Crimes of the future, di David Cronenberg

di Mauro Baldrati

A  settantanove anni il vecchio maestro ha ideato, scritto e diretto un altro film durissimo, estremo, inquietante. L’estetica radicale non fa sconti, non si piega alle esigenze dello spettatore. L’ha detto lui stesso, in un’intervista relativa a Crash, il film del 1996 tratto dal romanzo di Ballard: «Se ci si preoccupasse delle reazioni del pubblico si sarebbe completamente paralizzati, perché si sa che qualunque sia la direzione presa si verrà criticati e che alcuni saranno delusi. Se si pensasse allo spettatore-tipo e alle sue attese sarebbe la morte di ogni creatività.» Era controcorrente, e lo è ancora, coraggioso e solitario. In effetti oggi il concetto da lui aborrito sembra diventato legge. Tutti corrono dietro ai cosiddetti gusti dello spettatore-tipo. La politica soprattutto, ha sepolto per sempre ogni ideale di guida per compiacere la pancia “bassa” degli elettori. Ma Cronemberg rimane sé stesso, uno dei sopravvissuti nella Zona Morta (1983, tratto da Stephen King). Questo film, che come al solito ha causato reazioni opposte a Venezia, dove una parte del pubblico è uscito disgustato dalla sala, mentre l’altra ha applaudito al capolavoro, sembra quasi un testamento. Raccoglie tante suggestioni che hanno creato il suo “brand”: il tempo futuro di un mondo morto, o morente, rappresentato con luci livide, atmosfere cupe, dove le emozioni umane, che non possono morire se non muore il corpo, sono mutate, contaminate con la follia lucida e rassegnata della “morte felice” della civiltà. E il corpo, quasi un’ossessione, coi suoi bisogni, il sesso, il desiderio, la commozione, muta a sua volta, fondendosi con sostanze estranee o pezzi di macchina (e qui il capostipite è il capolavoro La mosca, 1986). Il corpo, questa entità melanconica, violentata, dove si introducono le peggiori schifezze, barrette-merendine di plastica e rifiuti, o la polvere insetticida nel magnifico Il pasto nudo (1991, tratto dall’omonimo romanzo di Burroughs). I personaggi sono oscuri, poco o per nulla empatici, e tanto meno patinati. In questo film sono vestiti squallidamente, con abiti vecchi e ordinari che ben si confanno con le atmosfere desolate di edifici fatiscenti e abbandonati, coi muri ammuffiti, carcasse di navi coperte di ruggine, rottami, terreni inariditi invasi dalle erbacce. Anche la recitazione (rigorosamente in originale, non entrate se il film è doppiato) è singhiozzante, sofferente, smozzicata. L’inizio non è dei più facili: una madre soffoca col cuscino il figlio di dieci anni, Brecken, sorpreso a mangiare un cestino di plastica, masticando rumorosamente con una sorta di schiuma biancastra che non è l’ideale per uno spettatore con un po’ di “imbarazzo di stomaco”. Infatti una delle mutazioni che verranno alla luce è proprio questa: la capacità di digerire la plastica e i rifiuti tossici. La madre, sconvolta dalla scoperta che il figlioletto è un mutante, non regge al dolore e preferisce ucciderlo. Il cadavere del bambino viene raccolto dal padre (separato dalla moglie), che lo tiene in frigorifero, finché, dopo che ha conosciuto il grande perfomer Saul Tenser, interpretato dall’attore preferito di Cronemberg, Viggo Mortensen, che recita sempre vestito di nero col cappuccio, come la Morte del Settimo Sigillo (Igmar Bergman, 1957), decide di offrirlo per la più grande delle performance: l’autopsia in diretta. E questa è una delle scene più critiche, non sopportabile da tutti gli spettatori: nella sua razzia dei tempi e degli stili il regista ha campionato certi filmati dell’underground splatter e gore con l’esibizione del sangue e degli organi interni, che vengono asportati con dovizia di particolari. Già, perché in quel futuro remoto, l’arte consiste nell’aprire i corpi, infliggere ferite, tagliuzzare le facce, nell’assenza del dolore, che nessuno prova più, e nella scomparsa del sesso tradizionale, sostituito dalla chirurgia senza anestesia. In effetti questa è proprio la specialità del famoso Saul Tenser. Anche lui è un mutante, la sua specialità è produrre nuovi organi, spesso tumorali, che vengono asportati in vivisezione. Il pubblico, rapito, guarda, fotografa, filma. Gli spettatori desideranti si eccitano eroticamente, sognano di essere al suo posto, come Timlin, impersonata dall’attrice Kristen Stewart (che abbiamo visto in una straordinaria performance attoriale in Spencer), che è attratta morbosamente da Tenser. In uno sbocco di erotismo quasi classico gli rivela il suo desiderio di essere “aperta”. Tenser ha addirittura una cerniera nell’addome, che permette alla sua compagna d’arte, Caprice, di praticare il sesso orale leccando e succhiando gli organi interni. Nella sua ricognizione degli stili e dei generi che hanno caratterizzato la sua produzione, non poteva mancare una componente thriller, di cui Cronemberg si è dimostrato un maestro, nei due fortissimi A history of violence (2005) e La promessa dell’assassino (2007): Tenser è anche un infiltrato nella setta degli evoluzionisti mangiatori di plastica, che hanno accettato la mutazione del tempo, dei corpi e dello spazio, addirittura modificando il proprio sistema digerente, in nome della modernità che consiste nel consumare gli stessi rifiuti che l’umanità produce. Una non meglio precisata forza dell’ordine indaga sulle mutazioni e sulla produzione di nuovi organi, e Tenser ne è l’informatore. Non mancano due omicidi, per una faccenda di trapianti abusivi di organi, di un chirurgo plastico e del padre del bambino Brecken, che fugge dal teatro dopo l’autopsia, inseguito da due killer che gli bucano il cranio con due trapani. Tenser è una figura inquietante, produce ansia, sempre mascherato da Morte, sofferente per un problema respiratorio e uno digestivo, per cui è costretto a mangiare su una sedia speciale fatta di ossa umane, che immediatamente evoca le opere del pittore svizzero HR Giger, creatore delle immortali scenografia di Alien. E’ fiancheggiato da due donne belle e seducenti, le già citate Timlin, e Caprice, interpretata da Léa Seidux, che si sottopone a un intervento di “chirurgia estetica” che le provoca degli orrendi bitorzole sulla fronte, e questa, perdio, è una trovata che proprio non possiamo perdonare a David Cronemberg.

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Nessuno può uccidere Medusa

Marino Magliani intervista Giuseppe Conte
Io lavoro intorno al mito dagli anni Settanta del secolo scorso, quando mi ribellai, allora davvero solo in Italia, allo strapotere della cultura analitica, della semiologia, del formalismo, una cultura che avevo attraversato come allievo e poi assistente di Gillo Dorfles alla Statale di Milano.

Dogpatch

di Elizabeth McKenzie (traduzione di Michela Martini)
In quegli anni passavo da un ufficio all’altro per sostituire impiegati in malattia, in congedo di maternità, con emergenze familiari o che semplicemente avevano detto “Mi licenzio” e se ne erano andati.

Euphorbia lactea

di Carlotta Centonze
L'odore vivo dei cespugli di mirto, della salvia selvatica, del legno d'ulivo bruciato e della terra ferrosa, mischiato a una nota onnipresente di affumicato e di zolfo che veniva dal vulcano, le solleticavano il naso e la irritavano come una falsa promessa. Non ci sarebbe stato spazio per i sensi in quella loro missione.

Un’agricoltura senza pesticidi ma non biologica?

di Giacomo Sartori
Le reali potenzialità di queste esperienze potranno essere valutate in base agli effettivi risultati. Si intravede però un’analogia con la rivoluzione verde, che ha permesso l’insediamento dell’agricoltura industriale nelle aree pianeggianti più fertili, e ha devastato gli ambienti collinari e/o poveri.

Pianure verticali, pianure orizzontali

di Giacomo Sartori
I viandanti assetati di bellezza avevano gli occhi freschi e curiosi, guardavano con deferenza i porticcioli e le chiese e le case, ma spesso anche le agavi e le querce e le rupi. Sapevano scovare il fascino anche dove chi ci abitava non lo sospettava, per esempio nell’architrave di castagno di una porta decrepita o nell’acciottolato di un carrugio.

RASOTERRA #2

di Elena Tognoli (disegni) e Giacomo Sartori (testi)
A Mommo gli orti e i campetti sono striminziti, in un secondo zampetti da una parte all’altra. E sono in pendenza, perché lì sul fianco della montagna non c’è niente che non pencoli in un senso o nell’altro, anche le case e le strade e i prati si aggrappano saldamente per non scivolare a valle.
giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: