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Il Papa eliminato dalla Casa

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di Salvatore Toscano

funeralipapa.jpgEcco: parte una canzone degli Aerosmith (magari quella usata in Armageddon), oppure, che ne so, Tiziano Ferro, una qualsiasi hit del momento, o roba un po’ più sofisticata, insomma qualunque stronzata ritenuta capace di far salire la temperatura emotiva del pubblico.
Allora, la situazione è questa: abbiamo appena visto Sempronio del Grande Fratello, o Caio de La Fattoria, uscire dalla Casa acclamato come un Papa a Carnevale da figuranti che si fingono esseri umani. Sempronio del Grande Fratello è stato raccolto dal presentatorino fighetto che si finge un essere umano, è stato infilato in una bella automobile e portato in studio. In studio lo hanno riacclamato e abbracciato, qualcuno ha pianto, gli altri usciti dalla Casa nelle settimane precedenti sono così belli e luminosi che il nuovo arrivato fa fatica a riconoscerli ma li abbraccia lo stesso come vecchi amici, ci sono persino i familiari pure loro belli come a un matrimonio e – non c’è niente da fare, dispiace ammetterlo – hanno tutta l’aria di aver fatto un corso intensivo per imparare a fingersi esseri umani.

Risposta pacata

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di Antonio Moresco

Vedo che in Nazione Indiana è salita la febbre, che c’è fermento e anche scontro, e questo -se non si è cultori del quieto vivere e del bon ton a tutti i costi- mi sembra una cosa buona. Partecipiamo a questa avventura collettiva da più di due anni ed è bene cominciare a domandarci -magari anche tumultuosamente- il senso e l’originalità di questo stare assieme in anni come questi e dei nostri desideri e delle nostre possibili proiezioni, che non si possono ridurre al fatto di avere messo in piedi una bella vetrinetta di scrittori in rete.

Marginalità & Non Rinuncia

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di Giuseppe Caliceti

Carla Benedetti scrive: “Credere che la letteratura debba stare serenamente nella zona di marginalità che le è concessa dalla stessa macchina di potere che mette al centro le Fallaci, i Dan Brown e i Faletti, vuol dire aver introiettato le forze della restaurazione”. E dice che tutto questo in Italia “è cominciato con la neoavanguardia”.
Vabbè, sulla seconda sua affermazione non sono d’accordo. Si può essere in diasaccordo, no? Sulla seconda, invece: io non ho mai detto che “deve stare” da nessuna parte, ma che, semplicemente, secondo me, la Letteratura, deve fregarsene di più, se riesce, dei libri della Fallaci e di quelli del Papa, di quelli di Dan Brown e di Vespa, di Faletti e di Pinco Pallino. Perchè questo, mi pare, è l’insegnamento che arriva anche da grandi Letterati del passato, che magari avevano anche loro, nella loro epoca, al centro del loro mondo editoriale o sociale, gente che scriveva libri e vendeva più di loro. Insomma, il mio invito era a essere più “sereni” di fronte soprattutto alle classifiche delle vendite dei libri. E denunciavo anche una mia personale stanchezza a parlare quasi sempre, anche se in negativo, di libri che magari non si amano, invece di parlare magari di più di libri che si amano. Ciò non significa che uno scrittore si debba disinteressare del mercato editoriale e dei meccanismi di vendita. Mi pare solo che in questo periodo il rischio sia di concentrare più l’attenzione su questo, piuttosto che sulla Scrittura e sugli Esempi Letterari Forti del passato e, aggiungo, anche di oggi. Esempi forti anche dal punto di vista esistenziale, mi verrebbe da dire.

Preterizione

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di giuliomozzi

lourdes.JPGAvevo pensato di iniziare questo intervento dicendo: il testo di Antonio Moresco La restaurazione è indiscutibile. Si può forse discutere una profezia? Non mi pare. E io il testo di Antonio Moresco appartiene (non ho dubbi) al genere letterario profezia. Non argomenta, non dimostra, non analizza, non prova: enuncia, e stop. L’unico argomento che trovo nel testo è un periodo ipotetico dell’irrealtà: se “Kafka, Proust, Joyce, Musil, Faulkner, Beckett” scrivessero oggi, non verrebbero più pubblicati “dagli editori e dai loro funzionari”: il che non può essere né dimostrato né smentito. Io, essendo cristiano cattolico, credo ai miracoli e alle visioni; e sospetto (se qualcuno pensasse di trovare dell’ironia in questa frase, si sbaglia) che Antonio Moresco abbia vista la Restaurazione più o meno come Bernadette a Lourdes vide la “signora vestita di bianco”. La visione di Bernadette si può discutere? No. Si può dire che Bernadette era pazza, si può ricostruire la cultura del luogo e del tempo per spiegare come la probabilità che una ragazzina prima o poi si sognasse di avere le visioni fosse piuttosto alta, eccetera: ma questo non è “discutere la visione”; questo è negarla, e stop.

Prima che crolli il palazzo

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di Helena Janeczek

Anche a me piace vederla come Raul, Nazione Indiana: come una casa. Una casa che possa accogliere molti inquilini e ancora molti più ospiti. E’ questa la specificità, l’unicità di Nazione Indiana come blog letterario. E’ questo, inoltre, che rende Nazione Indiana un luogo d’azione che si oppone fattivamente all’isolamento e alla marginalizzazione degli scrittori e della letteratura.

Il pensiero e il galateo

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di Carla Benedetti

Caro Raul,
tu non stai facendo censura, stai però facendo galateo! Mi stai richiamando a regole di forma, di bon ton!
Mi stai dicendo che Nazione indiana è una casa dove agli ospiti non si possono fare obiezioni sostanziali e critiche dure sui contenuti di ciò che dicono! In altre parole mi stai dicendo che la cosa più importante non è discutere di contenuti, di idee, ma prendere il tè in pace, in buona armonia, far sentire tutti a loro agio?
E se un ospite esprime un’idea da cui dissento profondamente (e che ho criticato anche in altri luoghi in maniera altrettanto dura) non posso, no, prendermi la libertà di dirglielo! Perché non è una cosa bella, si dà l’impressione di urlare, e non sta bene.

Ma io penso davvero che sostenere che la letteratura è destinata a stare in una zona di marginalità, e che gli intellettuali e gli scrittori si devono adeguare a questo ruolo serenamente (e accettare serenamente che il centro venga occupato dalle fallacie della Fallaci) sia un’idea portante della restaurazione in atto.
Perché non dovremmo poter discutere di questo, animatamente, con tutti i toni che uno preferisce? Purché si tocchino dei contenuti!

Lettera a Carla sul combattimento e sul sogno

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di Andrea Inglese

Cara Carla,
tu chiami ad un’attitudine di combattimento e di sogno. Ti dirò perché, in questo contesto, io scelga di intervenire con il sogno, e non con il combattimento.

Una casa

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di Raul Montanari

Cara Carla, ti rispondo subito su sette diversi punti:

1. Ti prego di smetterla di parlare di censura. Non è degno di una persona della tua finezza intellettuale (e tantomeno di una persona pronta a rinfacciare a Caliceti il mancato uso del vocabolario) accusare di censura uno che non ha nessun potere se non quello di andarsene. Che censura è? Io ti censurerei se avessi il potere di minacciare di chiuderti la bocca in qualche modo, invece mi limito a ribattere alle cose che tu e Antonio avete detto, in particolare riguardo a Caliceti, e a dire che se rompo troppo le scatole sono pronto a fare le valigie. Questa la chiami censura? Allora io la tua la chiamo paranoia verbale, parossismo lessicale compulsivo.

La volpe è un animale splendido

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di Tiziano Scarpa

volpe.jpgCari amici,
in queste settimane ho ricevuto e pubblicato le risposte di Filippo La Porta e Giuseppe Caliceti all’intervento di Antonio Moresco sulla restaurazione.
Condivido in pieno l’intervento di Antonio, senza obiezioni.
Alcune delle cose che dicono Filippo e Giuseppe (come molte cose sostenute in altri interventi e finestre dei commenti), sono prove involontarie della restaurazione stessa, o di un sentimento di resa che giova a questa restaurazione. Le cose che obiettano ad Antonio, gli argomenti che essi portano diventano involontarie conferme che questa restaurazione c’è e agisce nei loro stessi discorsi: involontarie conferme, anche se in buona fede, anche se intellettualmente oneste.

Dal miracolo alla cronaca

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Sappiamo tutti come la malattia, l’invecchiamento e l’approssimarsi della morte siano di per se stesse esperienze così dolorose da risultare a volte intollerabili. Ma siamo anche consapevoli che ad alleggerire o ad aggravarne il peso, e quindi la sopportabilità, contribuiscono altri fattori legati al contesto sociale e culturale in cui va a collocarsi la vita di ogni singolo individuo. Un’agonia che si trascina per mesi (o anni) tra casa e ospedale, costretta, quando permane nel malato un minimo di lucidità, a spiare la stanchezza e il desiderio della fine nel volto di un parente, il fastidio e la repulsione nei gesti frettolosi di un medico o di un infermiere, non è sicuramente paragonabile a quella dell’uomo che la chiesa cattolica considera vicario di Cristo in terra, autorità universalmente riconosciuta da capi di Stato, da capi di altre religioni, da credenti e non credenti. Questo vuol dire che anche le parole con cui si tenta di rendere dicibile un dolore muto, un rantolo, una contrazione del volto, non hanno lo stesso significato.

Chi me le racconta queste cose?

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di Livio Romano

livio_romano.JPGHa dannatamente e dolorosamente ragione Loredana Lipperini. Siamo in ritardo su altri paesi. Siamo in ritardo di almeno dieci anni. Se qualcuno è capace di perdonare una piccola autocitazione, io che conto nulla, dal profondo Sud dell’Italia, lontanissimo dagli establishment culturali ed editoriali, cinque anni fa, in una recensione pubblicata su Vibrisse di Giulio Mozzi, tessei le lodi della nuova narrativa britannica la quale era, ed è, capace di rappresentare il Secolo, come si dice, e insieme di raccontare le disgrazie private che il vento della precarizzazione lavorativa ha portato nelle vite d’ogni trenta-quarantenne occidentale.

A Raul vorrei chiedere la sola cosa che conta

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di Carla Benedetti

Raul, sei d’accordo con questa frase che ha scritto Caliceti?

“… accettare serenamente .. un ruolo di “marginalità” che oggi la letteratura nel mondo (e soprattutto in Italia) ha da almeno alcuni secoli”

Sei d’accordo, non solo sulla marginalità, ma su quell’accettarla serenamente? Quasi fosse un verdetto epocale? Sei d’accordo su questo? E su tutte le conseguenze (a mio parere di rinuncia) che un simile affermazione comporta?

E poi ti invito a riflettere su questo:

Dire a Caliceti che nel suo pezzo postato su Nazione Indiana (non nei suoi libri, bada bene) si esprime una visione “rinunciataria e immiserita della scrittura letteraria e della cultura” non è un’aggressione ma l’espressione diretta di un dissenso. E tu lo trovi “vergognoso”! Cosa c’è di vergognoso nell’esprimere un dissenso profondo, e una critica dura, nel merito di ciò che un altro sostiene?

L’urlo

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di Raul Montanari

Cara Carla, uno degli indiani è qui.

E’ qui da sempre, veramente, perché non si limita a postare pezzi ma interviene quando e come può, compatibilmente con le sue capacità, nelle colonne dei commenti, ovvero in ciò che rende vivo un blog. Altri indiani, noto, trovano più affascinante e conforme all’idea che coltivano di se stessi imitare il monolito di 2001 Odissea dello spazio, producendo ogni tanto una singola emissione radio e poi chiudendosi in un altero, messianico silenzio. Io invece, pur essendo molto preso dai miei numerosi hobby, come sai, sto qui e combatto con voi. Per voi, spesso.

Tre battute di risposta

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di Carla Benedetti

(Le metto qui perché i commenti sono diventati inaccessibili!)

A Caliceti
Per parlare occorre avere almeno la certezza del vocabolario.

Cerco la parola “marginale” sul vocabolario. Ecco la definizione:
“del margine; che è collocato all’orlo, al margine: fig. di poco conto, non essenziale, secondario”.

Ecco invece la definizione di Caliceti:
“Per me “marginalità” (in questo tessuto sociale odierno, diciamo goffamente così… non è affatto accettare, da parte di uno scrittore, dimensioni terminali, rinunciatarie… Anzi!”

A Sandro
Sì, Sandro, credo anch’io che “crederci” sia la cosa più importante! Come dici tu: “Parte del mio lavoro di scrittore sta proprio nel cercare di aprire squarci e nell’inoculare germi che spero svelino, agiscano…” E poi si può anche tacere. Ma il problema è che quelli che non ci credono invece non tacciono affatto. Parlano. Non fanno altro che ripetere che siamo tutti fottuti, e com’è bello essere fottuti insieme, e poi trovarci a fare dei bei dibattiti sul nostro essere fottuti! Invece non siamo tutti fottuti! E questo dà loro molto fastidio. Sì, dà fastidio che ci sia ancora qualcuno che ci crede.

A Gianni,
che mi chiede se ho letto tutti i vomitorium, se mi sono accorta che ha “fatto un percorso che alla fine disconosce il punto di partenza. Tutto qui!”

Sì, Gianni, ho letto tutti i vomitorium, sono andata fino in fondo al percorso. Sì, ho notato che hai fatto un percorso che alla fine disconosce il punto di partenza. Tutto qui! E per fare questo percorso hai dovuto scrivere che “Nazione Indiana è un luogo di potere”. E’ questo il tuo sogno? E’ per questo che scrivi su Nazione Indiana?

Vomitorium (7)

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vomitorium7.gif di Gianni Biondillo e Loredana Lipperini

GIANNI BIONDILLO
Ciao, Lippa. Se ne hai voglia, dimmi la tua. Prendi pure una birra. Io berrò una camomilla, devo ancora smaltire le birre precedenti… se te la senti, diamo in pasto alla rete queste nostre elucubrazioni.

LOREDANA LIPPERINI
Accetto volentieri la birra (per esser logici, a questo punto dovremmo ordinare una pizza e iniziare una disquisizione sulla supremazia di quella milanese sulla romana, come tu sostieni: ma non lo faremo).

Risposta a Antonio Moresco

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di Giuseppe Caliceti

Caro Antonio,

mi spiace che l’abbia presa così. Per la tristezza, intendo. Ho cercato di contribuire anche io a quel “dibattito” che mi pareva avevi lanciato. A un dibattito si partecipa, no?

Forse non ho usato le parole giuste e sono stato frainteso, forse no. Non l’ho capito.

A ogni modo, un confronto è un confronto e il mio intento era solo questo. Con tutti gli errori e le omissioni che posso avere fatto. E le semplificazioni e tutto il resto di negativo.

Ti ringrazio comunque per avermi scritto. E spero che tu risponda ancora. A me e a altri.

Certo avrò frainteso anche io più di una cosa e “letto” troppo superficialmente quello che tu hai scritto. Ma ripeto, io, oltre a quel positivo spirito di “sfida”, nel tuo pezzo ho sentito qualcosa in più che non mi pare mi appartenga. E te l’ho voluto semplicemente far sapere.

Risposta a Carla Benedetti

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di Piersandro Pallavicini

Riprendo – senza avergli chiesto il permesso – questo intervento di Piersandro Pallavicini dalla finestra dei commenti all’ultimo post di Carla Beneddetti. T.S.

Cara Carla,
ti rispondo al volo e senza pensarci troppo. Intervento insomma non ponderato, ma a caldo. L’atteggiamento rinunciatario, autoemarginante e sfiduciato di Caliceti mi ha francamente sorpreso (e cioè: strano che Caliceti dica quelle cose, di lui mi ero costruito un’impressione opposta). Ovvio che non lo condivido. Parte del mio lavoro di scrittore sta proprio nel cercare di aprire squarci e nell’inoculare germi che spero svelino, agiscano, mettano chi legge di fronte al proprio cattivo gusto, all’omologazione del mondo, alla propria (talvolta incosciente) malvagità, alla propria stupidità… Questo è già fare qualcosa? Questo è già agire, mettersi in attitudine di combattimento e di sogno? Sognare che qualcosa cambi e combattere attraverso la scrittura per il proprio sogno…

Due note (?) su Ballads di John Coltrane

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di Franz Krauspenhaar

John_Coltrane-Ballads-23-09-03.jpgBallads di John Coltrane è un disco “tradizionale”. Uno dei miei dischi di jazz preferiti. Niente a che fare con le straordinarie innovazioni di cui Trane fu portatore, però.

I pompieri

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di Carla Benedetti

Caliceti ha un’idea rinunciataria e immiserita della scrittura letteraria e della cultura. Tant’è vero che si accontenta serenamente della zona di marginalità in cui si cerca di relegarla, e in cui si autorelega lui per primo, serenamente.
Quella stessa idea debole, imiserita, depotenziata che le macchine di potere nella nostra epoca stanno cercando di inculcare negli stessi scrittori (per non parlare dei critici!): “Cosa vi credete di fare! Di trasmettere pensiero, esperienza attraverso i vostri libri? Di agire nel mondo? Di contagiare il mondo con il vostro sogno? Macché sogno! Questa è roba vecchia! Oggi non si può più! Accontentatevi del vostro posticino di ricamatori, di animatori terminali, di amministratori della vostra immagine. Accontentatevi di esistere nella vostra zona di marginalità. E siate sereni, mi raccomando! Non sta succedendo niente! Non c’è nessun genocidio culturale intorno. Non c’è nessuna restaurazione. Mettetevi l’animo in pace! E ascoltate gli scrittori sereni come Caliceti! Lasciate parlare i rinunciatari! Lasciatevi sommergere dai pompieri che vengono a spengere il vostro piccolo incendio!”

E voi indiani, cosa ne pensate? Dove siete finiti? Ce l’avete anche voi un sogno? O vi preoccupate solo di sapere a quale pseudo-categoria sociologica appartenete, e se potete definirvi “veri scrittori” oppure “scrittori anomali”? E’ questo il vostro solo rovello? O vi preoccupate solo di sapere quante copie vendono i vostri libri? Vi sentite o non vi sentite in guerra con le forze della desertificazione e dello svuotamento? Vi rendete conto o no che appena qualcuno si mette in testa di fare qualcosa, anche una semplice analisi della macchina di potere odierna, il suo discorso viene subito innaffiato dagli idranti della delegittimazione, da voci che vi accusano di “narcisismo”, “autoreferenzialità”, “lamentosità”, “pessimismo”, “rancore”. Vi rendete conto o no che chi cerca di dare voce a un sogno oggi viene bacchettato da tutte le parti perhé i sogni non sono più concessi?
Sapete solo pubblicare le risposte depistanti di La Porta e di Caliceti, o pensate anche voi qualcosa sull’argomento? O sognate anche voi qualcosa? Vi sentite o no parte di qualcosa che è in tensione, o siete tutti sereni come Caliceti? Nazione indiana è davvero un luogo in cui si sta in attitudine di combattimento e di sogno oppure un club di pensionati della cultura?

Duo da camera (6)

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Di Andrea Inglese

Noi due assieme non abbiamo bisogno
di sogni, né di saghe, leggende, riti,
strumenti ad arco, non abbiamo
bisogno di smalti, stucchi, porcellane,
è nitido il motivo a spirale
dei nostri polpastrelli, il foro
uditivo sormontato da una conchiglia
di carne, che sfiorata con mani
o punta di lingua irradia
ovunque la febbre, il tremore,
il precipizio del sangue, è limpido,

Marginalità o libertà

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(Risposta a Caliceti)

di Antonio Moresco

Caro Caliceti,
ho letto il tuo pezzo sulla “Restaurazione”, sia quello su Nazione Indiana che quello parallelo su Liberazione. Che tristezza! Mi fai dire cose che non ho detto (il riscatto generazionale, ecc), sostieni che liquido in quattro e quattr’otto il dibattito che c’è stato sulla “letteratura popolare” (argomento che ho invece cercato di affrontare al di fuori di certe banalizzazioni in un pezzo, sempre su Nazione Indiana, intitolato “Piccola nota”), stravolgi quello che ho detto e il senso e la natura e il referente della “sfida” di cui ho parlato, mi dai del pessimista e poi teorizzi per lo scrittore una marginalità introiettata e accettata (e tutto quello che viaggia in controtendenza sarebbe solo frutto di isolato romanticismo duro a morire).