Pubblico con colpevole ritardo questa lettera aperta di Lucio Del Corso a Eugenio Scalfari in seguito al suo articolo del 19 novembre su “Repubblica”. Mi sembrava tuttora più che attuale.
Caro Scalfari,
quando ho letto il suo articolo di domenica, non ho potuto fare a meno di provare un certo stupore: non tanto per il tentativo di giustificare, con una serie di sapienti giri di parola dal sapore vagamente filosofico, un attacco a leader sindacali (lei citava Guglielmo Epifani, ma in piazza il 17 novembre c’erano anche rappresentanti di altre organizzazioni, oltre alla CGIL), al presidente della CRUI, ai direttori dei più importanti istituti di ricerca italiani, a un paio di Nobel che si sono schierati con loro, a centinaia di presidi di facoltà e di direttori di dipartimenti inviperiti, e a migliaia di ricercatori strutturati e a tempo, per tacer delle centinaia di migliaia di precari sempre più spremuti e in bolletta, che erano scesi in piazza prima di loro: tutti accomunati, nel suo sermone, dalla spiacevole tendenza a valutare il proprio particulare più della casa comune democratica in cui pure tutti viviamo.