di Gianni D’Elia
[il libro di D’Elia di cui riporto un brano verrà presentato dall’autore alla Festa de l’Unità di Milano il 27 agosto, alle 18, con Gianni Barbacetto (“Diario”) e Franco Buffoni. a.r.]
Se ci si chiede quale sia la vera novità della poesia di Pasolini, si può rispondere che l’autore de Le ceneri di Gramsci porta nella poesia italiana lo sguardo del cinema e del viaggio. Tutte le sue poesie sono lunghe carrellate visive e meditative, all’aria aperta e dentro i margini delle città, dei paesaggi. Si cammina e si pensa, si va in macchina e in treno, il corpo vivo abita la scena, descritta in presenza nei versi, con attacchi proustiani, sempre legati alle sensazioni (per lo più olfattive, auditive) della memoria. L’altra novità è metrica. Pasolini ha dato (vale ripeterlo) al marxismo eretico una metrica dell’ossimoro, della contraddizione, dell’apertura: «la sua natura, non la sua / coscienza; è la forza originaria». La sintassi ci dice che la forza originaria è la natura del popolo; ma il verso isolato recita che la «coscienza è la forza originaria». E tutti e due i sensi valgono, compresenti, picchi di aporia metrico-filosofica. Dunque, l’attenzione va spostata sullo spasmo narrativo, e sul modo particolare di funzionamento della musica semantica: dalle forme chiuse della quartina friulana e delle terzine degli anni Cinquanta si passerà a una scrittura più sfrangiata, libera, che però non perderà mai la qualità del canto concettuale, della necessità prosodica. Insomma, se la tradizione è attraversata, lo è per aderenza al vero, che parla da quella spaccatura: corpo/storia, sintassi/metro, senso/rima. Pasolini è soprattutto un poeta, lo straordinario poeta di un corpo metrico inaudito, da scoprire.