Da “Tra le cose e gli altri”
di Ivan Ruccione
[Pubblichiamo un breve estratto di Tra le cose e gli altri, in uscita per Arkadia, racconti brevi e brevissimi. L’autore cura anche il blog Mirino, dedicato alle scritture brevissime in prosa.]
BRUCIARE
In autostrada, dopo il primo week-end insieme, stiamo tornando a casa. Le sue cosce seminude vibrano mentre corriamo sui giunti di un viadotto e smetto di lanciare occhiate per sorpassare un tir in prossimità di una galleria. «Sono ubriaca», dice, ed è vero. Ora parla solo quando siamo nel ventre delle montagne. C’è ancora il mare, là fuori, non posso certo biasimarla. Mi volto verso di lei e il suo sorriso splende tra le ombre fugaci. Quando mi dico che è bellissima so di farle un torto. È inoltre simpatica e non parla mai di libri. Se dovessi spiegarle perché preferisco poesie e racconti ai romanzi, direi troppo del mio carattere. Saltella sul posto appena parte una canzone che le piace. Mi accarezza la guancia mentre canticchia e sento il profumo del doposole sulla sua mano. Presto o tardi, questo ricordo tenterà di uccidermi. Ma non ora. La galleria finisce. Le stelle bruciano ancora.
GROVIGLI
Cammino verso casa dei miei genitori, stranamente puntuale per l’invito a cena, al termine di una settimana passata a letto a guardare i grovigli di fumo delle sigarette districarsi in cappi d’argento. L’asfalto si sta ghiacciando. Ai piedi delle abitazioni ancora cumuli di neve sporca, carbonizzata. Mentre attraverso la strada per cambiare marciapiede, mia madre, perennemente in pensiero per me, mi chiama dopo aver sentito le sirene di un’ambulanza. «Sto bene», le dico, e riattacco. Le mie sciagure, invisibili, non spargono sangue.
GIOSTRA
Tua figlia spinge la giostra girevole e ci salta su al volo. Distogli lo sguardo per non vomitare mentre lei ride e dice: «Guardami!» La giostra sembra centrifugarla, la testa viene spinta fuori; stai pensando che avresti bisogno di un moto centripeto, che ti riassembli, riporti al centro. Sei seduta su una vecchia panca, nel giardino condominiale; le assi pasticciate con bestemmie, squadre di merda, amori che mancano. Sei seduta sulla tua vita.
PER UN AMICO
Mi chiedi se torneremo a essere quelli di un tempo, porgendomi l’accendino prima che io possa trovare il mio. Inciampo nella porta-finestra mentre usciamo sul balcone e tu, sorridendo, poggi la tua mano sulla mia spalla. Ci sono lettere stese come panni tra un palazzo e l’altro, e sulla strada umida sbiadiscono gli auguri. Mi rivedi dopo mesi, finalmente, oggi che ho ceduto alla tua insistenza. Perdonami, amico; c’è un vuoto che valico appena mi sveglio. E non sapendo rispondere alla domanda, soffio il fumo nella notte limpida e ti indico Orione.
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