di Sergio Garufi
Io conto le lettere delle parole (2-5-2-7-5-6). Di quante lettere è formata ogni parola (2-6-7-1-7-4-6). Lo faccio da sempre, mentalmente (2-6-2-6-11).
Le poche persone cui l’ho detto mi hanno preso per pazzo, per un autistico, e mi chiedono tutte il motivo (2-5-7-3-1-2-5-2-5-5-3-5-3-2-9-1-2-8-5-2-6). Non c’è un motivo particolare (3-1-1-2-6-11). E’ un’abitudine (1-2-9). Poi, certo, ho le mie preferenze (3-5-2-2-3-10). Diciamo che non amo le parole fatte di numeri primi (7-3-3-3-2-6-5-2-6-5). Di tredici lettere, per esempio (2-7-7-3-7). Già la parola tredici è orrenda (3-2-6-7-1-7). Sono sette lettere (4-5-7). Ma anche sette è brutta (2-5-5-1-6). E’ che non sono divisibili (1-3-3-4-10). O meglio, sono divisibili solo per uno o per se stesse. Divisibili è una parola stupenda (10-1-3-6-8). Con la sua struttura semplice, consonante-vocale-consonante-vocale; sempre la stessa vocale. Il massimo è una parola di dodici lettere (2-7-1-3-6-2-6-7). Mi trasmette una sensazione di ordine e di armonia (2-9-3-10-2-6-1-2-7). La puoi dividere per due, per tre, per quattro, per sei (2-4-8-3-3-3-3-3-7-3-3). Il dodici è il tre trascendente che moltiplica e reitera trinitariamente il quattro dell’immanenza. Il dodici come pienezza, il dodici come consesso di ogni eccellenza, di ogni completezza. Risarcimento definitivo dopo l’undici del peccato, “giacché questo numero infrange la barriera del dieci, che è la cifra del decalogo, e il peccato è l’infrazione della legge”. Dodici come limite che non si deve oltrepassare, confine dopo la moltiplicazione oltre il quale c’è l’indistinto, l’incontrollata proliferazione. Dodici come gli apostoli (6-4-3-8). Dodici come le tribù di Israele, i mesi dell’anno, le ore del giorno e della notte. Dodici che Olivier Beigbeder definisce “il numero delle relazioni con il mondo”. Dodici come la somma delle lettere che compongono il mio nome e cognome (6-4-2-5-5-7-3-10-2-3-4-1-7).
In verità, la mia passione per i numeri applicata al linguaggio ha poco o niente di metafisico. E’ una sorta di oroscopo personale (1-3-5-2-8-9). Una parola divisibile porta bene, è di buon augurio (3-6-10-5-4-1-2-4-7). Il massimo del massimo è una parola di dodici lettere eterogrammatica, cioè con ogni lettera diversa dall’altra. E poi forse c’entra pure la mia idiosincrasia per la soggettività (1-3-1-5-4-2-3-13-3-2-12). La matematica è il linguaggio dell’universo (2-10-1-2-10-4-8). Il grande fascino che esercita la sua algida e rassicurante oggettività è frutto di un mondo dal quale è escluso l’io. Vedere nel linguaggio dei numeri equivale a rigettare le interpretazioni personali, i bizantinismi semantici. E’ il linguaggio nudo e crudo, lo scheletro del linguaggio (1-2-10-4-1-5-2-9-3-10).
In pittura ogni artista si riconosce da alcuni dettagli anatomici: le mani paffute di Leonardo, quelle venose di Pedro Berruguete, gli artigli ossuti di Carlo Crivelli e Cosmè Tura. Ma le mani sono composte dallo stesso numero di ossa (2-2-4-4-8-5-6-6-2-4). Ecco, io vedo le ossa, ciascun osso (4-2-4-2-7-4). E amo le parti anatomiche costituite da un numero pari di ossa (1-3-2-5-10-10-2-2-6-4-2-4).
Le mani di Giada erano scarnificate sulle nocche del dorso (2-4-2-5-5-12-5-6-3-5). Era a causa dell’acido gastrico che le corrodeva la pelle quando si infilava le dita in gola per vomitare. Giada è bulimica (5-1-8). Subito dopo aver mangiato va in bagno a rimettere (6-4-4-8-2-2-5-1-8). Credo che lo faccia perché fu lasciata dal marito mentre era incinta, e da allora pensa che la causa dell’abbandono fu la sua pancia. La sua improvvisa grassezza (2-3-10-8). Giada è una ragazza problematica, e a me piacciono le ragazze problematiche (5-1-3-7-12-1-1-2-9-2-7-13). Penso che solo l’esperienza di un grande dolore sia in grado di farci raggiungere un livello di coscienza più alto. Le epilettiche, masochiste, disoccupate, psoriasiche, complessate, adottate, molestate dal padre, anoressiche o bulimiche io le preferisco alle altre. Mi sembra che abbiano uno spessore umano diverso, maggiore (2-6-3-7-3-8-5-7-8). Devo avere la sindrome di San Giorgio, quello che salva la fanciulla dal drago (4-5-2-8-2-3-7-6-3-5-2-9-3-5). Ho sempre pensato che fosse indizio di bontà d’animo, la mia passione per le ragazze problematiche. Andare in soccorso dei più deboli, cercare di salvarli (6-2-8-3-3-6). Ma forse è solo il tentativo di garantirmi un credito, di assicurarmi una gratitudine perenne che, invece, di lì a poco si trasformerà in risentimento. La gente si vendica quando gli fai i favori (2-5-2-7-6-3-3-1-6).
Con Giada è andata così, e in fondo era prevedibile, dato che si chiama Giada Dreghi. Undici lettere (6-7). Una disgrazia (3-9). Ciononostante mi sorprese lo stesso la sua fuga, e stetti da cani quando mi comunicò che mi lasciava per un pubblicitario più giovane di me. Ancora adesso, a distanza di tanti anni, la sogno. Immagino che torna con me, mi chiede scusa perché è pentita, ha capito lo sbaglio commesso (8-3-5-3-2-2-6-5-6-1-7-2-6-2-7-8). I sogni che la riguardano sono molto simili, partono dalla stessa matrice e poi evolvono con minime varianti. Tipo che mi citofona all’improvviso, si mette a piangere e mi supplica di riprenderla. Oppure che la incontro casualmente per strada, di ritorno da una festa con amici, mentre è importunata da degli stronzi che meno e metto in fuga. E’ che io riesco a sognare ciò che voglio (1-3-2-6-1-7-3-3-6). E’ un metodo che ho affinato col tempo (1-2-6-3-2-8-3-5). In pratica, nel dormiveglia mi impongo un canovaccio prefissato, che poi nella fase rem viene sviluppato con qualche aggiustamento necessario ad assicurare l’effetto sorpresa.
Ma Giada non è mai tornata da me, e da allora penso seriamente al suicidio (2-5-3-1-3-7-2-2-1-2-6-5-10-2-8). Dico seriamente perché in realtà al suicidio ci penso da sempre. Credo sia il mio destino (5-3-2-3-7). Leggendo Cioran, mi ero quasi convinto che quell’ossessione funzionasse come una sorta di esorcismo. Se pensi spesso ad ammazzarti, poi finisce che non lo fai (2-5-6-2-10-3-7-3-3-2-3). La tieni a bada, l’ossessione (2-5-1-4-1-10). Ecco, forse l’ossessione per i numeri, la passione per le donne problematiche, l’abitudine a ipotecare l’onirico, a organizzare meticolosamente gli aspetti pratici del mio suicidio, hanno tutte la medesima spiegazione. Controllare le componenti irrazionali della vita, imbrigliare tutto ciò che sfugge al normale controllo: l’amore, la morte, il linguaggio, i sogni. Decido io cos’è una parola, scelgo io cosa e chi sognare, di quale donna innamorarmi, quando e come morire. Giorni fa, leggendo dei versi di Caproni, avevo trovato perfino il biglietto d’addio giusto (6-2-8-3-5-2-7-5-7-7-2-9-1-5-6). Sobrio e ricco, letterale e simbolico allo stesso tempo (6-1-5-9-1-9-4-6-5). Per un citazionista come me sarebbe un’imperdonabile arroganza andarmene con delle mie parole. Delle parole nuove (5-6-5). Le parole non sono mai nuove (2-6-3-4-3-5). Sono numeri, e i numeri sono antichi come il mondo, appartengono a tutti e a nessuno (4-6-1-1-6-4-7-4-2-5). Ad ogni modo, il biglietto d’addio diceva: “Scendo. Buon proseguimento” (2-4-4-2-9-1-5-6-6-4-13). Era perfetto (3-8). Secco e non patetico (5-1-3-8). Peccato che proseguimento sia di tredici lettere (7-3-13-3-2-7-7).
(immagine tratta da http://panizzi.comune.re.it/eventi/1996/piero/IMAGE/PIERO-.GIF)