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Sangue marcio

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di Antonio Manzini

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All’istituto il Natale era il momento più bello dell’anno.
Accompagnati dal professore ce ne andavamo in giro per Torino, in fila, a guardare le vetrine dei negozi e i bar. C’erano luci e macchine che suonavano senza senso. E la puzza di zolfo misto a concime mi tartassava le narici.
Io avevo un piano preciso. Facile da mettere in pratica. Rischi calcolati prossimi allo zero. Quando entri con dodici persone in un piccolo negozio fare quello che dovevo fare era uno scherzo.

Una specie di felicità

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Qualche giorno fa ho avuto il piacere di una chiaccherata con Roberto Parpaglioni, vero e proprio deus ex machina che governa le sorti di Quiritta editore. Sulla storia di questa piccola casa editrice -in catalogo autori del calibro di Mari, Pardini, La Capria-, nel prossimo supplemento domenicale di «Liberazione» uscirà un mio breve pezzo. Qui di seguito riporto un racconto di Romolo Bugaro, Una specie di felicità, tratto da un’antologia uscita di recente – Le finestre sul cortile – a cura di Stefania Scateni. Buona lettura. J.G.

American gigolò (Un inchino a un film)

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di Franz Krauspenhaar

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Avendo visto per la decima volta, forse, American Gigolò di Paul Schrader, sceneggiatore benemerito di Taxi Driver di Scorsese e regista in proprio di alcuni capolavori hollywoodiani, mi preme dire alcune cose, alcuni pensieri che mi sono venuti a trovare, come sempre a tradimento, dopo la visione.

La terra padre

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di Roberto Saviano

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ad H., al nodo che ci lega

Ci avevo passato le dita sopra. Avevo anche chiuso gli occhi. Facevo scivolare il polpastrello dell’indice sull’intera superficie. Dall’alto in basso. Poi quando passavo sul buco, mezza unghia si arenava. Lo facevo su tutte le vetrine. A volte nei fori entrava l’intero polpastrello, a volte mezzo. Poi aumentai la velocità, percorrevo la superficie liscia in modo disordinato come se il mio dito fosse una sorta di verme impazzito che entrava ed usciva dai buchi, superava gli avvallamenti, scorazzando sul vetro. Sin quando il polpastrello mi si tagliò di netto. Continuai a strisciarlo lungo la vetrina lasciando un alone acquoso rosso porpora. Aprii gli occhi. Un dolore sottile, immediato. Il buco si era riempito di sangue. Smisi di fare l’idiota ed iniziai a succhiare la ferita.

The Horror

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di Helena Janeczek

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1. genocidio remix

Mai più mai più mai più mai più mai più si ripete si ripete si ripete mentre il Lago Vittoria si copre di cadaveri, mentre i cadaveri ingrassano i pesci, mentre le televisioni filmano e i giornali scrivono, mentre le cifre aumentano ma divergono, mentre apprendiamo che trattasi delle etnie hutu e tutsi che continuano a trucidarsi con il machete, con il machete, con il machete, con il machete (con il machete? però…certo hanno ancora un fegato, sti negri), mentre l’Onu non interviene, mentre i governi occidentali non intervengono, mentre nessuno scende in piazza, mentre i persici nutriti di cadaveri diventano grandi come balene, (Oggi in offerta speciale: filetti di persico, decong., orig. laghi afric., 5 euro!), mentre il papa prega, mentre nelle chiese ruandesi vengono rinchiusi e massacrati da preti e suore uomini donne e bambini, mentre tutti si guardano bene dal pronunciare o scrivere o lanciare soltanto come ipotesi la parola genocidio.

Rimozione e integrazione del “negativo” nel film HOTEL RWANDA

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(Non era così che avrei voluto parlare dell’ultimo genocidio del secolo scorso. Prima di tutto, la ricostruzione dei fatti e la responsabilità degli attori storici. Dopo, possiamo commentare la finzione (romanzi, film) e fornire anche interpretazioni dell’accaduto. Devo invece procedere all’incontrario. Con un articolo di taglio psicoanalitico sul film “Hotel Rwanda”. Ma è un modo per iniziare. A. I.)

Di Andrea Arrighi

La vicenda del proprietario dell’albergo a quattro stelle di Kigali, nel Rwanda al tempo dello scontro Hutu-Tutsi, Paul Rusesabagina, protagonista di “Hotel Rwanda” di T. George, rappresenta la difficoltà di prendere consapevolezza degli aspetti più negativi o di quelli meno accettati dalla coscienza di ogni essere umano, in altri termini di ciò che junghianamente viene definita “Ombra”.

Quando la Resistenza non è solo il 25 aprile…

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di Liza Candidi

Può essere rischioso proporre una mostra d’arte sulla Resistenza in un contesto geografico così profondamente segnato da cicatrici belliche come quello friulano e, per giunta, nel 60° anniversario dalla Liberazione. Rischioso sia per la retorica, sia per l’abuso tematico e politico che ne può derivare. Eppure, Danilo De Marco e Gianluigi Colin sono riusciti nell’impresa di trasformare un evento commemorativo facilmente banalizzabile in un formidabile spunto di riflessione e di confronto, non solo retrospettivo ma anche attuale, estendendo il concetto di Resistenza anche ad ambiti storico-geografici diversi rispetto a quelli comunemente noti.

Problemi tecnici 2

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Avvisiamo che il sito è di nuovo funzionante anche nella colonna dei commenti. Grazie.

Editoria o letteratura?

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di Florinda Fusco

Essendosi ricreato un po’ di spazio nella memoria di NI, ripropongo il testo di Florinda Fusco che ero stato costretto a cancellare alcuni giorni fa. Da un lato, per un’elementare forma di correttezza nei confronti dell’autrice; dall’altro, perché lo considero di assoluta rilevanza rispetto agli ultimi accadimenti interni a Nazione Indiana (era peraltro questo il motivo per cui l’avevo postato la prima volta). L’ultimo paragrafo, in particolare, esprime meglio di quanto saprei farlo io stesso cosa è stata per me, sino ad oggi, Nazione Indiana.
Si sta cercando di organizzare una riunione per discutere di quanto è accaduto. Rispondendo a quanto dice Carla Benedetti nel suo post, spero vivamente che lei, come tutti gli altri fuorusciti, vorranno parteciparvi. Lo ritengo anzi essenziale.
In attesa di questo incontro, non postero’ più nulla su questo sito.

Saluto e ringrazio, con tutto il cuore, le lettrici e i lettori che hanno seguito con generosità ed attenzione il mio (il nostro) lavoro.

Andrea Raos

Oggi si è arrivati ad un punto d’incontro-scontro tra due potenzialità coesistenti nella realtà letteraria contemporanea. Da un lato, le cosiddette “morti” della modernità, il superato antagonismo tra avanguardia e tradizione, la crisi delle poetiche e della critica, portano gli scrittori ad un’estrema libertà di movimento, che significa poter disporre di un patrimonio enorme di esperienze da poter guardare con occhi nuovi, liberi dalle costrizioni di ogni tradizione o criterio imposti. Dall’altro, l’industria culturale impone nuove invisibili mura: regala una libertà illusoria a chi si muove tra le pareti di una ristrettissima stanza. Questa ristrettissima stanza è figura di quello che Hannah Arendt avrebbe definito l’assenza di pensiero. I tempi e i cliché della grande Fabbrica dell’editoria letteraria minacciano ogni spazio di possibile meditazione, nel senso di dialogo silenzioso con se stessi, momento essenziale e indispensabile per il vero dialogo con l’altro. Ecco l’incontro-scontro tra la possibile estrema libertà di pensiero e di scrittura e l’impossibile libertà culturale all’interno della macchina della produzione.

Slanci frenati

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di Carla Benedetti

Cari indiani,

la lettera di commiato di Antonio Moresco non mi sorprende. Chi era presente all’ultima riunione di Nazione Indiana sa che anch’io in quella occasione ho detto cose analoghe. E ora provo a ridirle qui, con la maggiore serenità possibile.

Il “no” francese

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(Il no ha vinto nel referendum francese sulla ratificazione del trattato costituzionale europeo. E subito è iniziata, o ha continuato con maggiore veemenza, la campagna di disinformazione. Si fa di tutto per deformare il significato politico più ampio di questo risultato. Ciò vale per la Francia, ma varrà anche per l’Italia e per gli altri paesi d’Europa. Di certo questo no non è senza ambiguità. Ma in esso si è espressa innanzitutto una critica della sinistra radicale alla politica economica liberista inglobata nella costituzione europea. L’appello che qui pubblico mi sembra sintetizzare nel modo più chiaro l’obiettivo politico della sinistra francese che ha votato “no”. A. I.)

Problemi tecnici

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Da ieri nel sito ci sono problemi tecnici che impediscono di entrare nelle colonne dei commenti, presenti negli “archivi del mese”. Faremo il possibile per sbloccare la situazione quanto prima.
Oltre a questo, in seguito alle uscite da NI verificatesi di recente, è in corso una discussione fra i membri sull’opportunità, i tempi e i modi del continuare l’esperienza.
Ce ne scusiamo sinceramente con i lettori e commentatori di Nazione Indiana.
Grazie molte per l’attenzione.

Allora ce ne andiamo prima noi

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di Raul Montanari

O meglio, me ne vado io, e spero che non sarò il solo. Concordo con Biondillo: Nazione Indiana senza Antonio Moresco e Tiziano Scarpa non esiste più.

Mi sembra stravagante e involontariamente comico che i puri e i fondatori escano da quella che mi ostino a chiamare una casa, e che i conciliati, i mediocri, gli asserviti al potere, gli introiettivi delle logiche dominanti, o semplicemente quelli che hanno “altre aspirazioni” stiano qui dentro a consumare quello che c’è rimasto in frigorifero. Poi cosa succederà? I fondatori fonderanno qualcosa di diverso? E’ molto più logico che usciamo noi e lasciamo la casa Nazione Indiana a chi ha meritato, francamente, di assumerne l’identità. Usciamo noi, io per primo.

In uscita

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Condivido in pieno il messaggio di Antonio. Anch’io ho deciso di uscire da Nazione Indiana. Non descriverò qui le tappe che mi hanno portato a questa decisione. Dico solo questo: nel corso di questi due anni e due mesi, Nazione Indiana ha elaborato molte analisi, visioni, proposte. A qualcuno sono sembrate un poco manchevoli, ad altri troppo agguerrite. Ma in ogni caso, mi aspettavo che fossero occasioni per formare un coagulo di forze, dentro e fuori di qui, non certo per creare altre separazioni e nuove incomprensioni.
Saluto tutti ringraziandovi dell’impegno e dell’attenzione appassionata che avete dedicato a questa bella avventura.
Tiziano Scarpa

I Commenti al Commiato

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di Gianni Biondillo

stretta.jpg Sto passando un periodo molto difficile (con problemi familiari che sto lentamente risolvendo) che mina la mia attenzione al mondo e a Nazione Indiana. Purtroppo non posso dare la giusta cura, e la giusta replica, alle parole di Antonio.

In effetti è oltre un mese che non commento e non posto più nulla. Dopo che mi si è accusato di eccesso di presenzialismo, era un mio piccolo modo di placare le acque e forse anche un po’ di protestare per gli eccessi barricaderi (o con me o contro di me) che avevo riscontrato in prossimità di un convegno che ho visto nascere a casa di Carla e che ho sempre reputato fosse importante da mettere in atto. Me ne sono andato prima io di te, Antonio, mi viene da dire, ma non è questo il punto.

Commiato

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di Antonio Moresco

notorious_16.jpgCari amici,

vi comunico la mia decisione di uscire da Nazione Indiana. Negli anni in cui ci siamo conosciuti e siamo stati insieme ci siamo sempre detti le cose con chiarezza. Per cui sento il bisogno anche adesso di esprimermi in modo libero e trasparente.

Quando alcuni di noi hanno messo al mondo attraverso il mezzo della rete questa piccola cosa dinamica, creativa e controcorrente nel panorama culturale di questi anni e delle sue strutture (che tendono ad atrofizzare e a rendere atomizzate e puramente funzionali le persone e le vite che si muovono al loro interno) si è cercato di prendere coscienza e di definire la natura dei nostri desideri e delle nostre aspettative. L’idea era di fare qualcosa che si muovesse nella dimensione del combattimento e del sogno, cioè di un movimento unico che tenesse indissolubilmente uniti dentro di sé sia il conflitto delle idee e l’aspirazione all’apertura di spazi che l’amore per l’oggetto e la cosa in sé, sia la responsabilità intellettuale radicale che l’incandescenza, l’intransigenza e l’integrità artistica e di conoscenza.

Percorsi di significato

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di Sergio Garufi

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Una delle immagini più suggestive, nel Trionfo della morte di D’Annunzio, è quella della scoperta del Duomo di Orvieto, quando il protagonista del romanzo percorre un dedalo di vicoli angusti nel centro storico della città e alla fine prova questa epifania scioccante (“d’un tratto, in fondo a una via, un miracolo: il Duomo“), come di un mostro sorto dal nulla.
Il tema del percorso, di come cioè un’opera si sveli attraverso il tragitto (interno o esterno, tattile o visivo) che ci conduce a lei, si ritrova pure negli studi che riguardano Castel del Monte. Mentre il primo è una brusca apparizione che sconcerta perché inattesa, il secondo si palesa subito, e si scorge già a grandi distanze. La strada da Andria scorre dritta per chilometri e il castello è là, in fondo, minaccioso e terribile come una corona imperiale poggiata sul terreno. Il tracciato è lo stesso dei tempi di Federico II, e l’impressione, man mano che ci s’avvicina, è che l’effetto intimorente sia deliberato. Un simbolo di potere così grandioso e inaccessibile da scoraggiare sul nascere qualsiasi velleità di sovvertirlo, provenisse da sudditi rivoltosi o da sovrani belligeranti.

da “Biometrie”

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Di Italo Testa

Scandire il tempo

Devi intonare la litania dei corpi
di quelli esposti nel riverbero dei fari
di quelli accolti nel marmo degli ossari,

devi orientarti per i tracciati amorfi
tra le scansie dei centri commerciali
scandire il tempo di giorni disuguali,

Appunti sulla distinzione uditiva (1)

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di Massimiliano Viel

http://www.maxviel.it
http://www.otolab.net/projects/sn/index.htm

Introduzione

Poniamo di poterci isolare da tutti i sensi, tranne l’udito. Immaginiamo ad esempio di essere al buio, seduti comodamente e di ascoltare in cuffia l’audio che proviene da un teatro negli istanti prima che inizi un concerto. Ci troviamo immersi in un flusso continuo di suoni e rumori che in gran parte riconosciamo : persone che parlano, colpi di tosse. Poi all’improvviso si fa silenzio. Suoni di strumenti orchestrali, più o meno ben conosciuti, ma comunque famigliari, risuonano insieme creando una cacofonia di frammenti melodici che si sovrappongono tra loro apparentemente in modo casuale. Poi è ancora silenzio. Improvvisamente si sentono dei leggeri colpi, come dei passi lontani e subito un forte rumore : è l’applauso. Evidentemente deve essere entrato il direttore. Infine ancora silenzio. Improvvisamente gli strumenti suonano attaccando insieme con forte intensità e procedendo con un’alta prevedibilità di mutamenti sonori, al punto che volendo posso anche battere il piede, seguendo e anticipando i cambi di note dell’orchestra. Insomma : il concerto è iniziato.

Perdersi, ovvero: Le mappe mentali

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di Gualtiero Tramontana

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Immagino cosa possa significare girare e sperdersi di notte per questi corridoi. Anzi, non voglio immaginarmelo proprio per niente. Mi verrebbe paura già solo a pensarci. Corridoi lunghissimi, tutti uguali, tutti diversi solo per tracce insignificanti. E chi si ricorda quali? Ci sono grandi blocchi di edifici quadrati e altri rettangolari. In quelli quadrati, e lo so per esperienza diretta, ci sono corridoi esterni, ci sono quelli interni. Ogni lato è lungo un centinaio di metri, forse esagero, forse solo cinquanta.

Antiromanzo

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di Livio Borriello

Piero Manzoni Alfabeto.jpg Nella vita quanti scrivono romanzi? Diciamo che nella vita il romanzo non esiste. Quando qualcuno racconta una storia mai accaduta, viene censurata come frottola o menzogna e espunta dalla circolazione sociale. Certo il racconto, la narrazione, il mito, sono già presenti nella vita, ogni racconto che ascoltiamo al bar è una narrazione, ma è la narrazione di una realtà, o di un’irrealtà, nel caso del mito, ritenuta reale.