegliare Giovanni, bussando alla sua porta. Dall’interno sento venire un grugnito. La macchina che ci deve portare all’aeroporto è già ferma di fronte al nostro hotelito. L’uomo che la guida entra, anche se è ancora quasi notte, sale le scale, per accertarsi che i viaggiatori ci siano davvero, che la prenotazione non sia una fregatura. Giovanni si spiccia, in cinque minuti è pronto, ficca le macchine e gli obbiettivi dentro il suo sacco. Non è in mutande, oggi si è messo un paio di calzoni al ginocchio, alla pescatora, ha i soliti infradito ai piedi. Mentre scendiamo lungo le scale fa dello spirito sul mio bucato, dice che quelli di Mantova stendono sempre la biancheria quando piove…

L’Italia e il furore civile degli scrittori

4

di Carla Benedetti
images.jpgGli scrittori italiani non sanno raccontare il mondo in cui viviamo. Gli scrittori italiani sono pieni di intelligenza e talento ma tra di loro non c’è nessun Wallace, nessun Houellebecq, nessun Palahniuk, nessun De Lillo. Gli scrittori italiani sanno solo ricamare romanzetti. Gli scrittori italiani sono “tanti Del Piero che giocano con le pinne, tanti Mike Jagger che cantano con la caramella in bocca”. Queste cose le dice lo scrittore italiano Mauro Covacich (“L’Espresso”,15 gennaio 2004), mettendo dentro anche se stesso.
Penso perciò che la sua sia un’esternazione accorata, espressa con dispiacere, probabilmente sgorgata da un’esperienza soggettiva di frustrazione. Ma basta l’accoramento a dare forza di verità a un cliché, a un pregiudizio?

Un romanzo è un apparecchio complicato

6

di Maurizio Salabelle

salabelle.jpg

(Un anno fa moriva Maurizio Salabelle, classe 1959. Se è possibile essere amici senza frequentarsi mai, allora Maurizio era un mio amico. Un mio caro amico. La cosa più “insieme” che abbiamo fatto, oltre a nascere nello stesso anno, è stata quella di esordire entrambi per l’editore Bollati Boringhieri. Ci si sarà sentiti per telefono due o tre volte nella vita. In una di queste occasioni gli chiesi un intervento per la rubrica “Martin Eden” che allora tenevo sull’Indice. Un pezzo in cui esplicitasse qualche aspetto della sua attività di scrittore, della sua poetica. Lui mi mandò questa riflessione. Mi dicono che sia stata l’unica volta in cui Maurizio ha direttamente parlato della sua scrittura. Dario Voltolini)

Favola dell’amore inventato

8

di Tiziano Scarpa

donnavetroC’era un mastro vetraio di Murano
che non sbuffava né ansimava invano.

Scolpiva l’alito dei suoi polmoni,
modellava sospiri e esalazioni.

L’anima in eccedenza espettorava,
sotto vetro il suo fiato imprigionava.

Infernotto

8

di Guido Caserza

notld90_1.jpg

UNO
(il berlusconi)

Ha il volto cotto, le ossa brulle ed aride
che alle reni tornano: per la fessa
del culo sputa e soffia come l’aspide
che dal merdone è stretto in strana ressa.
E come il serpe tratto dalla roccia
che guizza nell’arena arida e spessa
e s’intorce sui rocchi e contro coccia
al ferro, il rigattiere dallo strozzo
del casso s’erge e col collo s’alloggia
girando intorno al suo codino mozzo.