Nella clinica del passato

di Romano A. Fiocchi

Georgi Gospodinov, Cronorifugio, Voland.

Il titolo mi ha folgorato da quando è apparso in libreria: Cronorifugio. Leggerlo o non leggerlo? Quel neologismo singolare, il tema del tempo, il Novecento protagonista, che è poi il secolo da cui proveniamo, io come lettore e Gospodinov come autore (tra l’altro entrambi degli anni Sessanta), l’idea di una “clinica del passato” che accoglie pazienti smemorati ospitandoli nel decennio dove più possono trovarsi a loro agio. Un cronorifugio, appunto. Poi, leggendolo, il libro è anche altro. Con nazioni che si costruiscono un habitat cronologico dove la gente può vivere gli anni in cui è stata più felice. Nazioni europee, però. Perché tutto il libro è un omaggio all’Europa e alla storia comune, per bella o brutta che sia stata. Per questo Cronorifugio ha vinto il Premio Strega europeo. Meritatissimo. Omaggio all’Europa e critica feroce alla stessa, ma proprio per difenderla, per paura che tutto quello che l’Unione europea ha cercato di fare in questi decenni non serva a nulla e si precipiti nuovamente nel baratro dello scontro tra popoli fratelli. Un’atroce premonizione (il libro è uscito nel 2020) della guerra in Ucraina.

Non so perché ma da quando leggo ho sempre pensato che i libri, tutti i libri, contengano da qualche parte una frase, un nome, un’immagine, un personaggio, un qualcosa che li sintetizzi all’estremo. Amleto è “essere non essere”, Cent’anni di solitudine è l’immagine del colonnello Aureliano Buendia che davanti al plotone d’esecuzione pensa al ghiaccio, Conversazione in Sicilia è il concetto di “mondo offeso”, tanto per citare qualche titolo. Per Cronorifugio, c’è una frase che è il motore di tutto il romanzo: «L’uomo non è fatto per vivere nella prigione di un corpo e di un tempo». La frase è posta a chiusura di questo passo:

«Sindrome dell’assente. Sono talmente tanti i posti dove non sono. Non sono a Napoli, a Tangeri, Coimbra, Lisbona, New York, Jambol e Istanbul. Non solo non ci sono, ma non ci sono dolorosamente. Non sono in un piovoso pomeriggio a Londra, non sono nel baccano di Madrid la sera, non sono a Brooklyn in autunno, non sono nelle domenicali strade deserte a Sofia o a Torino, nel silenzio di una cittadina bulgara del 1978… Talmente tante volte non ci sono. Il mondo è sovraffollato dalla mia assenza. La vita sta là, dove io non sono. Dovunque io sia… E non solo non ci sono dal punto di vista geografico, non solo sono assente nello spazio. Anche se lo spazio e la geografia non sono mai stati solo spazio e geografia. Non sono nell’autunno del 1989, in quel folle maggio del 1968, nella fredda estate del 1953. Non sono nel dicembre del 1910, né alla fine del XIX secolo e neppure negli anni ’80 col ciclo continuo della musica disco, cosa che odio in modo particolare».

Gospodinov rasenta la metafisica, spinge il lettore verso una visione destabilizzante della realtà, potenzialmente verosimile ma così inaspettata da far girare la testa. Mondi paralleli che allargano l’area della coscienza e che prima di lui solo Borges è riuscito a mostrare (penso, solo a titolo di esempio, a invenzioni narrative come La biblioteca di Babele). Al tempo stesso, c’è la banalità della Storia. Banale perché continua stupidamente a ripetersi senza che l’uomo riesca ad interromperne i cicli. L’essere nato e vissuto in un determinato periodo della Storia porta a collocare lì i ricordi più nostalgici, la vita stessa di un individuo, e quindi a desiderare di rivedere quei ricordi attraverso gli oggetti e gli ambienti di quell’epoca, rivivendo così quella vita.

Lo scrittore protagonista e Gaustìn si inventano allora le “cliniche del passato”. Cercano di rallentare il declino dell’individuo perché il destino ultimo di tutti è la cancellazione della propria memoria, preludio alla cancellazione fisica della propria vita, ossia alla morte. Si cancella la memoria per paura del futuro. Ecco che allora i popoli europei indicono un referendum per evitare il futuro e tornare ai decenni più felici dell’ultimo secolo. Con risultati diversi, ovviamente, perché gli anni Sessanta dell’Italia, con il suo miracolo economico, non sono certo gli anni Sessanta della Repubblica Ceca invasa dai carri armati sovietici. La Repubblica Ceca sceglierà infatti la Rivoluzione di velluto e gli anni Novanta. Ogni nazione vorrebbe tornare al proprio tempo che crede migliore. Anche se il tempo, alla fin fine, è circolare. Così come lo è il romanzo di Gosponidov che inizia con un finale: «Il 1° settembre del 1939, la mattina presto, giunse la fine del tempo umano» e termina ricollegandosi all’inizio «Domani era il 1° settembre». È l’insensatezza della Storia che ritorna perché vogliamo che ritorni: «Ripetiamo questa guerra perché non si ripeta mai più, dirà qualcuno per radio e questa assurda tautologia sbloccherà tutto». Ma Gosponidov sa che non è così, eppure tutto tenderà ad essere circolare, nonostante si ricorra ai cronorifugi. Le ombre di Vico prima, e di Spengler poi, aleggiano su questa teoria. E Nietzsche, ovviamente.

C’è una particolarità grafico-editoriale, in questo bel volume della Voland. Un omino piccolo e nero attraversa la copertina e si aggira tra le pagine lasciando impronte ancora più piccole. È una silhouette solitaria e provocatoria disegnata da Nedko Solakov, bulgaro anche lui come Georgi Gospodinov. Un omino a cui fanno da contrappunto i disegni dello stesso Gospodinov: scarabocchi di lampadine, mappe geografiche, volti di persone inesistenti, ritratti di neuroni, scaffali di libri.

Un’ultima cosa, l’epigrafe: «In questo romanzo tutti i veri personaggi sono inventati, solo quelli inventati sono veri». Come Gaustìn e la voce narrante dello stesso scrittore. Sì, Cronorifugio è anche un metaromanzo.

 

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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