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Nantonaku

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di Fabio Viola

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Scrive il critico Kato Shuichi della letteratura contemporanea giapponese: “Un fenomeno singolare degli anni Ottanta fu senza dubbio l’emergere di un nuovo tipo di romanzo best-seller, come Nantonaku kurisutaru (Quasi simile a cristallo, 1980) di Tanaka Yasuo, Noruwei no mori (La foresta norvegese, 1987, noto in Italia come Tokyo blues) di Murakami Haruki, Kicchin e Shirakawa yofune (Kitchen, 1987, e Sonno profondo, 1989) di Yoshimoto Banana. Questi libri acquistati da milioni di persone hanno dei tratti comuni. Diversi dai personaggi dei precedenti romanzi popolari, i protagonisti sono tutti giovani, non hanno legami familiari né preoccupazioni economiche, si muovono in uno spazio astratto, quasi artificiale, senza sentimentalismi, senza restare coinvolti con il destino di altri (questo corsivo è mio). Uomini e donne egocentrici, spesso intelligenti, spesso emotivi, e quasi sempre melanconici, che vivono una vita senza scopo. Si appassionano alle novità, alle cose che vanno di moda: vestiti, musica, vitto, località, e infine il rapporto tra uomo e donna; non fanno che andare a far spese, telefonare, incontrare gli amici, e andare a letto assieme. Né passione d’amore, né odio, né una forte personalità. I personaggi fanno questo, fanno quello, a casaccio, ‘nantonaku’, senza sapere perché, come l’ha definito Tanaka Yasuo. Sono ‘nantonaku storie’. […] Sembra proprio che, dovunque, la società consumistica porti le masse a ciò che una volta Carlos Fuentes chiamò ‘un torpore spirituale mascherato da beatitudine’”.

Scusi, è qui l’Europa?

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di Helena Janeczek

europa-02-ob-08.jpg Il 15 febbraio 2003 l’Europa sembrava qualcosa che stava per nascere, per nascere letteralmente, un fiume sgorgato da tutte gambe che si univano in manifestazione, una fioritura che si schiudeva nelle bandiere arcobaleno che comparivano persino alle finestre dei palazzi patrizi, delle villette isolate, dei casermoni periferici.

GLI UCCELLINI MIGRATORI #2

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di Antonio Moresco

flock 3.jpgAnche nel giochino della “letteratura” succede la stessa cosa. Anche qui ci sono griglie interpretative e piccoli sistemi che tengono fuori tutto il resto, autorappresentazioni antropocentriche che vorrebbero stabilire ciò che “sta dentro” e ciò che “sta fuori”, anche se, a ben vedere, quello che sta fuori sembra proprio la parte più grossa. Nelle settimane scorse, ad esempio, c’è stato un articolo scritto da un umano scrittore di nome Covacich e apparso su “L’espresso”. Il solito refrain sugli scrittori italiani che non sarebbero in grado di parlare della realtà e di fare quello che fanno invece gli scrittori umani di altri paesi, che abbiamo letto già tante volte – declinato in modi e forme diverse – sui nostri giornali. «Ragazzi, perché non riusciamo a suonare?» si domanda Covacich. «Perché la musica ci resta sempre lì, sul tavolo della pizzeria?» Ecc… «Parla per te!» verrebbe da rispondere, e la cosa sarebbe finita lì. Invece c’è qualcos’altro da dire. Sulla “realtà”, per esempio.

GLI UCCELLINI MIGRATORI #1

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di Antonio Moresco

flock 2.jpgFra qualche giorno partirò di nuovo. Riattraverserò di nuovo l’oceano assieme a Giovanni, tornerò a Buenos Aires, dove ci sono già Laura e Nic. Da lì scenderemo nella Patagonia, quella argentina o forse quella cilena, non lo so ancora, ma sempre più a sud, sempre più a sud, sulla curvatura della terra, fino alla fine del mundo.

Ho cominciato bene quest’anno, perché l’ho cominciato leggendo l’autobiografia di Billie Holiday, uno di quei libri che da molto volevo leggere e per il quale non trovavo mai il tempo, di quelli che si comperano e si leggono per puro amore. Il suo titolo è La signora canta il blues e si trova nell’economica Feltrinelli. È un libro che fa venire i brividi, emoziona, fa piangere. Non solo per le cose terribili che lei racconta (il riformatorio, il bordello a 14 anni, la disperazione, la fame, la droga, la galera, il razzismo, la lotta per l’esistenza, il riscatto, la storia di quella meravigliosa vocina che tiene testa al mondo…) ma anche e soprattutto per la crudezza, l’inermità, il modo orgoglioso e indomito con cui racconta.

LA NASSA

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Intercalare 3

I giochi non sono mai del tutto fatti

I giochi non sono mai del tutto fatti.
Perfino durante il regime nazista, Bertold Brecht
si chiedeva come sarebbe stato possibile dire
la verità in Germania. Nel suo saggio del 1935,

Le cinque difficoltà di scrivere la verità,
egli diede una lista di ciò che è necessario per scrivere la verità:
1. Il coraggio di scriverla.
2. L’intelligenza di discernerla.
3. L’arte d’impiegarla come arma.
4. Il buon senso di scegliere quelli nelle mani dei quali essa sarà efficace.
5. L’astuzia di divulgarla a molta gente
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Dialogo sull’entropia (#10 – Fine). L’Aristogas.

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di Antonio Sparzani e Dario Voltolini

E allora dimmi, cosa fa il nostro Aristogas nelle cellette? Si comporta discretamente, o fa il pazzariello?

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Ebbene sì, siamo noi che lo pensiamo comportarsi discretamente. Il pazzariello sarebbero forse quelle che i fisici chiamano “le fluttuazioni statistiche”, cioe’ i comportamenti fuori norma, quello che non riusciamo a spiegare altrimenti, sempre perche’ ignoriamo la meccanica dettagliata, abbiamo — ti ricordi — lo sguardo bovino — ma generale — d’insieme, che non vede i particolari.
Facciamo un iperstringatissimo riassuntino per punti, e nel frattempo cerchiamo di tirare le fila di questa storia.

In difesa della Minkiata Galattica

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(ovvero: il dialetto è morto?; ovvero: il dialetto è poi così inutile?)

di Flavio Santi

(Flavio Santi mi invia una sorta di replica a un commento circostanziato indirizzato al suo testo. Più che una replica mi sembra una postilla necessaria alla sua scelta di scrivere in friulano. Gli irritati dai dialetti – o dalle lingue minori – avranno pane per i loro denti. La sua riflessione tocca anche la prosa, e spero che ciò possa fungere da innesco per i prosatori. A. I.)

Caro videolettore che hai definito il mio Friûl-’srael-Palestine (messo in rete il 2 luglio) una “minkiata galattica”, può darsi che tu abbia ragione (mai sopravvalutarsi), ma può anche darsi (mai sottovalutarsi) che il tuo ispirato giudizio (se solo i critici di professione avessero un decimo della tua sincerità…) rispecchiasse un disagio o una perplessità suscitati da quella poesia messa lì così a brillare dal tuo video.

Friûl-’srael-Palestine

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Di Flavio Santi

Tornâ dîs ains daspò
’l sô amôr ’vee piardût
dutes les fuees
e cuant ai tucât te puarte
mi a aviert un frutin,
che frutin che a mi non me ’vee dât,
sigûr, iò a eri scjampât, lât vie,
Iugo, Croassie, Bosnie, Montenêgr,
dute le zingarìe dal mont
par la construsion d’un anarcjc:
vo’ a stavis chi, incapacs di revolusions.

Ernesto Calzavara. In memoria di un maestro-farfalla

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Di Massimo Rizzante

Sono già quattro anni che Ernesto Calzavara ci ha lasciato.
E’ stato un grande poeta, grande, come ha detto una volta il suo celebre conterraneo Andrea Zanzotto, soprattutto “nel conciliare il dialetto e la tradizione all’azzardo di forme sperimentali”.
Calzavara è un grande poeta: l’essenza stessa della lingua poetica, infatti, coglie sempre nel presente i frutti di chi ha saputo coltivarla con fedeltà. Senza dimenticare che i poeti sono quegli uomini attraverso i quali la lingua vive, compiendo i suoi esperimenti più originali. E l’originalità dei grandi poeti non sta nel voler essere a tutti i costi originali, ma nel servire con onestà il loro strumento, la lingua, sia essa il dialetto di Dante, Di Giacomo o Tessa, consapevoli in ogni fibra e a ogni istante che quest’ultima così come li ha preceduti di molti secoli, sicuramente non può e non deve morire con loro. Più il poeta è consapevole della sua finitezza rispetto alle infinite risorse della lingua, più aumentano per lui le possibilità di non esserne abbandonato.

Fotosfera (6 prose)

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pkbgart.jpg Di Marco Giovenale

I.

Nel cortile e nel vento opposto del principio di luglio sa tuttora cigolare una porta petrolio-legno. Si spalanca per far entrare festa di due occhi, il lutto di una coda di parenti, delle buste brune di carta che scricchiolano, un’albicocca o solo una sua parte marcia lanciata dal cieco al primo piano. Lo spessore delle lenti. Un altro ancora che tenta scale di clarino dai sottotetti, oltre la svolta e dove due spioventi inquadrano Venere per chi sul terrazzo tende i fili che un diverso vento la settimana prima aveva strappato verso l’alto. Senza che questo annunci alcuna variazione, da allora. Sul sangue buttato radendosi ora il prete passa la picca d’allume.

Sui demoni e le paste sfoglie di Michele Mari

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di Mariolina Bertini

pierino_porcospino.jpgIn un saggio famoso, scritto quattro anni prima di metter mano alla Ricerca, Proust riflette sull’età d’oro delle sue letture, l’infanzia, e sulla passionale sudditanza da lui allora sperimentata nei confronti dell’autore del suo romanzo prediletto, Capitan Fracassa:

Avrei voluto che mi dicesse, lui, l’unico saggio detentore della verità, quel che dovevo pensare , in ultima analisi, di Shakespeare, di Saintine, di Sofocle, di Euripide, di Silvio Pellico, che avevo letto durante tutto un freddo mese di marzo, camminando, pestando i piedi, correndo per le stradine…

Attribuirà più tardi un analogo atteggiamento al narratore adolescente di Du côté de chez Swann, smanioso di possedere su tutto- dal teatro di Racine ai paesaggi alle cattedrali- l’opinione prestigiosa e imprevedibile del romanziere Bergotte. Smania votata allo scacco: non sulle opinioni dell’autore, per Proust, devono appuntarsi le nostre interrogazioni, ma sul mondo della sua opera, sulla sua oggettivata visione, sui tratti ricorrenti e rivelatori del suo stile.

Agua, agua! La mia vita da salsero

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di Marco Dettori

ETSalsa.jpgDa novembre dello scorso anno ho cominciato un corso di ballo latino americano; gli inizi sono stati faticosi e non poteva essere diversamente. La mia frequentazione di discoteche, benché assidua per anni, non aveva contribuito in alcun modo a sciogliere le mie rigidità.
Dritto e secco sulle ginocchia, intirizzito al bacino, paralizzato alle spalle, ho fatto le prime lezioni in apnea, impegnando per lo più la testa a memorizzare le istruzioni. Andavo avanti e indietro come un automa, nelle prime figure fatte in coppia mi sudavano vergognosamente le mani, sbagliavo sempre. Non vi sto a dire perché ho cominciato o perché ho continuato, non lo so. Di solito parlandone scherzo e do la colpa alla mia passione per capire le mode, o ai quarant’anni che scoccavano implacabili, o a cento altre cazzate.

L’inferno della pioggia

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di Tiziano Scarpa

pioggia.jpgQualcuno, in una taverna, ha appena raccontato un fatto di cronaca nera: un ragazzo e una ragazza, appassionati di romanzi d’amore, sono stati uccisi dal marito geloso. Il commensale è ancora stordito da ciò che ha ascoltato. Ma è tardi, deve alzarsi da tavola, riprendere il viaggio, andare a negoziare con gli alleati diffidenti, in quella città livida che si intravede all’orizzonte, cavalcando sotto l’acquazzone. Piove forte.

Autoritratto con passato: 2004

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di Claudia Quercellini

(this is andy warhol and it’s take one, take one)
It’s, it’s warhol actually
(what did I say)
Whole, it’s whole as in wholes
(andy warhol)
Wah, andy war hol, andy war hol (he)
Like whole hub
He
Ha
Are you ready
(yeah)
Ha ha ha ha ha ha

Così devi fare

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Di José Muñoz

A Parigi, non lontano da dove abito c’è il Musée des Arts et Métiers: questo mi fa pensare che l’arte senza mestiere sia meno arte, ma il mestiere senza arte sia solo mestiere.
Ho imparato il mestiere artistico del fumetto con Alberto Breccia, Ugo Pratt e Francisco Solano Lopez. Con Breccia e Pratt nella Scuola Panamericana d’Arte, con Solano Lopez nella sua bottega.
Nella scuola si tentava di produrre senso, storie con un inizio, uno svolgimento e una fine. Godard l’ho conosciuto dopo.
LaPanamericana, un ente privato creato dai fratelli Liepsig, rappresentò un grande momento per lo sviluppo del fumetto, se così si può ancora dire e per noi che eravamo nei paraggi.

Tre pezzi (d’ex-voto)

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Di Marco Simonelli

Questo il verdetto di mio Dio Cleziano
mio dio mio dio a chi sono in mano?

T’amavo t’amavo t’amavo davvero:
per te come sangue correvo bizzarro
ero cavallo dietro alla prosa del tuo carro;

Contusions everywhere!

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di Tiziano Scarpa

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SSX3 è un videogioco per la Playstation. Si sceglie un concorrente e si partecipa alle gare di discesa sulla neve. Non si usano gli sci ma la tavola, lo snowboard.
Niccolò Ammaniti e io sceglievamo Viggo, uno spilungone allampanato, vestito con una palandrana. Gli altri concorrenti hanno tutine aerodinamiche, ginocchiere e copriorecchi alla moda. Grintosi, incazzati, vogliono soltanto arrivare primi, portare a casa il premio in dollari. A Viggo invece si vede che gli piacciono tante altre cose nella vita. Si butta giù in snowboard giusto perché ha nevicato.

Il busto di Lenin

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88-518-0032-4.jpgOggi alle 18, a Milano, nella liberia Feltrinelli di via Manzoni, presenterò il romanzo Il busto di Lenin (Sironi Editore) insieme al suo pirotecnico autore Giuseppe Caliceti. T. S.

«Si accorgeva che in molti da un anno all’altro gli ripetevano le parole della sua ex moglie, cioè che il mondo era cambiato e bisognava adattarsi. Ma lui si chiedeva cosa volessero dire queste parole. Guardatelo!, diceva. Guardatelo, il nostro povero boia mondo! Adattarsi a chi? A cosa? Queste sono le stesse cazzate che i signori ripetevano al tempo del fascismo, compagni! Le stesse cazzate che i padroni ripetono da secoli ai lavoratori! Ai poveretti! Agli sfruttati! Aprite gli occhi! Non c’è storia! Nessuna evoluzione! L’uomo è la bestia malvagia e assassina di sempre! E se qualcosa è cambiato è solo in peggio!, diceva Libero. E gli ideali comunisti rimangono i più validi che io conosco! E allora io non vi capisco! Io non mi vergognerò mai di essere un comunista, compagni! Io mi vergogno solo della vostra vergogna!»

Siamo seri

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di Elio Paoloni

ironie.jpg Filippo La Porta denuncia sul Foglio il dispotismo dell’ironia. In un elogio di Chaim Potok, sul Domenicale, Giuseppe Sanfilippo mette subito in chiaro che lo scrittore era ebreo ma non ironico: “No, lui non conosce l’ironia, non ha tempo da perdere con il gioco di Isaac B. Singer o di Woody Allen o di tutti i Roth possibili, Philip o Henry che siano”. E in una replica a Lello Voce sulla poesia di Mario Benedetti, Giuseppe Genna decide di fare i conti con questo retaggio dell’Avanguardia, mandando definitivamente a sbarcare il suo lunario nei bidoni della spazzatura questo gesto di fascismo retorico:

Omaggio a W.S.B.

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di Gillioz

Anche prima della guerra chimica, aveva lavorato nelle campagne avvelenate come raccoglitore dei silos arrugginiti. Li trinciava in lamiere, e li caricava nella camionetta “Ulisse”; così su e giù per la polvere dei campi e delle vie già crepate, come se la guerra ci fosse sempre stata, e neanche tanto lontana. Li trasportava fino ai sfrangiati delta del fiume fuligginoso, riversandoli tra gli altri detriti, dune di spazzatura fossile, oppure li rivendeva agli artisti del riciclaggio, che abitavano numerosi le baracche di alluminio lungo gli argini.

La legge sulla tortura

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Insieme ad altri amici di Nazione Indiana, un mese fa mi sono impegnato a tenere d’occhio l’iter parlamentare della legge sulla tortura. In futuro magari farò qualche considerazione su questa vicenda. Nel frattempo pubblico molto volentieri una comunicazione del Comitato Verità e Giustizia per Genova che ho ricevuto in questi giorni. T. S.