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Apokalisse araba

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di Etel Adnan

traduzione di Toni Maraini

Un sole di guerra a Beirut in pieno aprile un vento fresco nelle imbarcazioni
un sole giallo che sventola un occhio nel buco del fucile un morto di Palestina
un sole lilla nella tasca della mia amica passeggiata errabonda a Parigi
un uccello sull’alluce di un palestinese defunto e una mosca dal macellaio
Beirut-acido-solforico STOP il quartiere in quarantena brucia i suoi folli STOP Beirut
un sole nel dito un sole nell’ano un sole in groppa all’elefante
un sole cannibale armeno antropofago piaghe sulle provvigioni! ! ! ! !
un sole giallo sul volto di cancrena sul palestinese crudeltà dell’albero di palma
Ho preso una nave sotto il mare nel regno dei morti e dei vivi sì sì sì
un sole nero 45 cadaveri neri per una sola bara e un orecchio nero che ascolta
Ho visto uno sparviero nutrirsi d’un cervello di bambino in un immondezzaio a Dekuaneh

 

Un dogma culturale (sulla critica alla politica israeliana)

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di Andrea Inglese

Di fronte ai commenti che l’attacco di Israele al Libano ha suscitato nei nostri canali d’informazione l’impressione è quella di concorrere al rafforzamento di un dogma culturale che è tanto ottuso quanto nocivo. Un simile dogma culturale è già emerso negli ultimi anni a proposito della politica del governo statunitense. Ogni critica risoluta alle opzioni di politica estera o interna del governo statunitense avanzate in un dibattito pubblico in Italia, e spesso anche in altri paesi europei, è immediatamente definito da qualcuno come una manifestazione di “antiamericanismo”, ossia come una forma di pregiudizio idiosincratico e ingiustificabile. Ciò accade o rischia di accadere anche oggi, quando qualcuno critica risolutamente la politica estera israeliana.

Croniche Pavesiane/E la classe operaia va

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Volonte06.jpegimmagine da www.urbanskin.org/classe.html

Del maestro francesco forlani

Quando Annamaria mi accompagna alla fermata dell’autobus per Torino, alle porte di Torre Pellice, è da poco passato mezzogiorno.
Fortunatamente i fumi dell’alcol non hanno superato, proprio come certe nebbie, le prime ore del mattino per quanto i falò della serata e le conversazioni illuminate, siano stati alti almeno quanto quegli altri,famosi di qui, del 17 febbraio.

L’osceno

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di Marco Rovelli

 Die Skatspieler 1920.jpgBorghezio – il cognome è sufficiente a denotare un tipo umano, che si raccoglie nelle pieghe ventrali della sua brutalità – è stato condannato per aver picchiato un bambino marrocchino nel ’93. Lo scorso autunno la Cassazione ha reso definitiva la sua condanna a cinque mesi per aver incendiato un dormitorio di immigrati. Quando lo mettevo di fronte a questa realtà, il borghezio si limitava a ripetere: Non è vero. Come un bambino che pesta i piedi per terra, che nega ostinatamente l’evidenza, e che non potrà mai ammettere ciò che lo contraddice – il borghezio ripeteva, Non è vero. Lo ripeteva lì, a un centimetro da me, con quella sua manona sudata a un centimetro dalla mia faccia, che fremeva per schiaffeggiarmi. Era scattato dalla sedia diretto contro di me che gli stavo seduto di fronte, Stai zitto borghezio, gli avevo detto, anzi glielo avevo ripetuto, ché già durante la trasmissione lo avevo fatto. Stai zitto borghezio, smettila di parlare di immigrati delinquenti, qui l’unico delinquente sei te, sei stato condannato a cinque mesi per aver incendiato un dormitorio di immigrati e a settecentocinquantamila lire di multa per aver picchiato un bambino marocchino. Non avrei mai immaginato nella vita di incontrarmi faccia a faccia con borghezio. Non questo incontro così ravvicinato. Né di poter sostenere la sua vicinanza senza ribrezzo. E in effetti il ribrezzo c’era, ma una sorta di curiosità antropologica la controbilanciava. Mi ha fatto avere un ghigno di compassione sulle labbra. Per borghezio, sì, ma anche per il suo camerata di merende, il prosperini, ferocemente nazialleato, e un tal buscemi, assessore alla sicurezza, di forzaitalia, caricatura del forzaitaliota. Poi però il ghigno si è allentato e si è piegato in sdegno, e rovesciato in vomito.

Statistiche primaverili

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Qualche informazione sul traffico del sito Nazione Indiana a giugno 2006 e un veloce confronto dei dati quadrimestrali da marzo a giugno.
Nel mese di giugno Nazione Indiana ha avuto 26.000 visitatori, che hanno effettuato 38.000 sessioni di visita e visto complessivamente 95.000 pagine web. Il 43% delle visite è costituito da nuovi visitatori.

La pelle di Darwin

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di Matteo Serpente

vogliamo vedere

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Uno dei giorni più felici della mia vita è stato quello in cui per la prima volta non ho dovuto chiedere aiuto.

Era poco più di un anno fa, allora avevo all’incirca sedici anni e da quanto mi ricordo la logica delle cose aveva abbandonato il mondo, o almeno così si leggeva sui giornali e nelle pagine delle maggiori riviste nazionali. Il mio patrigno, uomo di grande sensibilità ma incapace di legami profondi, mio tutore in sostituzione del mio padre naturale morto in un incidente aereo quando avevo dodici anni, mi ripeteva in continuazione che un cammello poteva anche passare attraverso la cruna di un ago ma se accadeva, in nessun caso (e ci teneva davvero molto a ribadire con braccia piedi e testa quel suo “in nessun caso”) si trattava di vita reale, quotidiana, concreta, quella vita per capirci fatta di uomini in carne e ossa. Nella vita reale, mi ripeteva il mio patrigno, i miracoli e le rivoluzioni quotidiane non accadono mai. Davanti al tv color che aveva deciso di regalarsi per il suo compleanno, mi ripeteva sempre che: “La realtà è come una pietra durissima e pesantissima, fino a che la guardi non hai problemi, il brutto inizia quando decidi che ti appartiene!”

Lo stile di Zidane e la furbizia rozza di Materazzi

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di Giancarlo Tramutoli

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La plateale testata di Zidane al perfido Materazzi contiene paradossalmente (e letteralmente) intrinseca la lealtà e il pathos. Ovvero, anagrammando Platealità  si ottiene pati lealtà, e cioè: Patire (da pathos) e lealtà.

Il ventennale della morte di Borges

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di Sergio Garufi

borges roma.jpgPontiggia affermò (ne L’isola volante, Mondadori) che scrivere su Borges è come scrivere su la Gioconda. L’assimilazione lo ha reso rassicurante, familiare, innocuo. “Anziché riconoscerci nell’estraneo, l’estraneo diventa noi, ossia irriconoscibile”. E’ il destino di tutti i grandi scrittori del Novecento, come Kafka e Pirandello, quelli che si neutralizzano trasformandoli in un aggettivo. A quel punto, come nel caso de la Gioconda, si crede di conoscerli anche senza averli mai visti, e ci si sente esentati dal farne esperienza diretta. Si ha insomma l’impressione che oggi i libri di Borges non siano altro che un deposito di citazioni, degli oggetti transizionali la cui sostanza è irrilevante, e in ogni caso subordinata alla loro centralità di feticcio, di certificato di buona condotta, di investimento psicologico. Sbarbaro, che aveva sempre ragione, sentenziò che “l’umanità si difende dal genio negandolo e se ne sbarazza riconoscendolo”.

Schiuma hard-core

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una tavola del Necron di Magnus di Mauro Baldrati

C’era un tipo – lo chiamavano Faustone – che conoscevo al paese, prima di emigrare a Roma per lavorare al giornale. Era un uomo di circa trent’anni, altissimo, sarà stato due metri e dieci, con una grande testa di capelli neri voluminosi e due mani enormi, due mazze che avrebbero atterrato un bue.
Era un personaggio mitico, era stato sposato con una ragazza bellissima, molto alta anche lei (circa un metro e novanta), magra, nervosa, atletica. In un paese dove l’altezza media delle persone era di un metro e sessantacinque, loro due formavano una coppia che suscitava sconcerto, e, forse, ammirazione e invidia. Il matrimonio comunque durò meno di sei mesi, perché lei, un giorno, fu ricoverata in ospedale per le percosse ricevute. Almeno così si diceva, e la cosa mi stupì, perché ho sempre considerato Faustone un tipo generoso, un buono, sempre disponibile verso gli altri.

I modelli famigliari

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Piccola ode a Carlo Giuliani e Mario Placanica,
ognuno a suo modo, cinque anni dopo,
campioni del mondo

di Christian Raimo

1.

Una volta sola mi è successo soltanto
di venire colpito (in un sogno) alle spalle, da un colpo vagante.
(“La morte per caso”, se è questo che intendi).
Il corpo del colpo era stato scaldato e temprato
in una matrioska di bagni concentrici:
sensi di colpa e stragi di stato.
Da noi tutto avviene in famiglia.
Il nonno finanziere ad esempio
lascia un’arma sopra la mensola della credenza;
arriva il bambino, sei anni, la prende e s’ammazza;
poi nasco io suo fratello, rapiscono Moro, mia madre
tradisce mio padre.

Piccola apocalisse postmondiale

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gallas.jpg

di Helena Janeczek

Emancipate yourselves from mental slavery, no one but yourself can free our minds (Bob Marley, Redemption Song)

In Alta e forse Bassa Lombardia viene giù un nubifragio che andrebbe classificato come tempesta, in una città che grazie a un precedente governo fondamentalista indù occorre chiamare Mumbai si contano i cadaveri dei pendolari dilaniati che nessuno ha la bontà di rivendicare, la striscia di Gaza e i confini fra Libano e Israele sono sull’orlo della guerra, a Mogadiscio si sparava a quelli che guardavano le partite e si continua a sparare, a Vibo Valentia devastata dall’acqua brucia un negozio devastato da una bomba, a Napoli bruciano i rifiuti, a Beirut viene bombardato l’aeroporto, in Kashmir sono ammazzati altri quattro indù, il Libano chiede la riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, gli Stati Uniti accusano Siria e Iran di usare Hebzollah e Hamas, l’India esige chiarimenti dal Pakistan, forti piogge in Cile causano undici morti e tremila sfollati, il Giappone chiede che il consiglio di sicurezza dell Onu voti presto sugli esperimenti missilistici della Corea del Nord.
Il calcio è una metafora della guerra, ma non è la guerra, siamo sull’orlo di una guerra o più di una guerra con possibilità di proliferazione ed escalation nucleare, il calcio non è la guerra e quindi che cazzo ce ne frega di che cosa Materazzi abbia detto veramente a Zidane, soreta, mammeta, e invece ce ne frega, ce ne frega, il calcio è una metafora della guerra, il calcio è specchio e prefigurazione, prefigurazione tragicomica ma pur sempre prefigurazione, è specchio per le allodole, per chi sull’orlo della guerra è distratto da panem et circensis, e allora scusate se prima di cominciare a tremare seriamente, guardiamo un attimo indietro.

Francamente fuori strada

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di Pierangelo Berrettoni

Francamente mi pare che siamo fuori strada: la maggior parte dei commenti sembra partire dal presupposto che il calcio e il tifo relativo siano in se’ un valore positivo e che solo la corruzione li abbia contaminati rendendoli provvisoriamente impresentabili. Un po’ come quando Croce sosteneva che il fascismo era una malattia contingente scoppiata in un organismo sano.

All’ombra del noir

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di Gian Paolo Serino 

  18364316.jpgProprio a maggio avevamo incontrato lo scrittore Jake Arnott, autore di una trilogia nera che, non solo nel Regno Unito, ha appassionato milioni di lettori pur mantenendo una dignità letteraria che nulla concede al lettore. A stupirci un suo annuncio ufficiale: l’abbandono del genere “noir”. Motivazione? Per Arnott, autore dell’ultimo “Delitti in vendita” (Marco Tropea Editore) è un fenomeno che, almeno in Inghilterra, si è affievolito.

VIET NOW – I nipoti inquinati #3 e fine

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di Gianluigi Ricuperati 

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E’ soltanto al ritorno, a Kuala Lumpur, nell’aeroporto più bello del mondo, che cade come una tagliola la domanda fatale – ma cosa sono andato a fare, davvero, in Vietnam? Ed è solo qualche ora più tardi, a diecimila chilometri d’altezza, la risposta – mi sono trasformato in una serie di oggetti.  E prima di pensare che abbia detto troppe volte sì ai cognac delle hostess: è tutto vero: è uno dei modi autentici di viaggiare – immaginare di trasformarsi negli oggetti che hanno affollato le tappe del viaggio, i reperti solitari che non vedrai mai più e che per qualche tempo sono stati lì, la versione materiale di una dama di compagnia con il cronometro sempre acceso. Il soprammobile di una stanza perduta. L’animaletto che pende dal soffitto di un’auto casuale. Le posate che ti hanno catturato l’attenzione in un pranzo veloce, menù internazionale. Oggetti civili, malinconia civile. Ma lassù, sulla curvatura del pianeta, all’altezza della Russia centrale, succede che gli oggetti, in questo Vietnam, non sono affatto civili. Sono quasi tutte mine. Affissioni che invitano ad abbattere aerei. Armi di fabbricazione sovietica. Volantini che esortano alla ribellione – ribellione per mezzo di proiettili – proiettili di fabbricazione americana. Trappole per uomini – trappole per animali che nascondono trappole per uomini – divise militari femminili.
 

All’alba, un gennaio

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di Manlio Cancogni

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Oggi, 6 luglio 2006, compie novant’anni Manlio Cancogni, nato a Bologna il 6 luglio 1916. Di Cancogni ho letto alcuni libri (Allegri, gioventù, Azorin e Mirò, Il Mister, La carriera di Pimlico) e mi sono piaciuti tutti. Mi è piaciuto il suo italiano fragile e risoluto, mercuriale e transeunte, come è spesso degli scrittori italiani che hanno scritto per lo più negli anni ’50, ’60 e ’70, e che hanno accompagnato l’italiano in città (conservandogli le suole delle scarpe sporche di terra). Voglio ringraziare Cancogni trascrivendo un suo racconto brevissimo tratto da La sorpresa (Scheiwiller, 1991), quattro paginette che mi sono sempre rimaste impresse per la loro capacità di mettere in scena la tenerezza amorosa in una forma, fuori dalla narrazione, impensabile. Il racconto si intitola All’alba, un gennaio.

I lager sono tra noi

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di Franz Krauspenhaar

 1701141.jpg“Trovarmi in un Cpt è stata l’esperienza forse più traumatica di tutto il mio percorso di vita. Non solo per le botte. C’è di peggio in quanto a traumi. Però intanto partiamo da quelle. Te ne racconto una…”, così racconta Jihad, palestinese con alle spalle l’esperienza di ventun anni passati a Rebibbia, in una delle storie che in parte compongono Lager Italiani, Bur pagg. 283  euro 9,80, di Marco Rovelli, cantante e autore nel gruppo musicale “Les Anarchistes” e poeta.

Crossing California

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Langer_Adam2.JPG  un ragionamento fatto attorno a Adam Langer, I giorni felici di California avenue, trad. Adelaide Cioni, Einaudi, 2006

di Gianni Biondillo

  
Faccio una certa fatica a parlare di questo libro. La stessa che ho fatto a leggerlo. Intendiamoci: è un romanzo ottimamente scritto, davvero un esordio straordinario, in perfetta continuità con la lunga e prolifica tradizione della letteratura ebraica-americana, che ha fatto accostare, alla critica statunitense, il nome di Langer a quello di veri e propri monumenti letterari quali Saul Bellow o Philip Roth.

Il giornalismo italiano e l’islam: letture

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logotipo Razzismi Quotidiani
un’inchiesta di Roberto Santoro

Indice delle puntate pubblicate su Nazione Indiana

  1. Introduzione. Il giornalismo cazzuto
  2. Il trust orientalista
  3. Il fante atlantico. Gian Micalessin embedded a Falluja
  4. Un giornalista giusto. David Frum, l’americano che non fa sconti
  5. Il manager religioso. La top ten fondamentalista di Massimo Introvigne
  6. Reportage dall’inferno. La discesa di Cristina Giudici nell’Islam italiano
  7. La mafia islamica. Una risposta ai lettori di Paolo Granzotto

Carbonara

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di Spliff

(In occasione della superclassica Italia-Germania di stasera e in “onore” dei soliti stereotipi che molti tedeschi e italiani si lanciano allegramente a vicenda da sempre- vedi il recente caso Der Spiegel – propongo il magnifico testo di un hit krautreggae di più di 20 anni fa del gruppo della Neue Deutsche Welle (new wave tedesca) Spliff, che ebbe un successo clamoroso soprattutto sulle nostre spiagge – si era nel 1982 – forse anche perché, mi azzardo a pensare, quell’estate gli azzurri batterono nella finale dei Mondiali di Spagna la Germania, e tornarono dopo decenni  campioni del mondo. Buon divertimento, soprattutto stasera… FK)

Io voglio viaggiara in Italia, in paese dei lìmoni
Brigade Rosse e la Mafia, cacciàno sulla Strada del Sol.
Distruzione della Lira, Gelati Motta con brio,
Tecco mecco con ragazza, ecco la mamma de amore mio.
Sentimento grandìoso per Italia, baciato da sole calda
borsellino è vuoto totale, perciò mangio sempre solo…

Il “Combattimento in trentasei turni fra poesie in cinese e in giapponese” di Fujiwara no Yoshitsune

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pic02.jpgdi Andrea Raos

Tra la fine del XII° ed i primi decenni del XIII° secolo, si assisté in Giappone a numerosi tentativi di rinnovamento e di ampliamento del lessico utilizzato nella “poesia in giapponese” (waka 和歌).

Padre Quotidiano/Matteo Palumbo

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pere_tanguy.jpgVAN GOGH, Vincent,Portrait of Pere Tanguy 1887-88
Oil on canvas92 x 75 cm Musee Rodin, Paris

Padri e figli
di
Matteo Palumbo

L’archetipo del disagio verso l’autorità è senza dubbio la celebre Lettera al padre di Franz Kafka. Il malessere qui manifestato, il brivido di paura, avvertito da chi scrive come una febbre che corrode la fiducia necessaria a esistere e ad agire, trovano la loro origine nella consapevolezza di una insopportabile prigionia. Il mondo del padre contiene leggi inflessibili: vincoli, doveri, modelli, obblighi, che condizionano le scelte dell’altro. Il Padre è «troppo forte»; esibisce «robustezza, salute, appetito, sonorità di voce, facondia, soddisfazione di Sé, superiorità verso il mondo, tenacia, presenza di spirito, conoscenza degli uomini, una certa generosità».