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Da: Partenope

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di Antonella Pizzo 

I

alla prima piaga ci prostrammo
in ginocchio
un po’ distanti per non toccare

 

soglia d’assalto ripulsa in estasi
la santa è spiga vuota  avena sfatta
oasi invertita sulle strade
confusa e sui raccordi sovrapposta
a peli e ciglia sporche consumate
di vene cinta
interseca le  braccia
si nutre a ghiande
che ai porci tanto piacciono

mare / mare

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foto di Beniamino Servino   servino.JPG 

di Davide Vargas

è morto anche il mare
(Garcia Lorca)

26 dicembre 2006
Trentola – Ischitella – Baia Verde – Mondragone
ore 10 – 14
temp. 15°
 

Una nuvola di polvere sollevata dagli autotreni rimane sospesa nell’aria biancastra.
Quando ricade sulla malerba dei cigli, ricoperta da un telo di plastica nero appare immobile la lunga massa della discarica.

a day in the life

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Questa è una errata corrige. Per ragioni a me misteriose sono saltate un paio di righe del pezzo scritto da Dario Borso qualche post più sotto. D’accordo con l’autore ripristino il pezzo, con un nuovo cappello introduttivo, e lo integro del finale che dapprima mancava.

G.B.

La sua vita era senza retorica.
WV

Un po’ di autoreferenzialità

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di Christian Raimo

[condivido qui l’intervento molto a braccio che ho fatto al piccolo convegno “La Tribu dei blog” un paio di mesi fa a Foggia. Al convegno hanno partecipato Giulio Mozzi, Michele Trecca, Ivano Bariani, Manila De Benedetto]

Provo a dire delle cose… A me viene in mente questa cosa qui. Negli ultimi anni, nel decennio berlusconiano, c’è stata evidentemente una sorta di diaspora, quasi sradicazione, evaporazione delle professionalità. Questo da una parte. Perché da un’altra c’è stato un fenomeno di disgregazione di quelle che sono state le palestre collettive. Provo a declinare un po’ meglio questo discorso. Nel senso che noi abbiamo assistito dalla parentesi tangentopoli in poi alla possibilità della politica di essere delegata a non professionisti. Questa cosa era palese in politica, è palese oggi in parecchi campi dell’attività italiana: si può fare gli industriali essendo soltanto degli arricchiti, si può fare comunicazione essendo persone disinvolte, si può in qualche modo improvvisare una professionalità.

da “Canopo”

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di Gherardo Bortolotti

2.23
mentre aspetti che il telefono, impostato sul dialing ad impulsi, componga il numero del server, che ti connette, come la chiave di un’arcata di cattedrale, alla rete, simile, nel suo universo di punti funzionali, ad una costellazione di agganci numerici, secondo una formula combinatoria di ottetti, consideri l’estensione della superficie del tuo disco fisso, attraverso la quale viaggia la testina del lettore, cercando nei boulevard dei solchi, blocco dopo blocco, in una città circolare ed ordinata, le frazioni dei file che raccolgono la tua vita e le tue opere, decidendo che il silenzio elettromagnetico che l’attraversa, intrecciato dal crepitio ultrasonico delle scariche, può essere il posto dove riposare in pace e che, se potessi, vorresti essere inumato in sequenze di bytes.

Le Muse mortali

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di Linnio Accorroni

Le gambe di Madeleine Zeffa Biver erano bellissime, sicuramente più di quelle di Dora Markus: nella foto in bianco e nero che, nel Corriere della sera di sabato scorso, correda l’articolo sulla sua scomparsa la vediamo incedere voluttuosamente e sbarazzina per strada. Indossa una maglia bianca a maniche lunghe, un paio di calzoncini scuri ed attillatissimi, scarpe bianche e basse: è elegante senza affettazione, né istrionismo alcuno, di quella eleganza che solo la semplicità pura consente.

 

Lingua Sovrana – 3 / (Non)Violenza e Sacrificio (la Notte e l’Esposizione della Lingua)

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di Marco Rovelli

A. Ovunque regnano “gentilezza d’animo, simpatia, amor di pace, fiducia e tutto quanto si potrebbe aggiungere ancora” – scrive Benjamin [26] -, là è possibile la sospensione del rapporto mezzi-fini – e gli uomini si possono affidare a ‘mezzi puri’. La lingua dell’amicizia, allora, è l’unico luogo dove è possibile risolvere i conflitti in maniera non violenta. La conversazione è “l’esempio più calzante” di questi mezzi puri.

Una poesia edita e tre inedite

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di Annalisa Manstretta

Sono rientrata in casa stasera
venivo da un po’ più a sud
e c’era freddo.
Come sono grandi le stanze e silenziose.
Ho acceso il nostro albero:
si è illuminato come un dovere.
Fa ancora freddo, c’è questo vento gelato
che non ti fa guarire.
È l’ora che quando ci sei tu
più o meno si va a letto.
Dunque andrò a dormire
perché anche le abitudini
fanno una vita insieme.
Poi mieterò questo vento
e ti regalerò i frutti.

tratto da La dolce manodopera, presentazione di Milo De Angelis, postfazione di Antonella Anedda, Bergamo, Moretti & Vitali, 2006, p. 55

***

Che esseri aerei sono le piante,
sposate con lo spazio.
Crescono senza paura delle grandi distanze del cielo,
di quelle del vuoto sopra di loro.
L’inverno che spoglia i rami,
lo scopre con la chiarezza di un paesaggio nordico
dove ogni cosa sta nel suo contorno senza inganni.
Così ai pioppi, alle robinie e perfino ai tigli
un po’ malati del viale sotto casa
a destra e a sinistra spuntano i rami,
ma fra i rami, guarda, spunta il cielo
cresce e si allarga tutto attorno.
E se fossi nata ieri e non sapessi nulla,
penserei che il cielo nasce così,
nelle notti d’inverno dalle piante
e la mattina è già dappertutto in alto
col suo bell’azzurro e regge il sole.

(inedito)

E non c’è trucco! Mario Perniola

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La battaglia per la bellezza
di
MARIO PERNIOLA

Quella del bello è oggi una categoria più popolare della verità e della virtù e il narcisismo e diventato una patologia sociale. Ecco perché lottare per una estetica e non per la cosmetica.
La bellezza pare a prima vista il concetto più adatto per gettare un ponte tra l’atmosfera cosmetico-ricreativa in cui sono immerse le moltitudini dei paesi ricchi e la tradizione culturale. In altre parole, la bellezza sembra più «popolare», più connessa con il sentire delle masse di quanto non sia la verità o la virtù. Infatti ben pochi si curano della coerenza dei loro pensieri e ancor meno della purezza delle loro azioni, ma tantissimi si interrogano sulla avvenenza del loro volto e del loro corpo, affollano palestre, comprano cosmetici, intraprendono diete, ricorrono addirittura alla chirurgia plastica per diventare più belli ed attraenti. La bellezza sembra in grado di fornire, per così dire, un aggancio tra le masse e il sapere.

Kamorrista

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di Davide Morganti

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Può sembrare azzardato accostare un kamikaze palestinese – ma più corretto sarebbe definirlo shahid – a un giovane camorrista.
A prima vista, non c’è alcun dubbio, di sì, per questo vi prego di seguirmi nel ragionamento.
Entrambi, per buona parte, provengono da situazioni ambientali e familiari spesso terribili: padri in galera, disoccupazione, emarginazione, case invivibili.
Entrambi si trovano a frequentare la scuola poco e malvolentieri, per disagio, rabbia, frustrazione, senso di inutilità, abbandono.
Il kamikaze e il giovane camorrista sono accomunati dall’età, che non supera quasi mai i venticinque anni.
Ognuno ricerca una dimensione della felicità. Sa che ha poco tempo a disposizione.
Uno shahid entra in un bar o sale su un autobus, e li fa saltare in aria provocando la propria morte e quella di gente che non ha, invece, nessuna ragione di terminare in quel modo.
Un camorrista entra in un bar, un ristorante o un negozio per estorcere danaro o per ammazzare sconosciuti, solo perché così gli è stato comandato.
Lo shahid spera nella vita eterna, nella ricompensa ultraterrena, nel martirio beato, nell’estasi delle settantadue vergini.

Eva Smith

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di Betta Magni

Eva Smith non poteva dirsi giovane, aveva trent’anni. La ragione di questo precoce invecchiamento si spiega col fatto che all’epoca in cui cominciai a pensare a lei ne avevo diciassette e avevo un’ idea del tempo assai diversa da quella che ho ora: un anno mi pareva interminabile e faticavo a proiettarmi altrove, nel tempo e nello spazio. Forse, ancora meglio, l’altrove era così lontano e distante da me da non appartenermi, da assumere i tratti di un sogno confuso che non ha parentele con ciò che sei ora, l’adesso che brucia.

Il patto

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di Dario Borso

Mia cugina l’altro giorno buttò lì al telefono: “Dario, ho curiosato su Nazione Indiana: ma se quello è un blog letterario, gli altri come sono?” La frase, innocua di primo acchito, mi lasciò subito dopo annichilito. Pensai ai vent’anni in meno di Federica, ai miei vent’anni fa, ai trenta, alla prima giovinezza… Avevamo trasformato chissà come l’Osteria delle Caravelle (tre ostesse-sorelle in fiore) in un bar letterario a suon di Gadda: un racconto per sera (non tutte le sere) da La meccanica e dagli Accoppiamenti giudiziosi, che gli avventori bevevano stupiti dalle labbra di noi due avventurieri. E quando Ico, di me maggiore, ebbe esaurito la sua piccola scorta lombarda, ricordo che chissà come mi dimostrai non da meno estraendo dal cappello Le avventure del Guizzardi di Celati. Era l’inverno del ’73, ne sono sicurissimo perché poi, quando girammo per gli States nell’estate del ’74, già lì mi chiamavano Densi, che era la versione americana del Danci emiliano (e per anni fui Danci a Cartigliano, favorito dall’assonanza della prima sillaba). Così fu nell’inverno del ’74 che ci mettemmo in proprio, un po’ esordienti un po’ talent-scouts: quanto segue è un documento di quell’era pretelematica.

Filosofia esistenzialista dello scatto digitale

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di Simone Ciaruffoli

LA VI(S)TA IN SCALA
Oggi si cataloga procedendo in una tassonomia delle immagini non più in compagnia del supporto cerebrale della memoria, per via del nostro “software biologico”, ma attraverso lo scatto fotografico digitale. Si esperisce il mondo bypassandolo con l’obiettivo (o con lo schermino) e per farlo perdiamo l’istante originale-originario in cui il mondo si manifesta. E’ chi scatta che perde la vita nel suo farsi, è chi scatta a essere dentro l’atto fotografico più di chi quell’atto lo subisce divenendone il soggetto rappresentato.

New entry: Buràn

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buran.jpg Buràn è una rivista letteraria online che raccoglie storie dal Web di tutto il mondo. Il suo scopo è scoprire le scritture invisibili: storie scritte in lingue inaccessibili, o che si perdono nel grande oceano della Rete. (www.buran.it)

 

Anteprima Sud 8/ Tre poesie di Marco Ceriani

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disegno di Andrea Pedrazzini

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D’uno che nella sua bottega di bolle
d’aria prepara certe strane pozioni
che a storte riluttano e il vetro alle ampolle
smeriglian con mille pelosi magoni

che dire? E d’uno in una bottega ove il fango
si fa e non si sfa che mai dire?
Che al suo banco la ganga fu rango
prima che impresero quei due a fuggire?

Dei due fu lei con gonna tessuta dal tuono
a credere a un inferno reale pensandolo
succedaneo del paradiso che lui vede prono
alle lusinghe di quell’imperfettibile mandorlo?

Così in un emporio di bolle d’aria e d’argille
la morte suggella le sue buste col vischio
come in un frutteto, fornello delle scintille
si smerigliano mele ai ritornelli del picchio.

Crossroad Blues

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di Giordano Meacci 

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 Da quassù, la vista sarebbe straordinaria, se non fosse per l’impaccio delle mani. E dei piedi, naturalmente. I piedi sono quelli che fanno più male – costretti come sono l’uno sull’altro, senza nemmeno poter sgranchire le dita; e le dita fanno quello che possono, dopotutto: ma credo proprio che tra un po’ non riuscirò più a sentire nemmeno il punto esatto dove gli alluci si concludono e cominciano le piante, le vene grosse dei dorsi, tutta quella lunga corsa di pelle e ossa e muscoli e magrezza conquistata che poi risale su fino alle anche, alle costole – mi hanno sempre fatto impressione le mie costole, quando alzo le braccia al cielo, o semplicemente riposo i gomiti alzandoli e piegandoli appena, in un gesto che ho ereditato da mia madre – Mia madre è nata con dei problemi gravi ai tendini, ogni tendine del suo corpo è cresciuto, nel tempo, privo dell’ultima guaìna che di solito li protegge, i tendini: è la malattia di Raschenbach, ma questo mia madre non lo sa: o quantomeno non lo sa dire, nessuno lo sapra dire ancora per centinaia e centinaia di anni, a parte me, fino alla nascita di Raschenbach e la sua scoperta della malattia che lo battezza: ma questo è facile, per me, visto che io so tutto.

La voragine di Secondigliano

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di Luca Rossomando

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[Alle ore 16,30 del 23 gennaio 1996, a Secondigliano, crolla una palazzina di tre piani. L’implosione innesca un violento incendio causato dallo scoppio del metano fuoriuscito dalle tubazioni che corrono sotto l’asfalto, causando una voragine stradale larga 27 metri e profonda 20, e facendo precipitare le auto in sosta e quelle in transito.Nella zona erano in corso dei lavori per la costruzione di una galleria per collegare Arzano e Miano. In quel momento nella galleria erano al lavoro otto operai. Morirono undici persone, tra cui una ragazzina di dodici anni. Alle 15.30 di oggi, al Quadrivio di Secondigliano, i familiari delle vittime e gli abitanti della zona si incontrano per una fiaccolata. Pubblico un testo di Luca Rossomando, già comparso nel 2003 su Carta del Manifesto. Su quella milionesima tragedia annunciata, Rossomando ha scritto “La voragine. Una cronaca della periferia di Napoli“, pubblicato da Editori Riuniti.
P.S.]

Cosa preferisco quando leggo

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di Giorgio Mascitelli

Il fatto che l’attuale mercato librario sia dominato da una narrativa ormai extraletteraria o postletteraria può essere spiegato in molti modi. Per esempio i sostenitori di quello che un tempo si chiamava il best seller di qualità possono indicarne la causa nell’infiltrazione nelle case editrici e nel mondo accademico di esponenti dell’avanguardia intellettualistici e lontani dal lettore. Al contrario coloro che amano l’avanguardia replicheranno che proprio quel concetto di best seller di qualità è stata la breccia da cui poi sono passati nani e ballerine.

Opera al nero

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logotipo Razzismi Quotidiani

di Giorgio Fontana

Per Laura e Luca e gli altri

“Quando l’odio degli uomini non comporta alcun rischio, la loro stupidità si convince presto, i motivi arrivano da soli.” Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte

Il paesaggio è quello che conosci da una vita. Campi brumosi, file d’alberi secchi, palazzi color ribes, un paio di gru, e la tangenziale ovest come un fiume in piena. Il campo le sorge quasi a fianco, all’imbocco del paese. Il cartello OPERA ti dà il benvenuto. È un pomeriggio di fine gennaio. Sai che ne hanno già parlato i telegiornali, a tempo debito: ma questo non è un motivo per smettere d’interrogarsi. Come se le cose possano finire, una volta trasformate in “notizie”. Come se non ci fossero anche tempi indebiti.
Passi davanti al presidio. Davanti agli striscioni VIA I ROM e DOPO I POOH…I NOMADI. La gente parla e ti guarda sdegnata. Poi il primo che ti viene incontro, dopo cinquanta metri di fango, è un bambino di sette anni. Si chiama Andrej.

Ebrei americani dissidenti e politica israeliana

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Il passato continua ad accadere

di Massimo Parizzi

(Apparso in “L’indice”, XXIII, 12, dicembre 2006, p. 34)

Una recente raccolta di “conversazioni con ebrei critici verso Israele” curata da Seth Farber inizia così: “Ebrei critici verso Israele? Per l’americano medio suonerà come un ossimoro. L’istinto di molti americani ebrei è di tacciare gli ebrei che criticano Israele di ‘traditori’ in mezzo a loro, ‘ebrei che si odiano’, che si vergognano della loro ebraicità, addirittura di ebrei antisemiti” (caso di “uso improprio dell’antisemitismo e abuso della storia”, come recita il sottotitolo di un polemico studio di Norman Finkelstein).

Racconti di luogotenenti, di bracconaggio e di frontiere

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 raccolti con amorosa cura da Marino Magliani

 

 

 

A Nativitate Domini 1659, indictione
decima tertia, die mercurij ultima
septembris – in testijs – in scriptorio
In nome Domini amen. (una parola illegibile) testis summarie receptus et productus per me notario infrascripto ad instantiam, probare ed fidem facere intendis de infrascriptis (parola illegibile) cui testi delato iuramento de veritate dicenda et qui iuravit…