Due parole sul IV Quaderno di POESIA DA FARE
di Biagio Cepollaro
E’ online il IV Quaderno di Poesia da fare (www.cepollaro.it/IVQuadern.pdf)
e il suo supplemento Attività scultorea (clic su
www.cepollaro.it/IVSupp.pdf): con il IV Quaderno si concludono due anni di
lavoro: quattro quaderni che coagulano il flusso del blog in qualcosa di più
solido e più agevolmente leggibile.
Va emergendo anche da questi quaderni buona parte della ‘poesia italiana
contemporanea’ i cui tratti, tra evoluzioni e conferme, mostrano non solo la
vitalità del genere ma anche la sua necessità. La poesia italiana
contemporanea, nel suo farsi, sembra vivere in un contesto in cui la stessa
dimensione del ‘letterario’ è priva di punti di riferimento istituzionali e
teorici. Non più le università (e relativo rovello della critica attenta al
nuovo), non più l’editoria (con qualche eccezione), non più l’Informazione,
e direi, purtroppo, in un certo senso, non più Società. In questa situazione
è evidente l’insistenza implicita sulle cose che si fanno, sui contenuti,
sui testi. Mentre il rumore va a confondersi con altro rumore nell’
implacabilità dell’entropia.
Voci sparse, voci raccolte provvisoriamente, voci refrattarie a qualsiasi
canonicità. Il risvolto della medaglia è la mancanza di un linguaggio
comune, di un ponte che possa collegare e distinguere, di un campo di
discorso, sia pure minimale e disincantato: di comune c’è il gesto di
disponibilità, quel darsi da fare per. Di comune c’è una grande passione che
istituisce reti di fatto, connessioni, più o meno libere dall’asfissia
egotica dell’artista, più o meno divertita e, insieme, serissima. Il gioco
scoperto: senza la seriosità e le grandi pretese (e le speranze collettive)
del Novecento, resta questo gioco teso, spudoratamente assoluto, eppure
gesto come un altro, gesto tra gli altri. Forse è proprio questo
appassionarsi al fare che, a ben guardare, fa precipitare in questo quarto
quaderno i nomi novecenteschi di Spatola e Di Ruscio, di Niccolai e di
Anceschi, insieme ai trentenni, ormai solidi, formatisi in un Paese, per
molti di noi, irriconoscibile e imbarazzante, non tanto postmoderno quanto
pericolosamente in bilico, ai limiti di ogni possibile discorso di ‘civiltà
europea’. Eppure questi poeti l’hanno scritta la loro poesia, a dispetto di
tutto, e nei modi non collaborazionisti necessari alla decenza, prima che
alla cultura. Ed è già poesia risonante, in moltissimi casi risultato
raggiunto, riuscita forte.
Certo la funzione intellettuale, progressivamente in dissoluzione nell’
oggettività della comunicazione sociale, sembra riconfigurarsi per lo più
come produzione di senso a forte connotazione esistenziale: le solitudini,
non psicologiche, sembrano stagliarsi come allegoriche, condizione
idiolettale di massa, anche in assenza di idioletto linguistico. La
condizione idiolettale è ormai a monte del fare, realizzata condizione
antropologica, quasi destino occidentale, e per questo la lingua del poeta
può tornare ad essere apparentemente ‘comune’, almeno nel lessico.
I Quaderni di Poesia da fare hanno permesso a chi scrive di ritrovare, oltre
le delusioni novecentesche, nuovi compagni di strada, spesso più giovani,
con i quali inventare il lavoro dell’espressione e dello spessore. Compagni
con i quali farla la poesia. Insieme a loro la condizione idiolettale è meno
amara.
A loro e ai loro lettori va il mio ringraziamento.
Al di fuori di ogni sollecitazione editoriale, di ogni conclamata richiesta del pubblico, di ogni canonizzazione della critica, Cepollaro lavora a trasmettere un’eredità quanto mai “minoritaria” ed eterogenea. Spatola, Di Ruscio, Niccolai, Mesa, Baino. Qui non ci chiediamo neppure se è popolare, se vale la pena di occuparsene, piuttosto che leggersi il fenomeno editoriale del momento. Qui alcuni poeti giovani e giovanissimi hanno semplicemente capito che questi testi parlano a loro in modo decisivo, indubitabile.
L’atto di lettura individuale esiste ancora ed è a partire da esso che si organizza la consistenza “sociale” di un testo. Anche se tutto cio’ non è sincronizzato con “lo spirito del giorno”, con “i fondamentali dell’epoca”, con i temi del giorno.
Che questi libri, ora trasmessi in formato “elettronico”, siano una faccenda di numeri irrilevanti in termini di pubblico, non cambia nulla. Cio’ che qui conta è la “forma” della trasmissione: il modo e la libertà attraverso cui dei testi sono proposti e attraverso cui vengono fatti propri. Questa forma sarà di minoranza, ma è sociale nel senso più forte del termine. Un’associazione di individui intorno ad un testo-valore.
Cosi succede ovviamente anche per i romanzi o per i dischi che improvvisamente acquistano un grande successo, al di fuori di ogni previsione di marketing. Sotto strati e strati di mediazioni di natura ideologica ed economica, la consistenza “sociale” del testo letterario sta nella sua possibilità di rispondere anche intempestivamente, in ritardo, e sulla lunga durata.