La penna nei guantoni. Per lasciare un segno in quattro domande
Terzo e ultimo intervento tra Federica Guglielmini (FG) e Dome Bulfaro (DB) per valorizzare la boxe e riflettere sulla boxe. Dopo i loro due rispettivi articoli monografici il terzo e ultimo intervento avviene in forma di gioco come se si assistesse ad un incontro tra loro due, su quattro domande, pensate come se fossero quattro round della durata di poche righe ciascuno.
Il primo e secondo round si possono leggere QUI e QUI.
1) Il pugilato sta ritornando nei cuori dei giovani e degli artisti perché?
FG: I giovani rivedono nei pugili e nelle pugilesse icone sportive e culturali a cui sentono di appartenere; vederli lottare, prepararsi con dedizione, ascoltare le loro storie vere che spesso sono anche simili alle loro, li coinvolge. Ugualmente gli artisti si sentono chiamati a rispondere alla spettacolarità della boxe con l’impulso creativo che li contraddistingue. Arte chiama arte.
DB: La boxe è il crocevia di ogni essere umano. Nessuno può esimersi dall’incrociare i pugni con l’altro e con se stesso. Nessuno. Ognuno di noi, se vuole veramente evolvere spiritualmente, non dovrà solo salire, combattere e scendere dal ring ma dovrà imparare a farlo con arte. La catarsi che vivono un pugile, un rapper, un poeta performer è analoga: passa dall’affermazione di se stessi. È il primo stadio, quello giovane, quello in cui l’istinto alla sopravvivenza avvia un processo di trasformazione ma in cui l’ego svolge ancora un ruolo trainante.
2) Perché ami il pugilato?
FG: Perché ha salvato anche me. Lentamente, come quell’amore che dura per tutta la vita, che cresce e non smette mai di bruciare ricordandoci di essere vivi. Il pugilato ti invita a celebrare le tue paure, ombre e sogni senza mai tirarti indietro. L’essere umano è cifrato dalla lotta, sin dal primo giorno che viene al mondo. Guardo la boxe e vedo la storia dell’uomo, di tutti noi. Nati per essere qualcuno con un nome, di cui possiamo farne ciò che vogliamo. Guardo la boxe, scrivo la sua storia, ed è come rinascere sempre.
DB: Non amo tutto del pugilato: ad esempio non amo il virilismo congenito del pugilato, almeno quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi. Amo la boxe perché come la poesia è un’arte della nudità: così come il boxeur sale sul ring, a pugni stretti, armato solo di se stesso e null’altro, allo stesso modo il poeta performer sale sul palco, armato solo della sua voce e di quello che egli è e sa fare. La poesia si fa, in sostanza, come la boxe: a mani nude e a voce nuda.
3) La boxe è ?
FG: Un’invenzione umana, uno sport attraverso cui ci diamo l’occasione di misurare quanto siamo disposti a sentire la nostra carnalità così fragile, così forte, così mortale. Ha bisogno di un pubblico, dei suoi protagonisti e di chi sappia raccontare le sue gesta.
Io esisto al pari della natura,
degli elementi che la compongono,
io sono la mia specie,
la sua furia.
(Federica Guglielmini)
DB: La poesia è davvero potente quando si manifesta dove non diresti mai: nel pugno della boxe la poesia è esplosiva. Nel gergo pugilistico, quando un pugile ha un pugno che picchia duro, si dice che ha una bella “castagna”. La boxe è come una castagna: brutale come i suoi aculei, dura come il suo guscio, carnosa e gustosa come il suo frutto.
4) Il pugilato è una nobile arte perché?
FG: Perché fa della sua impresa sportiva, un racconto eroico fra due sfidanti, desiderosi di essere giudicati, letti come i migliori libri di poesia. L’estetica della boxe esiste da millenni. La danza, compiuta sul ring dai pugili, procede come a passo di musica. La boxe è l’orchestra della vita.
DB: Il pugile è disposto a mettersi alla prova. Come Arjuna nella Bhagavadgītā, è chiamato ad affrontare la sofferenza [BG 1.20-46] per nobilitare il proprio spirito. Il pugile si mette volontariamente di fronte a quello che per tutto l’incontro sarà il bivio: restare e combattere o abbandonare. In svariati modi potrebbe abbandonare anziché restare nella difficoltà e nel dolore: alzando il braccio, voltandosi di spalle rispetto all’avversario, mostrando il paradenti. Invece no, sceglie di restare.
“gli artisti si sentono chiamati a rispondere alla spettacolarità della boxe con l’impulso creativo che li contraddistingue. Arte chiama arte.” Ma quale arte? Il salto in alto è un’arte? A mio parere è uno sport, non un’arte, a meno che vogliamo per forza chiamare arte qualsiasi attività. E non è poesia: “La poesia si fa, in sostanza, come la boxe: a mani nude e a voce nuda.” Peccato che la poesia non sia finalizzata a far male a un altro essere umano, come dice il testo, ad avere la “castagna dura”. Continuo a non capire proprio. La boxe è l’unico “sport” (insieme con le sue varianti, lotta libera o simili) in cui lo scopo è fare del male fisico ad un altro essere umano. Non so, forse vivo in un altro mondo.