immagine di Alessandro Baronciani
Porca Parigi
di
Thierry Crifo
traduzione di Francesca Spinelli
Se ne sta al volante della sua Mercedes coupé, parcheggiata in rue de Seze, dietro la Madeleine, sono le tre di notte ed è gennaio inoltrato. La Madeleine, come quella di Proust e della sua memoria sepolta e dispersa, Proust che abitava qui vicino, tra l’altro, la Madeleine dell’Olympia dove Mistinguett era di casa, anche se quello era solo un cinema tra tanti altri, la Madeleine della piazza, della chiesa e di fronte, in lontananza, dopo la Senna, l’Assemblée, che le fa da gemella, da trompe l’œil ufficiale; la Madeleine del teatro, di rue de la Paix e del suo caffè, dell’Opéra e del suo fantasma; e poi, dall’altro lato, la Madeleine di rue Royale, se si getta uno sguardo dietro la facciata impenetrabile di Maxim’s e del suo defunto cacciatore, dove tanti smoking e tante scollature si sono strofinati, tra bicchieri vuotati e altri rotti, dove tanti musicisti di operetta si sono assopiti in piedi, morti viventi, sognando per notti intere finte contesse che non si sarebbero mai scopate, ma bisogna pur campare, e allora giù serate, col violino in spalla che piagnucola da sempre, davanti a tavoli di aristocratici di fine secolo, di americani straricchi, di uomini politici scaduti o in erba, di donne da prendere, accompagnare o abbandonare; la Madeleine di rue Royale, quindi, ma anche quella della Concorde e della Camera dei Deputati, addormentata, per una volta, e poi quella delle Tuileries e dei suoi appuntamenti tra uomini avidi di sessi frettolosi, e infine quella del Louvre, del suo museo e della sua piramide mitterandiana, da cui la prospettiva, valore a quanto pare borghese, lacera a modo suo il cielo e il selciato di Parigi, con uno squarcio netto e imperioso.