di Benedetta Centovalli
A proposito di Giorgio Caproni e del suo Il franco cacciatore (1982), Luigi Baldacci ha scritto che «la poesia che non consola è anche quella che potrebbe renderci più responsabili», sottolineando come l’Apocalisse si addica al nostro tempo: «Nessun tribunale. / Niente. // Assassino o innocente, / agli occhi di nessuno un cranio / varrà l’altro, come / varrà l’altro un sasso o un nome / perso fra l’erba. // La morte / (il dopo) non privilegia / nessuno» (Dies illa).
Leggendo Macello, la raccolta di poesie, meglio poemetto, di Ivano Ferrari (Collezione di poesia, Einaudi, 2004), si resta colpiti dalla forza del dettato poetico e dalla sua assoluta novità. Una parte di quest’opera era già stato anticipata in Nuovi poeti italiani 4 (Collezione di poesia, Einaudi, 1995), ma il recente ritrovamento di altri pezzi ha spinto l’autore a mettere insieme un libro orticante ed esplosivo. Ivano Ferrari, mantovano classe 1948, è un poeta appartato con un’altra significativa raccolta alle spalle: La franca sostanza del degrado (stessa collana bianca, 1999), che già faceva del corpo a corpo con le cose il proprio stile, e dalla quale svetta la sequenza finale Smaltitoio, scritta in morte del padre.