Corpo @ corpo
immagine: lutte fractale
di
Dario Arena
Penso spesso di collocarmi fisicamente nel giusto equilibrio spazio-tempo. Mi capita invece, altrettanto spesso, di vagare mentalmente fuori dall’ordine prestabilito del momento-tempo, vorrei stare da altre parti con qualcun altro mentre mi parla colui/colei che ho di fronte.
Il blog è il jack di quadri che riaggancia il distacco: sto da una parte, scrivo in un non-luogo su una non-carta e qualche sconosciuto da un’altra parte sconosciuta, certamente dotato di cervello funzionante, mi legge e talora mi risponde. Magari invitando al dibattito.
Ecco la differenza. Nel mondo reale, pochi possono vantare di garantirsi la conoscenza di un cervello funzionante fra tutti coloro con i quali ci si incontra. Il virtuale che stiamo usando ora offre tali criteri valutativi, li espone. Noi siamo in grado di capire presto se esiste scelta; è evidente la differenziazione di livello qualitativo tra un sito ed un altro; si può stare sprofondati sul divano e scrivere che si sta in ufficio, come stare realmente incasinati ai massimi livelli mentre si cazzeggia on-line; ci si può finalmente liberare dal peso della parola parlata e convogliarlo sulla nuda parola scritta.
Il diagramma mostra un trend neurolettico in fase frizzante.
E la fase di passaggio.
Le unghie lunghe, certo, o le dita gonfie, pure, sono adatte quanto un 48 di piede per un calciatore. Spesso originano dittonghi improbabili come u8.
La fase, inattaccabile da colpi di tosse, di freddo e di coltello viaggia ospitata su e condotta da neutrali impulsi digitali, liberata dalle vibrazioni delle corde vocali, recepita da tesi neurali. Priva del tepore ricevuto dall’abito che veste il corpo, proprietario della gola a cui esse appartengono. E letta non solo da chi la scrive.
Ed ecco che i pixel performanti la parola attraggono gli occhi di chi la legge, diffondendo luce fioca sul volto cui appartengono gli occhi, scuri sul mondo di un’intelligenza posizionata in una stanza sconosciuta dalle pupille lucide. E poco importa se uso di più la tastiera, o il mouse. O se con le mani mi sistemo gli occhiali, mi gratto lo zigomo, mi palpo i genitali. O faccio spallucce, destra-sinistra sotto il naso, scatto obliquo con il collo. Si restringe il tunnel carpale, l’occhio tremula e il piede è insensibile, lontano. Mi sembra d’aver infilato la testa in un imbuto e di aver parcheggiato tic entro regolari strisce blu. M’alzo di scatto, batto il piede toc, e mi stiracchio.
Non mi risponde nessuno.
Sono tutti accadimenti inesistenti, prima dell’avvento di questo mondo senza vento, e senza odori. Asettico e privo di sapori. Colorato e pieno di concistori. Ma, a monte, non sono un gemello, e il rifiuto della seconda vita è a priori. Quindi cosa cerchi tu dall’ altra parte, una vera persona sotto falso nome da inserire tra i tuoi preferiti?
Cè un sistema, è un sistema di spiegamento di mezzi per dirottare le tue volontà nel canale virtuale, per dimostrare che puoi scrivere quello che puoi, per attaccarti con gli altri come non mai.
Fisicamente, dico, basta strepiti e risse. Prego, accomodatevi in Rete. Potete discutere, animarvi e scegliervi senza rompere i coglioni. State pure comodi voi internettuali.
Ci pensiamo noi, a spazzare via i clandestini, i manifestanti in piazza, i malati terminali. Gli affamati si arrangino. Voi ammalatevi pure davanti ai vostri videoterminali, che uscite a fare, le strade sono pericolose e l’aperitivo è desueto. La pizza ha un lievito che fa la macumba al mio intestino, i camerieri sono antipatici e i pesci sono sodi d’antibiotici. Il broccoletto è grosso come un mormone o rachitico come un corallo morto.
La via di mezzo della sopravvivenza ha il prezzo di un monitor acceso giorno e notte.
Mando giù la pillola, esco e tiro dritto in fondo al mare. Bipedi allucinazioni allungano mani e io mi ritraggo augurando e deviante, poco e per poco, dal mio percorso perpendicolare alla battigia. Un fondo salmastro e ventilato si insinua nell’imprinting della ventola del pc. Ne prende il posto, assieme alla parte bassa e chiaroscura, e alla parte alta e nera della visuale. Un’umidità alogena a banchi è padrona di quella porzione di spiaggia come il thc lo è di una rete di sinapsi dopo la visita del fumo di un pezzo d’artiglieria. Passo un muretto basso e tesso quattro passi, volgendo il pensiero verso un’onda che non può arrivare, su quell’ondulato soffuso che è la superficie marina, una risacca extraparlamentare che la battigia non potrà più oltrepassare.
Finalmente riaccendo una sigaretta. Osservo e distinguo dalla nebbiolina i fuggevoli e netti contorni dei miei pensieri, svaporati sospinti da colpi di tosse rutilanti. Sembro un vecchio frigo che si rimette in moto a distanza di anni. Lascio protestare le serpentine respiratorie, si riabitueranno presto agli impulsi inalatori. Proseguo il cammino a piedi nudi sulla pasta fresca della sabbia, ritroverò scarpe e calzini, credo, mentre rametti naturali e scorie di cava rendono vigili le forme plantari.
Poi, torno a casa e scrivo.
I commenti a questo post sono chiusi
“La via di mezzo della sopravvivenza ha il prezzo di un monitor acceso giorno e notte.”
La confusione estrema che abita le strade delle nostre città, i nostri paesi, nella realtà, può essere frutto della differenziazione tra i singoli [e sarebbe positivo], ma potrebbe essere invece segno della degenerazione caotica di ogni individuazione [e sarebbe non solo negativo, ma una catastrofe].
L’infinità, ognuna nella propria coerenza, delle possibili differenze non può essere più colta, dai sensi, con uno sguardo, attraverso una parola, un gesto.
Non bastano più.
Anche se il mondo fosse sulla soglia di una degenerazione caotica, è questo che avviene nella rete: ritroviamo, senza neppure volerne conoscere il nome, percorsi individuali di individuazione e diversità
che ci fanno ben sperare.
Ci suggeriscono una possibile convinzione: se tutto il mondo fosse un blog in cui ognuno, a suo modo, potesse esprimere la propria diversità, forse mai più riusciremmo a vedere, nelle strade, reali, delle nostre città e dei nostri paesi, alcunché di caotico o di inquietante.
A questo mi ha fatto pensare – lo ringrazio, assieme a effeffe – il poetico brano di Dario Arena.
Cio che mi piace nel pezzo è la manera di evocare il corpo della persona scrivendo su internet. Questo corpo esiste. Gli occhi svegliati o stremati della giornata del lavoro, il tè o il caffè nel mano, il biscotto nella bocca, il gesto di attorcigliare una ciocca leggendo il pezzo, o la mano sulla guance per riflettere; gli occhi si illuminano quando si riconosce il nome amico dello scrittore allontanato.
Il luogo esiste: la biblioteca con la sfila dei computer, la stanza dei professori con l’arredamento sommario, il neon che fa male negli occhi,
o allora la stanza che immagino dell’altra parte, una stanza in Italia con libri forse, una finestra aperta forse.
Il corpo esiste ma non fa il vincolo tra les internautes. La mente si all’altra mente: cio che trovo meraviglioso. Non è il corpo che occupa la mente.
Uno sconosciuto vede primo la mia anima, il mio cuore; il corpo non esiste. O allora è immaginato con le mie parole, della stessa manera,
immagino il volto, il corpo dello sconoscioto.
Mi piace pensare che qualcuno entra nel mio cuore subito.
Forse c’è un dolore, quando si tocca la distanza dei corpi nel desiderio.
Si muore nello cielo stellato dello schermo il desiderio di toccare, vedere il tuo sorriso, di sentire il corpo dell’amicizia e dell’amore, bere, festeggiare. Incontrare l’amica, l’amico nella realtà supera il piacere di scrivere su internet, ma acquieta l’angoscia di essere solo/sola o allontanato (a) degli amici.
la mente si allacia alla’altra mente.
ma, restando off topic e più vicini alle notizie di oggi… ma quanto sono belli gli alberi austriaci?
Sincera gratitudine venata di imbarazzo per effeffe che d’improvviso piratesco decide di pubblicare il mio pezzo. E’ per me un piccolo onore.
E grazie a soldato blu e véronique per i loro placidi e caldi commenti.
Soldato blu, però… lasciamo per le strade un pò di caos e inquietudine. Servono per mantenere in vita ordine e serenità.
Grazie 2effe per averlo rubato ed all’autore per averlo scritto.
p.s.:
“Finalmente riaccendo una sigaretta. Osservo e distinguo dalla nebbiolina i fuggevoli e netti contorni dei miei pensieri, svaporati sospinti da colpi di tosse rutilanti. Sembro un vecchio frigo che si rimette in moto a distanza di anni. Lascio protestare le serpentine respiratorie, si riabitueranno presto agli impulsi inalatori. Proseguo il cammino a piedi nudi sulla pasta fresca della sabbia, ritroverò scarpe e calzini, credo, mentre rametti naturali e scorie di cava rendono vigili le forme plantari.
Poi, torno a casa e scrivo.”
… per me questa è “poesia”.
il rischio che corrono coloro che mi mandano dei bei testi è di vederseli pubblicati. bella la vita, no?
effeffe
ps
corpo@corpo sarà un effeefferubriquette dedicata a questo tipo di problematica, ovvero vizi e virtù della rete. sto traducendo per cotesto un brano tratto dal libro di patrick Amine, eloge de la colere, che può aiutarci a capire come , quando e perché vale la pena mettere la panza in ciò che si scrive in rete. dettocciò c’est moi qui remercie camarade Plessus per avermi mandato il primo di innumerevoli testi…
molto interessante l’idea del corpo nel non-luogo virtuale… ma nel frattempo pensavo che anche il virtuale è reale, inevitabilmente
io so che su NAZIONE INDIANA troverò sempre cervelli funzionanti..
davvero bello
Ehi, grazie ancora a tutti per gli apprezzamenti incondizionati…