Farsi o meno vaccinare. La riappropriazione del corpo avverrà collettivamente oppure non avverrà
di Andrea Inglese
1. Il rifiuto di vaccinarsi, oggi, riposa su di una grande speranza: quella di mantenere individualmente un controllo sul nostro corpo, quella di controllare, attraverso scelte individuali, ciò che determina o influisce in modo rilevante sul nostro metabolismo, sulla nostra salute, sull’intero equilibrio psicofisico. Penso che questa speranza sia del tutto legittima, ma illusoria. Una notevole quantità di fatti dimostrano che un controllo individuale sulla salute del proprio corpo è da tempo impossibile. Non solo sappiamo sempre troppo tardi, e non solo per ragioni scientifiche, ma soprattutto economiche e politiche, ciò che è nocivo nell’aria che respiriamo, nei materiali con i quali lavoriamo o che costituiscono il nostro ambiente architettonico, nei cibi o nelle bevande che ingurgitiamo. Evidentemente sogniamo che il nostro corpo sia sottoposto a un destino naturale, che degli agenti esteriori, da noi in gran parte controllabili, possano venire eventualmente a perturbare. Non è solo la stessa pandemia, ovviamente, a mostrare che questo non è possibile. Anche la semplice scelta di attuare dei comportamenti individuali protettivi di sé e degli altri non è lasciata alla sovrana deliberazione del singolo. Se qualcuno, da qualche parte del mondo, non produce un certo numero di maschere, noi non avremo maschere per proteggerci. Succede con la salute quello che accade con il lavoro: alla fine non ci si salva individualmente. La salute del corpo, come l’attività professionale che realizziamo, su scala sociale, ossia al di fuori della circostanza singola, dipendono dalla divisione mondiale del lavoro e dai rapporti di produzione, che riguardano anche l’esercizio della medicina e la ricerca scientifica. Ora, non si tratta semplicemente di constatare che il nostro corpo (la sua presunta “naturalità”) non ci appartiene più, ma di rendersi conto che la lotta per la sua riappropriazione passerà per l’azione collettiva (per la politica) oppure non avverrà.
2. Ho avuto il covid a fine settembre, senza conseguenze gravi. Per quanto tempo avrei potuto essere immune dal virus? Quattro, sei, otto mesi? Per un po’ di tempo ancora, certo, ma dati incontrovertibili non ne circolavano. A maggio, mi sono reso conto che avevo voglia di viaggiare, che se le frontiere venivano aperte, avevo voglia di attraversale senza sottopormi allo stillicidio di esami continui. Alla fine ero pronto a prendermi persino il rischio di farmi iniettare Astrazeneca, che nel frattempo, non senza qualche buona ragione, era diventato il Baubau dei vaccini. Quando ho avuto, poi, l’occasione di vaccinarmi con Pfizer, ne ho approfittato subito. Per un certo tempo anch’io, in virtù della momentanea immunità da ex-contaminato, mi ero detto: “Ma che fretta c’è? Aspettiamo un po’. Vediamo come vanno questi vaccini.” Poi ho capito che gli effetti negativi a breve termine, se c’erano, venivano a galla rapidamente (caso Astrazeneca), mentre per quelli a lungo termine, ammesso che ci fossero, non si sarebbero valutati sull’arco di cinque o sei mesi, e nemmeno di un anno. La pandemia, invece, aveva tempi molto più stretti. Confinamenti e ritorni alla vita normale si decidevano in pochi mesi, così come possibili nuove ondate, legate o meno a varianti. C’era, insomma, una scommessa da fare, ed essa si basava sulla maggiore fiducia assegnata a una strategia collettiva piuttosto che a una individuale. Quest’ultima confidava che, da solo, senza l’aiuto della medicina e senza alcuna fiducia nelle istituzioni, avrei garantito meglio la mia salute. Il problema è che sia a monte della pandemia (le cause umane che hanno contribuito al suo scatenamento – e qui poco importa che siano identificabili nell’eccessiva deforestazione o persino nell’incidente di laboratorio – ) sia a valle, (l’indebolimento delle istituzioni sanitarie, per politiche di riduzione della spesa pubblica), tutto si gioca sul piano del funzionamento globale della società, sul quale non sarà possibile agire che in modo collettivo e coordinato, ossia uscendo da strategie individuali che non saranno mai in grado di essere all’altezza dei problemi. Questa visione delle cose è a sua volta frutto di una scommessa, e questa però non è fondata su alcun dato. Nonostante cioè sia chiaro che la riappropriazione del corpo non potrà avere senso e avvenire che in termini collettivi (e quindi mediati), nulla garantisce che un tale obiettivo politico sarà realizzato in misura rilevante nel futuro. Qui si parla di mutamenti eccezionali, di carattere rivoluzionario. Nessuna sciagura storica di per sé li produrrà necessariamente, se le persone non decidono di produrli, o non vogliono tentare almeno di farlo.
è tutto assolutamente vero, ma forse non è una scommessa, almeno io spero che non lo sia, è che il mondo va così, l’uomo più precisamente è ‘genere umano’ nel tempo e nello spazio, la salute è una e riguarda uomo animali e ambiente, anche il Papa dice che non ci si salva da soli e ha ragione. Il problema credo riguardi la fiducia: può essere facile fidarsi del Padreterno,almeno per i credenti, o di qualche entità che riteniamo superiore e a cui deleghiamo volentieri, ma fidarsi di altri come noi, del cui lavoro non sappiamo niente perché niente ci capiremmo, ma su cui abbiamo informazioni a bizzeffe dalle più disparate fonti beh… è difficile; in fondo pretendere di avere il controllo sul nostro bene e sul nostro male altro non è che il peccato originale, siamo sempre là.
La fiducia, come elemento non riportabile a un puro calcolo razionale fatto da un individuo, ma come una componente base del comportamento sociale, è al centro di questa questione, in effetti. Ma va considerata “dialetticamente”, per usare un vecchio termine. Posso affidarmi alle istituzioni esistenti, perché non ho alternative migliori da abbracciare sul momento, ma devo essere cosciente che queste istituzioni necessitano di essere modificate su una serie di questioni cruciali, ma questo non è un compito che si realizza attraverso un gesto di ribellione individuale come quello di chi dice “non mi vaccino”, non mi faccio fregare dal “sistema”. Tra le poche persone che non vogliono farsi vaccinae e con cui ho discusso esiste discorso. Ed è un discorso che va in qualche modo preso in considerazione. Ci sono delle contestazioni collettive in atto al sistema esistente, ad esempio la battaglia per sospendere i diritti intellettuali sui vaccini e le tecnologie mediche che permettono prevenzione e cura per il Covid. Sono battaglie a cui l’Europa stessa si oppone, preferendo difendere la logica del “caritatevole” del dono. La proprietà intellettiale non si tocca, e poi noi facciamo il bel gesto di donare ai paesi più poveri qualche bella scorta di vaccini. Bisognerebbe ricordare ai “contestatori” individuali che i modi d’incidere sulle politiche della salute non sono per forza dei gesti di ribellione non solo velleitari, non solo passibili di essere accusati di scarso senso civico, ma anche semplicemente considerati come gesti autolesionisti. Il virus esiste, ha comportamenti imprevedibili ed è realmente pericoloso.
“La pandemia, invece, aveva tempi molto più stretti.”
La pandemia ha esattamente i nostri tempi perché siamo noi a diffonderla. Io ho il doppio vaccino ma non ci penso nemmeno a viaggiare, potrei essere un asintomatico che fa da tassista al virus.