di Diego Ianiro
[Questo articolo è stato segnalatoscritto da Diego Ianiro a commento di Un dogma culturale (sulla critica alla politica israeliana) qui su NI]
“La politica di Israele consiste proprio nel tenere in ostaggio intere popolazioni”
Gilbert Achcar[1], intervista di Paola Mirenda per Liberazione – 15/7/2006
Il 20 luglio 2006, esattamente un anno dopo il nostro ritorno dai Territori Occupati[2], Tsahal (l’esercito israeliano comunemente noto come IDF – Israeli Defense Force) è al settimo giorno di bombardamenti sul territorio libanese.
Esattamente un anno dopo il nostro ritorno mi trovo su un autobus diretto verso il posto dove lavoro (e neanche per un istante penso ai brividi provati percorrendo Tel Aviv – Old Yafo sullo stesso tipo di mezzo un anno prima): è estate, sono circondato da ragazzi in tenuta da spiaggia, apparentemente lontanissimi da qualsiasi “idea” di guerra. Uno di loro ha un giornale, in prima pagina un’immagine delle macerie di Beirut cattura la sua attenzione: il ragazzo, credo abbia più o meno la mia età, si lascia scappare un commento, un commento che include un “…peccato per Hitler …poteva almeno finire il lavoro”. E’ un commento che, in un contesto simile, può scappare. Ma è un tipo di commento destinato a trovare sempre più spazio tra le parole e nella mente dei ragazzi, degli uomini e delle donne che percepiscono, al di là della fittissima rete di controllo dei media ufficiali, l’arroganza e il disprezzo per la vita umana che caratterizza la “sproporzionata” (questo l’aggettivo più in voga nei discorsi del nostro Ministro degli Esteri) reazione della politica dello stato d’Israele a fronte del “rapimento” di tre suoi militari.
E’ un tipo di commento che, in qualsiasi caso, non può tuttavia essere giustificato. Perché è sulle parole, anche e soprattutto su quelle del “senso comune”, del commento estemporaneo, del giudizio sarcastico frettoloso, della generalizzazione saccente, che si edificano i risentimenti e le ragioni di un conflitto.