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La Voce, la Scrittura

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di Marco Rovelli

 Questo scrittore ha una sua voce, si dice. E lo si dice appropriatamente, a mio parere. Nel canto, decisiva è l’intenzione. Ovvero, il come la voce è portata. Il come della voce: un come che fa meraviglia. Un non-so-che che fa la differenza.

In auto, ascoltiamo – velocemente – un cd di quelli comprati a un euro e novanta. Canzoni degli anni quaranta, Nilla Pizzi, Flo Sandons, eccetera. Poi, un cd di Rosa Balistreri. Ed è tutta un’altra cosa. Rosa, meravigliosa cantante della tradizione popolare siciliana, nata nella durezza della miseria, Rosa che porta nel suo canto la pietra e il sole.

Pasquale Panella

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richardiii1.jpgtratto da Riccardo in sé
Riccardo Terzo, da Shakespeare e da se stesso

Il testo che segue è un testo in movimento. La versione che qui pubblichiamo è leggermente differente da quella letta al festival della filosofia di Roma all’interno del ciclo di dialoghi, in stabile fluire, curato da Lucio Saviani con Pasquale Panella, Paolo Rosa (studio azzurro), Domenico Zampaglione e Gino Ventriglia. La prima parte è stata pubblicata su Sud n°7 e su NI. Scrive Pasquale Panella a Lucio Saviani: Il testo è mobile, cambia a seconda del luogo, del clima…
Quale inverno?… A presto Pasquale

La tragedia sta tutta nei nomi…
Questi nomi, poi spettri…
E io faccio male? Io faccio i nomi…
Quei nomi portati come un peso
sulle spalle di chi risponde a quei nomi
Questi sono i miei delitti: i loro nomi…

L’inventore della verità

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Piero Sorrentino intervista Domenico Scarpa

Racconti, ritratti, poesie, polemiche recita il sottotitolo di Cinematografo (pagg. 506, euro 14, Sellerio), ultima tra le succose pubblicazioni soldatiane che la benemerita Sellerio sta sfornando da qualche anno a getto continuo. Curata da Domenico Scarpa, l’antologia di scritti cinematografici di Mario Soldati si presenta, per dirla con l’aletta firmata da Salvatore Silvano Nigro, come uno straordinario “romanzo involontario”. Un libro nelle cui maglie resta impigliata la voce, e la scrittura, di uno dei maggiori narratori del Novecento.

Ti sei inventato un libro che, fin dall’apertura di prefazione, dichiara quello che non è: non è “un volume documentario”, “non si propone di ricostruire una filmografia”. Che cos’è Cinematografo allora?
Cinematografo è un libro di letteratura che non è stato materialmente allestito dal suo autore. Un libro apocrifo, come dico alla fine di quello scritto introduttivo. Un libro nel quale Soldati ci lascia leggere la propria vita attraverso il cinema e il suo amore-odio per il cinema. È un libro di passioni, di intemperanze, di elogi, di risentimenti, di soliloqui, di polemiche, di memorie. Ma soprattutto è un libro di racconti, perché Soldati attacca a raccontare non appena mette la penna su un foglio.

Vita da prete. 3 – il canto del gallo

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di Fabrizio Centofanti

Prima o poi ti fanno la domanda: perché la  vocazione? È imbarazzante: dovresti prendere tempo, spiegare, entrare nei dettagli, ripercorrere momenti che marchiarono a fuoco l’esistenza. Invece sintetizzi e circoscrivi, con una sorta di pudore che sottintende una sottile riserva: riuscirò mai a farmi capire?

Portraits (Orson Welles)

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welles.gif di
Yvonne Baby
traduzione di Francesca Spinelli

Ho conosciuto Orson Welles quando era triste. Naturalmente era ben attento a indossare tutte le sue maschere, cambiandole a seconda della compagnia, recitando, inesauribile e autoironico, i ruoli dei suoi ruoli. Rideva, sopra le sue mani infantili e le bollicine di Dom Pérignon che offriva a tutti, bevendo acqua, aureolato di una tristezza assoluta e decisiva. Tristezza del cinema che finisce e non finisce – fenice che risorge dalle proprie ceneri -, tristezza della vita che lo tradisce, della malattia che lo espone e gli toglie le forze. Eppure resiste, e vuole girare ancora, resiste ma muore sulle orme di re Lear, muore, come scrive Shakespeare, “sulle ombre del suo dolore” (“the shadow of sorrow”).

Statistiche per ottobre novembre 2006

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Il traffico sulle pagine web di Nazione Indiana a ottobre e novembre è cresciuto ancora. Ecco nel dettaglio i dati, ottenuti con Google Analytics (per ogni spiegazione su termini e metodo, vedi la documentazione).

Le pagine viste (pageviews) totali nel mese di novembre sono state 152.742. Qui sotto l’andamento grafico:

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Parlare sottovoce

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di Giorgio Vasta 

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Qualche sera fa ero al cinema con una mia amica romana, una ragazza che ha una cadenza riconoscibilissima, romana in ogni parola, romana anche quando dice sì o no, romana nelle sillabe. Durante il film la mia amica ha fatto un paio di commenti e, sottovoce, la sua fortissima cadenza romana era scomparsa (mi sono persino girato verso di lei, mentre mi parlava all’orecchio, perché mi sembrava non fosse più lei a parlarmi, come se nel buio fosse avvenuta una sostituzione, uno scambio di persona e di voce, e quindi nel buio guardavo verso di lei e le guardavo la bocca e le guardavo in bocca cercando di riconoscere le parole romane che però all’improvviso non c’erano più).

Un deficit teorico?

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di Christian Raimo

Dice: la letteratura della precarietà. Dice anche: il cinema, il teatro, l’arte che si occupano della precarietà. Si torna a parlare di lavoro, dice. Un bel numero di libri, di iniziative culturali, di spettacoli, di film che parlano di cosa sta diventando il lavoro oggi, della condizione sofferente, sempre più pervasiva, sempre meno provvisoria, di una generazione che si definisce, senza troppa fatica, precaria.
Si potrebbe dire che forse è sempre stato così. È sempre andata così nel mondo di chi pensava che i rapporti di produzione influenzassero, determinassero gran parte se non tutto il resto delle forme di vita. Da Marx in poi pare, questo, un dato acquisito. Finanche nella Costituzione per dire, e proprio in cima. Gli scrittori, gli intellettuali, gli artisti hanno sempre parlato, si sono sempre interrogati sul rapporto tra il lavoro e la vita. Che cosa c’è di diverso oggi?

L’impronunciabile parola “avanguardia” (3)

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di Andrea Inglese

(La seconda puntata è qui)

Potere dell’impotenza
Nella storia di questa “perdita di potere” (che è qualcosa di diverso della semplice perdita dell’aureola di cui parlava Baudelaire), le avanguardie, e la stessa nostra più recente neovanguardia, sono state degli episodi cruciali. Prendiamo quest’ultima. In essa, si avvertono due momenti: uno è quello di lucido disincanto nei confronti delle prerogative legate al ruolo di intellettuale-letterato. (“Il «mestiere» del poeta adesso è quello di negare – mediante il proprio lavoro – quella situazione di privilegio che i poeti di ieri, facendo testamento, hanno lasciato in eredità ai poeti di oggi.” In Poesia apoesia e poesia totale, di Adriano Spatola, apparso in “Quindici”, n. 16, 1969.) Il secondo momento, mi sembra legato a una sorta di non consumata volontà di potenza o, in termini più prosaici, a un’esigenza di riscatto. L’intellettuale-letterato si trova sospeso tra due universi, due disparate e ambigue clientele, la borghesia e il partito dei lavoratori.

L’alba dell’uomo digitale: linguaggio cercasi

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 di Simone Ciaruffoli
 
Scimmie tecnologiche (l’utente)

Si presuppone che una rivista di cinema orbiti sul nucleo di cellulosa del film, tralasciando gli itinerari segnati dal reale, o quanto meno, sfiorandoli soltanto per un processo osmotico che il cinema sempre accorda con la vita. In poche parole: pensiamo di occuparci dell’esistenza attraverso il film. Questo per dire che oggi, parlare di telecamere digitali, in realtà, è come permettersi di rubare il lavoro alla sociologia o all’antropologia moderna. Il digitale è ancora qualcosa che intrattiene un forte rapporto con la vita prima che con il cinema, e si sposa con il quotidiano vivere però senza il possesso di un linguaggio.

 

Montagne russe tra musica ed orrori cinematografici

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di Franz Krauspenhaar

Ascolto per l’ennesima volta, di Erik Satie, le tre Gymnopédies del 1888,  delle quali la prima viene appiccicata spesso a facile corredo d’immagini televisive documentarie, come si fa – quando si parla di guerra, olocausti e stragi – con l’Adagio for strings di Samuel Barber.

Il peluche di Cornel

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di Marco Rovelli

Al secondo piano del casolare di via Malvezza c’è la stanza di Cornel. Un lenzuolo arancione alla parete per occultare quel troppo bianco, e troppo sporco. Uno specchio ai piedi del letto, e nell’angolo opposto una televisione. Stava guardando Il gladiatore. No, non mi disturbi, dice, L’ho già visto tante volte. La moglie resta distesa sul letto, è arrivata dalla Romania solo da tre mesi, ancora non parla italiano. Sta quasi tutto il giorno qui, a vegliare, in questo casolare occupato da rom che da anni occupano campi e casolari bolognesi e regolarmente vengono sgomberati.

“Per una critica futura” n° 2

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E’ on line il N.2 di Per una Critica futura
quaderni di critica letteraria
gennaio 2007
www.cepollaro.it/poesiaitaliana/CRITICA/crit002.pdf
a cura di Andrea Inglese

Interventi
Andrea Inglese, Editoriale.
Biagio Cepollaro, La poesia letta. Cinque incontri
di poesia: Alessandro Broggi, Florinda Fusco, Giuliano Mesa,
Italo Testa, Michele Zaffarano
.
Stelvio di Spigno, Due testi e questioni di trasparenza.
Marco Giovenale, Due letture di Due sequenze. Su Massimo Sannelli.
Andrea Inglese, Come è scarna la lingua della gioia.
Francesco Marotta, Su Lavoro da fare di Biagio Cepollaro

Le frontiere del romanzo nel XXI secolo ovvero l’Europa reinventata dall’America

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di Miguel Gallego Roca

A gennaio 2007 uscirà un numero monografico di «Nuova prosa» (46), rivista letteraria diretta da Luigi Grazioli, consacrato alla nuova narrativa latinoamericana. Pubblico qui un estratto di uno scrittore e critico letterario spagnolo che ne indica alcune problematiche.

La frontiera fantasma dell’Europa

Le mani sui ragazzi di Locri

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di Riccardo Orioles, tratto dalla Catena di Sanlibero n. 347.

Tanti anni fa il Giornale di Sicilia – politicamente vicino ai cugini Salvo – ebbe la buona idea di pubblicare i nomi e i cognomi di tutti gli esponenti del Coordinamento Antimafia di Palermo, corredati dai rispettivi indirizzi di casa e da ogni altra utile indicazione. Aggiungendo che in realtà questi quattro fanatici – di cui vedi elenco nominativo – non rappresentavano nessuno e che il movimento antimafia in realtà non esisteva.

Adesso, il presidente del consiglio regionale calabrese, che si chiama Giuseppe Bova e che purtroppo è diessino (torneremo su questo particolare) sostiene che il movimento dei ragazzi di Locri, “Ammazzateci tutti”, in realtà non esiste ed è composto solo da quattro estremisti fanatici che non contano niente. E ne dà, ovviamente, i nomi: il primo è Aldo Pecora, che è un ragazzo di vent’anni e ha avuto il grave torto di fare alcune domande pubbliche sulla personale correttezza di alcuni politici calabresi.

La possibilità di un’isola

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houellebecq.jpg di Sergio Garufi

L’impressionante battage pubblicitario che precedette l’uscita de La possibilità di un’isola, l’ultimo attesissimo romanzo di Michel Houellebecq, se da un lato contribuì in modo considerevole a favorirne la diffusione presso il grosso pubblico, dall’altro indispettì diversi critici letterari, costretti a confrontarsi meno con un libro che con un fenomeno mediatico e di costume. La tentazione di rimandarne la lettura a polemiche sopite, o addirittura di liquidarlo preventivamente con la celebre battuta di Scheiwiller (“non l’ho letto e non mi piace”) sulla base delle sole anticipazioni giornalistiche, sedusse molti lettori di professione. Si sarebbe però fatto un torto non tanto all’opera quanto all’autore, uno dei pochi ancora in grado di confutare la snobistica equazione secondo la quale consenso uguale a disvalore.

Padre di guerra (poemetto con innesto)

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di Franz Krauspenhaar

(con l’innesto di Cancellare le tracce di Thomas Brasch – trad.dal tedesco di Gio Batta Bucciol)

Si pialla nella trincea
il suo sorriso triste
combattente, sorriso
d’ombra scolpita
nella buca;
si scaglia la mano stanca
e senza perché spara
a nord, dove poiane – planano
e lontano sfondano – i tiger
le sentinelle accendono sigarette
le ambulanze scaricano cadaveri
la guerra si spande, come melma
che s’aggroviglia nella steppa incendiata;

Anteprima Sud n°8 / Giancarlo Alfano

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A solo per ciabatte. Per Beckett nei suoi 100 anni
di
Giancarlo Alfano

«La violenza delle domande e dei dubbi si è fatta via via, per lui, più amara e radicale […] Ma a tanta violenza si contrappone, nella resa espressiva una rarefazione luminosa, un battito secco e veloce che sembrano il contrario del buio, il contrario dell’angoscia. C’è, in questo paradosso apparente, qualcosa di stupendamente senile. Come se, con la lungimirante impazienza dei grandi artisti da vecchi […] avesse capito e deciso che non c’è più tempo, né per lui né per noi, da dedicare ai convenevoli e ai fronzoli». Sono, queste, le parole con cui Giovanni Raboni salutava l’uscita del Conte di Kevenhüller di Giorgio Caproni; era il 1986, il poeta livornese, nato nel 1912, aveva settantaquattro anni.

L’impronunciabile parola « avanguardia » (2)

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immagine-046.jpg Di Andrea Inglese

(La prima puntata è qui)

Le tecniche
“Ma che mondo e mondo !” sibilava al telefono “che vai cercando? Le avanguardie incarnano tutto quanto di artisticamente rilevante si è fatto nel Novecento, e gli altri al traino, come affannati succhiaruote, obsoleti già prima di scrivere un rigo! È di questo che dobbiamo parlare: la rottura della rappresentazione, la breccia, la faglia, il buco, ma dentro nel foglio! E la sintassi: disgregata, dissolta, i frammenti, il caos, ma tutto nei procedimenti, nelle tecniche… Le avanguardie hanno rappresentato il laboratorio delle tecniche più avanzate di comunicazione, tutti ne siamo eredi, e debitori.” Poi utilizzando una vecchia tecnica dadaista, tambureggiò sui tasti, frantumando la mia replica sotto una pioggia di beep e riattaccò.

No Reply, No Party!

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Domenica 17 DICEMBRE dalle ore 17:30
AL GOGANGA
In via Cadolini 39 (Milano) 

Nuovo cinema paraculo / L’infinita infanzia

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di Christian Raimo

Asserisce uno speciale su MTV che Sofia Coppola è la più grande regista giovane del mondo. Può sembrare esagerato, ma tutto sommato è un’affermazione abbastanza convincente. Se consideriamo, come spesso ci accade, il termine “mondo” come sinonimo di quel luogo ridisegnato dalle fondamenta dall’immaginario americano (leggi hollywoodiano), Sofia Coppola è sì la più grande regista vivente. Perché forse è oggi la regista che più di chiunque altro è riuscita con i suoi tre film a trasferire sullo schermo – in maniera assolutamente coerente e capillare, didattica quasi – l’autorappresentazione che il famigerato Impero americano ha di se stesso.