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TANA!

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Santi liberi tutti
di Manila Benedetto

Zero.
La prima volta era verde.
Non so di preciso come lo fosse diventata, ma la prima volta era verde. Un verde vivo, un verde abbagliante, potrei dire fosforescente.
Mi spostavo adagio, attratta da quel verde, eppure spaventata. Dove mi avrebbe portata non lo sapevo, ma non potevo far altro che seguirlo, per un atto di fede, che nient’altro mi rimaneva che aver fede in quel colore. In fondo il verde ha sempre rappresentato la speranza
E la prima volta Lecce era verde.

VibrisseLibri: la carta non è tutto, ma aiuta

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Pubblicando questo post, cogliamo l’occasione per salutare Giulio Mozzi, che inaugurando l’avventura di Vibrisse Libri, lascia la redazione di Nazione Indiana.

Come ho liquidato il Barracuda

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il liquidatoredi Mauro Baldrati

Il taxi corre per le strade lucide di pioggia. E’ sempre emozionante tornare a Londra, la città dove ho passato l’infanzia. Ormai non ho più una città mia, vivo sparso per l’Europa e l’America, per ragioni di sicurezza. Ma, se arrivassi alla vecchiaia – chissà, forse mi sarà concesso – vorrei che la città del riposo e della fine fosse Londra. Ci si perde a Londra, ci si nasconde, si dimentica il passato e non si pensa al futuro a Londra.

Attenzione poeti (il 23 a Milano)

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Milano, giovedì 23 novembre 2006, ore 21:00

Casa della Poesia
(Palazzina Liberty – Largo Marinai d’Italia)

La poesia di ricerca oggi in Italia

Incontro curato da Andrea Inglese

con
Alessandro Broggi, Gherardo Bortolotti, Marco Giovenale,
Andrea Raos, Massimo Sannelli, Michele Zaffarano.

C’era una volta il treno

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di Luca Carlucci

C’era una volta il treno.
Mezzo bello e popolare.
Incontravi gente, chiacchieravi.
Ti affacciavi al finestrino, socchiudendo gli occhi controvento.
Sedevi comodo, con un sacco di spazio, allungavi le gambe, allungavi il sedile, aggiustavi il poggiatesta, dormivi.
Guardavi rapito il diorama che scorreva incessante di là dai grandi finestrini.
Passeggiavi nei corridoi, mangiando un panino.
Anche nella canicola, non faceva mai davvero caldo. Tutti abbassavano i finestrini, le tendine svolazzavano impazzite, e tutto trasfigurava in un’atmosfera, a dispetto del clangore, ovattata, da sogno. I treni erano raramente puntuali ma frequenti, e in qualche modo arrivavi sempre.

Poesia per la domenica (« No te salves »)

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immagine-028.jpg Non ti salvare

Di Mario Benedetti

Traduzione di Martha L. Canfeld

Non rimanere immobile
sull’orlo della strada
non raffreddare la gioia
non amare indolente
non ti salvare ora
né mai

Impronte sull’acqua #2

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di Francesco Marotta

*

ti cammina sul braccio

la tenebrosa

sapienza di

chi regge lumi

al mattino, ti

acceca

il risucchio dell’olio

che sciama in vapore e

incendia il tuo

occhio

 

Filmmaker DOC 11

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Festival Internazionale FILMMAKER DOC 11
Milano 21/28 novembre 2006
SPAZIO OBERDAN ­ V.le Vittorio Veneto 2
ingresso libero
  

Oltre la morte

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di Gian Ruggero Manzoni

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La perdita di uno stato consente di acquistarne un altro, all’infuori che non si reputi l’Universo quale inutile custodia fisica chiusa e volta, esclusivamente, ad essere considerata un enorme ‘scherzo’ dovuto ad una mutazione di campo di una realtà ben maggiore, a sua volta parte di altro e altro ancora, e ciò all’infinito.” (Stephen Hawking)

Pare che l’Universo, e per il 90% è ormai assodato dalle rilevazioni fatte, si distenda in accezione piana e aperta (seppure incisa dal relativismo einsteniano), che il Big Crunch (il Grande Collasso) mai avverrà  (cioè che l’andamento ondulatoria di espansione e contrazione sia ipotesi non plausibile) e che invece più certa sia la fuga dell’insieme (materia luminosa e materia oscura) verso l’infinito, in attesa di un raffreddamento totale entropico (comunque risolvibile, per la vita, da un essere di quel futuro – si veda il tal senso l’ottimistica Teoria dell’Intelligenza Eterna di Dyson); oppure, quale ultima ipotesi,  resta quella del Big Rif, il Grande Strappo, la teoria che segue direttamente quella del Big Bang e che prevede una continua accelerazione dell’espansione del Cosmo fino ad un punto critico che porterebbe alla disintegrazione dell’insieme. Se ciò dovesse essere, l’Universo verrà alla fine frantumato.

Ha ragione la mia sposa

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di Franco Arminio

La mia sposa si chiama Antonietta e fa la maestra elementare come me. Qualche volta che le parlo delle persone che conosco nell’ambiente letterario la mia sposa non sembra molto contenta. Io le dico di quello che non ha risposto alla mia mail o di quello che doveva telefonarmi e non lo ha fatto. Insomma, mi lamento. La mia sposa vorrebbe che invece di pensare a queste cose io aiutassi i figli nei loro compiti scolastici. Questa è una cosa curiosa: ho le tipiche nevrosi degli sfaccendati e degli scapoli, ma io ho due figli adolescenti e non sono affatto sfaccendato. Perché sto scrivendo questo testo?

Da “Degli angeli minori” (2)

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immagine-070.jpgimmagine-070.jpg di Antoine Volodine

Traduzione e notizia di Andrea Inglese

15. Babaïa Schtern

Bisogna salire le scale a piedi, l’ascensore è rotto, il motore è stato incendiato negli scantinati una trentina d’anni fa da non si sa chi, degli erranti o dei soldati, forse involontariamente o forse per malignità, o forse perché certi si sono immaginati che vi fosse una guerra o una vendetta in corso e che era in quel modo che la si vinceva o la si appagava. Gli odori d’olio bruciato e i vapori radioattivi si sono dispersi e l’edificio è nuovamente salubre. Abito al quattordicesimo piano, il meno devastato.

A mia moglie

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di Harold Pinter

Ero morto e ora vivo

Mi prendesti la mano

Ciecamente morii

Mi prendesti la mano

E se fossimo conservatori?

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Nella foto, George Orwell, An anarchist Tory
da
Jean-Claude Michéa, L’insegnamento dell’ignoranza (Metauro, Pesaro 2004, trad. di Francesco Forlani e Alessandra Mosca)
«Quel che ci spinge a ritornare indietro è tanto umano e necessario quanto quello che ci spinge ad andare avanti».
Pier Paolo Pasolini

L’ipotesi capitalista, nel senso in cui l’abbiamo definita, non è che una delle molteplici varianti della metafisica del Progresso che è comune a tutti gli ideologi modernisti. Alla stregua delle altri varianti, pretende anch’essa che la Storia abbia un senso e che il percorso prescritto agli uomini li porti inesorabilmente- per usare il vocabolario di Saint-Simon e di Comte – dallo stato teologico-militare1 allo stato scientifico- industriale. Quel che costituisce la differenza specifica dell’ipotesi capitalista è unicamente l’idea che il principio determinante della Storia sia, in ultima istanza, la dinamica dell’economia e, di conseguenza, il progresso tecnologico, in quanto condizione materiale fondamentale di tale dinamica.

Poetto Galli

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pischedda.jpg di Bruno Pischedda

[episodio tratto da Carùga blues, Casagrande, 2003, che molto mi piacque, e perciò ho chiesto ed ottenuto da Bruno la possibilità di pubblicarlo qui su NI. Rammento che di Bruno Pischedda è appena uscito questo libro. ]

La sede dei comunisti stava all’estrema punta nordorientale del paese, come quella dei socialisti del resto. Qualche decina di metri oltre c’era la piazza Primo Maggio, il tavolato sul quale si sgranava e si batteva il mais, a settembre, dove si installava la giostra per la festa del santo patrono ma anche il tendone del Circo Williams: un’esile compagnia di guitti, muniti di una vecchia leonessa, di pochi cavalli maremmani, che pure, appena dodicenne, Clara aveva visto bene di seguire dopo l’ultima rappresentazione. Era il sessantanove, il settanta, la cronaca nera già marciava a tutto vapore, e Clara era sparita. Dramma generale. Il padre, la madre, il parroco, il vicinato, parenti e affini di ogni ordine e grado erano entrati in uno stato di subbuglio ansioso. Il panico si diffondeva e mieteva vittime nei cortili, tra i benpensanti, non tra i carabinieri di Senago, che a colpo sicuro erano andati a prelevare la fuggitiva prima che scendesse la notte e scattassero le denunce per ratto di minore.

Le parole

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di Marino Magliani

Non so più chi mi ci avesse indirizzato, era da giorni che cercavo un lavoro. Vagavo per le strade, senza strategia, mosso, più che altro, come avviene in questi casi, da decisioni che non erano più le mie, da ragionamenti e scelte che non mi appartenevano più da tempo. Una rete di consigli mi spostava da una ditta all’ altra, in pratica entravo da un fabbro, da un falegname, dal fruttivendolo e siccome la risposta era sempre no, finivo per chiedergli se sapeva di qualcosa in giro.

Contromafie

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self-control (4-7)

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 di Sergio Garufi

Io conto le lettere delle parole (2-5-2-7-5-6). Di quante lettere è formata ogni parola (2-6-7-1-7-4-6). Lo faccio da sempre, mentalmente (2-6-2-6-11).

Le poche persone cui l’ho detto mi hanno preso per pazzo, per un autistico, e mi chiedono tutte il motivo (2-5-7-3-1-2-5-2-5-5-3-5-3-2-9-1-2-8-5-2-6). Non c’è un motivo particolare (3-1-1-2-6-11). E’ un’abitudine (1-2-9). Poi, certo, ho le mie preferenze (3-5-2-2-3-10). Diciamo che non amo le parole fatte di numeri primi (7-3-3-3-2-6-5-2-6-5). Di tredici lettere, per esempio (2-7-7-3-7). Già la parola tredici è orrenda (3-2-6-7-1-7). Sono sette lettere (4-5-7). Ma anche sette è brutta (2-5-5-1-6). E’ che non sono divisibili (1-3-3-4-10). O meglio, sono divisibili solo per uno o per se stesse. Divisibili è una parola stupenda (10-1-3-6-8). Con la sua struttura semplice, consonante-vocale-consonante-vocale; sempre la stessa vocale. Il massimo è una parola di dodici lettere (2-7-1-3-6-2-6-7). Mi trasmette una sensazione di ordine e di armonia (2-9-3-10-2-6-1-2-7). La puoi dividere per due, per tre, per quattro, per sei (2-4-8-3-3-3-3-3-7-3-3). Il dodici è il tre trascendente che moltiplica e reitera trinitariamente il quattro dell’immanenza. Il dodici come pienezza, il dodici come consesso di ogni eccellenza, di ogni completezza. Risarcimento definitivo dopo l’undici del peccato, “giacché questo numero infrange la barriera del dieci, che è la cifra del decalogo, e il peccato è l’infrazione della legge”. Dodici come limite che non si deve oltrepassare, confine dopo la moltiplicazione oltre il quale c’è l’indistinto, l’incontrollata proliferazione. Dodici come gli apostoli (6-4-3-8). Dodici come le tribù di Israele, i mesi dell’anno, le ore del giorno e della notte. Dodici che Olivier Beigbeder definisce “il numero delle relazioni con il mondo”. Dodici come la somma delle lettere che compongono il mio nome e cognome (6-4-2-5-5-7-3-10-2-3-4-1-7). 

In verità, la mia passione per i numeri applicata al linguaggio ha poco o niente di metafisico. E’ una sorta di oroscopo personale (1-3-5-2-8-9). Una parola divisibile porta bene, è di buon augurio (3-6-10-5-4-1-2-4-7). Il massimo del massimo è una parola di dodici lettere eterogrammatica, cioè con ogni lettera diversa dall’altra. E poi forse c’entra pure la mia idiosincrasia per la soggettività (1-3-1-5-4-2-3-13-3-2-12). La matematica è il linguaggio dell’universo (2-10-1-2-10-4-8). Il grande fascino che esercita la sua algida e rassicurante oggettività è frutto di un mondo dal quale è escluso l’io. Vedere nel linguaggio dei numeri equivale a rigettare le interpretazioni personali, i bizantinismi semantici. E’ il linguaggio nudo e crudo, lo scheletro del linguaggio (1-2-10-4-1-5-2-9-3-10). 

In pittura ogni artista si riconosce da alcuni dettagli anatomici: le mani paffute di Leonardo, quelle venose di Pedro Berruguete, gli artigli ossuti di Carlo Crivelli e Cosmè Tura. Ma le mani sono composte dallo stesso numero di ossa (2-2-4-4-8-5-6-6-2-4). Ecco, io vedo le ossa, ciascun osso (4-2-4-2-7-4). E amo le parti anatomiche costituite da un numero pari di ossa (1-3-2-5-10-10-2-2-6-4-2-4). 

Le mani di Giada erano scarnificate sulle nocche del dorso (2-4-2-5-5-12-5-6-3-5). Era a causa dell’acido gastrico che le corrodeva la pelle quando si infilava le dita in gola per vomitare. Giada è bulimica (5-1-8). Subito dopo aver mangiato va in bagno a rimettere (6-4-4-8-2-2-5-1-8). Credo che lo faccia perché fu lasciata dal marito mentre era incinta, e da allora pensa che la causa dell’abbandono fu la sua pancia. La sua improvvisa grassezza (2-3-10-8). Giada è una ragazza problematica, e a me piacciono le ragazze problematiche (5-1-3-7-12-1-1-2-9-2-7-13). Penso che solo l’esperienza di un grande dolore sia in grado di farci raggiungere un livello di coscienza più alto. Le epilettiche, masochiste, disoccupate, psoriasiche, complessate, adottate, molestate dal padre, anoressiche o bulimiche io le preferisco alle altre. Mi sembra che abbiano uno spessore umano diverso, maggiore (2-6-3-7-3-8-5-7-8). Devo avere la sindrome di San Giorgio, quello che salva la fanciulla dal drago (4-5-2-8-2-3-7-6-3-5-2-9-3-5). Ho sempre pensato che fosse indizio di bontà d’animo, la mia passione per le ragazze problematiche. Andare in soccorso dei più deboli, cercare di salvarli (6-2-8-3-3-6). Ma forse è solo il tentativo di garantirmi un credito, di assicurarmi una gratitudine perenne che, invece, di lì a poco si trasformerà in risentimento. La gente si vendica quando gli fai i favori (2-5-2-7-6-3-3-1-6). 

Con Giada è andata così, e in fondo era prevedibile, dato che si chiama Giada Dreghi. Undici lettere (6-7). Una disgrazia (3-9). Ciononostante mi sorprese lo stesso la sua fuga, e stetti da cani quando mi comunicò che mi lasciava per un pubblicitario più giovane di me. Ancora adesso, a distanza di tanti anni, la sogno. Immagino che torna con me, mi chiede scusa perché è pentita, ha capito lo sbaglio commesso (8-3-5-3-2-2-6-5-6-1-7-2-6-2-7-8). I sogni che la riguardano sono molto simili, partono dalla stessa matrice e poi evolvono con minime varianti. Tipo che mi citofona all’improvviso, si mette a piangere e mi supplica di riprenderla. Oppure che la incontro casualmente per strada, di ritorno da una festa con amici, mentre è importunata da degli stronzi che meno e metto in fuga. E’ che io riesco a sognare ciò che voglio (1-3-2-6-1-7-3-3-6). E’ un metodo che ho affinato col tempo (1-2-6-3-2-8-3-5). In pratica, nel dormiveglia mi impongo un canovaccio prefissato, che poi nella fase rem viene sviluppato con qualche aggiustamento necessario ad assicurare l’effetto sorpresa. 

Ma Giada non è mai tornata da me, e da allora penso seriamente al suicidio (2-5-3-1-3-7-2-2-1-2-6-5-10-2-8). Dico seriamente perché in realtà al suicidio ci penso da sempre. Credo sia il mio destino (5-3-2-3-7). Leggendo Cioran, mi ero quasi convinto che quell’ossessione funzionasse come una sorta di esorcismo. Se pensi spesso ad ammazzarti, poi finisce che non lo fai (2-5-6-2-10-3-7-3-3-2-3). La tieni a bada, l’ossessione (2-5-1-4-1-10). Ecco, forse l’ossessione per i numeri, la passione per le donne problematiche, l’abitudine a ipotecare l’onirico, a organizzare meticolosamente gli aspetti pratici del mio suicidio, hanno tutte la medesima spiegazione. Controllare le componenti irrazionali della vita, imbrigliare tutto ciò che sfugge al normale controllo: l’amore, la morte, il linguaggio, i sogni. Decido io cos’è una parola, scelgo io cosa e chi sognare, di quale donna innamorarmi, quando e come morire. Giorni fa, leggendo dei versi di Caproni, avevo trovato perfino il biglietto d’addio giusto (6-2-8-3-5-2-7-5-7-7-2-9-1-5-6). Sobrio e ricco, letterale e simbolico allo stesso tempo (6-1-5-9-1-9-4-6-5). Per un citazionista come me sarebbe un’imperdonabile arroganza andarmene con delle mie parole. Delle parole nuove (5-6-5). Le parole non sono mai nuove (2-6-3-4-3-5). Sono numeri, e i numeri sono antichi come il mondo, appartengono a tutti e a nessuno (4-6-1-1-6-4-7-4-2-5).  Ad ogni modo, il biglietto d’addio diceva: “Scendo. Buon proseguimento” (2-4-4-2-9-1-5-6-6-4-13). Era perfetto (3-8). Secco e non patetico (5-1-3-8). Peccato che proseguimento sia di tredici lettere (7-3-13-3-2-7-7).

(immagine tratta da http://panizzi.comune.re.it/eventi/1996/piero/IMAGE/PIERO-.GIF)

Racconto bianco

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di Andrea ‘mubi’ Brighenti

Il confine più importante è quello tra bene e male. Suor Claudia non si stanca di ripetermelo, e anche quando non parla ce l’ha scritto in faccia costantemente. Le suore sono così ottuse, hanno una pazienza che ti fa saltare i nervi. Una pazienza da bue, una lentezza da bue, una pesantezza da bue. Odio le suore. A volte mi verrebbe voglia di tirarmi giù le mutande e dire a suor Claudia: “E questo è bene o è male?”. Ma so già cosa succederebbe: mi darebbe una sberla da farmi schizzare contro la parete. Significa che è male. E il male fa male. Come una sberla.

Le narrazioni della paura. Un anticorpo.

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di Christian Raimo

Le narrazioni della paura. Le narrazioni della paura sostituiscono, surclassano, invadono, succhiano lo spazio delle narrazioni del male. Ne costituiscono la versione commerciale, si potrebbe dire. Cosa sono queste narrazioni della paura? Grossolanamente, delle narrazioni che invece di scomporre, destrutturare, anatomizzare la sintesi che operano i luoghi comuni, ne sfruttano e ne amplificano comodamente la potenza emotiva. Viviamo rappresi tra queste sintesi, subiamo la scontatezza semantica di formule come “terrorismo islamico”, “scontro di civiltà”, “masse di immigrati”, “alienazione giovanile”. Per questo trovare visioni, autori che – nel loro modello poetico – tentino di rovesciare questo meccanismo di riduzione estetica è assai salutare.

Miracle! di Lakis Proguidis (trad. Cris Altan)

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corda_indiana.jpg Ah, quel cartellone pubblicitario alla fermata dell’autobus… ho rischiato di esser vittima di un arresto cerebrale. Invento questo termine medico per chiarire che nel mondo attuale il cervello può essere soggetto a trombosi letali. Ma sì, da un momento all’altro la centrale del pensiero può, come il cuore, rifiutarsi di funzionare. In questi casi il corpo continua a vivere normalmente: sente, beve, inghiotte, digerisce, scoreggia, fa l’amore impeccabilmente, si stanca e dorme. Ma il raziocinio va in tilt. Bloccato. Non si tratta di follia, e nemmeno di un delirio. È peggio. È come se d’improvviso uno spesso sipario ci calasse dentro il cranio, separandoci dalle nostre facoltà critiche. Tremendo.