La prevalenza del curriculum
di Giorgio Mascitelli
L’esame di stato dell’anno scolastico 2020/21, che comincia nei prossimi giorni, contempla la novità del curriculum dello studente allegato al diploma, che, previsto già dalla legge della Buona Scuola, tuttavia è stato introdotto solo quest’anno. Si tratta di un documento compilato dallo stesso studente in cui ognuno potrà riportare le attività extrascolastiche e le certificazioni conseguite sia in corsi organizzati dalla scuola sia esterni e che potrà servire anche come fonte d’ispirazione del colloquio d’esame. Benché visto dall’esterno possa apparire solo un’ennesima trovata dell’iperattiva burocrazia scolastica italiana, questo documento merita un minimo di attenzione in più anche dai non addetti ai lavori per quello che significa oggi e soprattutto in prospettiva.
In effetti la sua introduzione è stata accompagnata da una serie di interventi critici e risposte culminate con le dichiarazioni del presidente della Corte Costituzionale che, durante la conferenza stampa di presentazione dell’attività di quell’istituzione, ha espresso il timore che tale provvedimento possa minare il principio di uguaglianza, perché per esempio non tutti possono permettersi di mandare i figli all’estero a fare corsi di lingua, ma ha nel contempo espresso anche la fiducia che il ministro Bianchi saprà provvedere ai necessari emendamenti. Anch’io nutro la medesima fiducia nel ministro sia perché, come potrebbe capire perfino uno studente dal curriculum desolatamente vuoto, seguire il consiglio di un autorevole costituzionalista oggi significa risparmiarsi magari un ricorso alla corte domani sia perché, a mio avviso, questo provvedimento non ha come finalità principale la promozione della diseguaglianza, la quale oggi è più efficacemente affidata a un sistema di governance misto pubblico privato mediatico e non legislativo, e quindi fuori dall’ambito di pertinenza della Corte Costituzionale, comprendente prove INVALSI, rapporti di autovalutazione delle scuole e le cosiddette classifiche di qualità della fondazione Agnelli. Inoltre finalità e modalità della selezione oggi, essendo strutturalmente cambiato il capitale culturale, sono diverse da quelle dell’epoca, diciamo, di don Milani, ma questo è un discorso diverso e lungo che non si può affrontare qui.
Tra i più energici sostenitori del provvedimento troviamo Giorgio Vittadini e questo per gli addetti dei lavori non è certo una sorpresa, essendo egli uno degli estensori del documento d’indirizzo per introdurre le prove INVALSI, che appartengono allo stesso filone di innovazioni didattiche neoliberiste. Le più importanti argomentazioni portate dal fondatore della Compagnia delle Opere a favore del curriculum dello studente sono la necessità di una valutazione più moderna che superi le secche di una valutazione disciplinare a vantaggio di una visione complessiva dell’alunno e il fatto che in Europa si ritiene sempre di più che il futuro della valutazione sarà basato sui cosiddetti character skills. Essi sono quei tratti caratteriali, per esempio l’estroversione, l’amicalità, la coscienziosità, la stabilità emotiva e l’apertura all’esperienza, che concorrono in maniera significativa a formare un capitale umano efficiente e performante, accanto ad abilità e competenze e più specifiche, e che pertanto dovrebbero far parte della valutazione scolastica in maniera aperta e autonoma, sostituendo parzialmente o del tutto quella del profitto scolastico.
Che un uomo come Vittadini, la cui storia pubblica è legata alla scuola privata, veda con favore un simile tipo di valutazione, di cui il curriculum dello studente con ogni evidenza è un primo passo, è assolutamente comprensibile. La scuola privata, infatti, vive spesso una contraddizione tra l’adesione, per necessità di comunicazione sociale, al principio della meritocrazia negli studi e nel contempo a quello commerciale del cliente che ha sempre ragione; è chiaro che una valutazione basata sulle competenze caratteriali consentirebbe di riformulare il principio meritocratico in modo utile per superare questa dolorosa contraddizione in quanto la certezza di avere gli studenti con i caratteri migliori, perché se non fossero tali mai avrebbero scelto una delle scuole migliori, ne farebbe meritocraticamente una delle scuole migliori.
Se tuttavia si prova a considerarne in generale gli effetti sul sistema scolastico, è probabile che una valutazione basata in prevalenza su competenze caratteriali, specie in un clima competitivo come quello che disegnano nella scuola le prove INVALSI, tenda a uniformare la partecipazione degli studenti su determinati standard comportamentali e alla lunga a favorire la costruzione di un tipo di identità scolastica e personale particolarmente funzionale alla formazione di capitale umano. Se nell’immediato questo significa indicare alla nostra gioventù come valori positivi il conformismo e il servilismo, alla lunga implica una dimensione biopolitica della scuola che non avrebbe più come scopo quello di fornire gli strumenti culturali per una crescita autonoma di individui liberi, ma di creare soggettività funzionali o quanto meno resilienti a una determinata visione ideologica delle risorse umane in senso aziendale.
Esagero? Stabilisco legami indebiti tra un singolo provvedimento e le opinioni di un singolo operatore, per quanto autorevole? L’esame di alcuni dettagli può fornire qualche risposta utile. Innanzi tutto questo curriculum verrà allegato al diploma di maturità quasi a correggere e limitare il voto finale, basato essenzialmente sul profitto scolastico, come si faceva con gli esiti delle prove INVALSI ( quest’anno è impossibile allegarle solo perché a causa del covid non sono obbligatorie). Questa relativizzazione del diploma di maturità è legata al tentativo di abolizione del valore legale del titolo di studio che sarebbe fondamentale per introdurre queste nuove forme di valutazione. In secondo luogo da alcuni anni in qua, contrariamente a quanto si faceva prima, il voto di condotta fa media con i normali voti di profitto e nel triennio delle superiori sulla base della media dei voti si attribuiscono i punti di credito scolastico che entrano a far parte del punteggio di maturità attribuito dalla scuola. Nel passato il voto di condotta veniva attribuito come indicatore di un atteggiamento, ma non poteva in alcun modo determinare il profitto dell’alunno: certo il comportamento dell’alunno influenzava indirettamente il profitto ( è ovvio che chi è spesso disattento o assente alle lezioni verosimilmente avrà qualche difficoltà scolastica), ma non vi era la pretesa di giudicare la persona in quanto tale, ma solo le sue prestazioni scolastiche. L’inserimento del voto di comportamento nelle voci di profitto è evidentemente già un passo verso la direzione della valutazione della persona che Vittadini e altri auspicano. In terzo luogo anche il PCTO ( il nome assunto di recente dall’alternanza scuola lavoro) presuppone forme di valutazione comportamentale e caratteriale dell’alunno negli stage che possono confluire nella valutazione scolastica. Insomma ci troviamo di fronte a un’effervescenza normativa in questi ultimi anni che indica abbastanza eloquentemente l’obiettivo di una valutazione della persona con tutti i comprensibili rischi di una scuola che valuta gli individui in quanto tali e non le cose che hanno imparato.
Nel romanzo Il professor Unrat, dal quale venne tratto il celebre film L’angelo azzurro, Heinrich Mann ci offre un’acre satira della scuola ( e della società) della Germania guglielmina: un solerte docente di latino e greco, il professor Rath, è così immedesimato nella sua funzione di controllore della moralità degli studenti da non tormentarli solo a lezione, ma da seguirli anche nelle ore libere allorché si recano in teatrini di varietà; sarà così che incontrerà e si innamorerà della bella Lola Lola, interpretata da Marlene Dietrich nel film, perdendo la sua onorabilità e tradendo fortunatamente la sua missione sociale. Oggi la scuola è agli antipodi di quel modello repressivo e concentrazionario, eppure provvedimenti come il curriculum dello studente, sotto l’interfaccia amichevole e l’enfasi postmoderna sulla valorizzazione delle caratteristiche individuali, lasciano intravvedere la medesima volontà di controllo sociale.
Ci devo pensare. Va pur riconosciuto che la scuola non è e non può essere l’unica agenzia formativa. Nel curriculum dello/a studente può essere compreso ad esempio anche il lavoro estivo. Non si può dire di no a tutto. Meglio fare proposte articolate
Bella analisi. Da una decina d’anni anche nelle imprese (anche pubbliche e para-pubbliche) si passa dal 30 al 50% del tempo in “valutazioni”. Il controllo sociale capillare facilita l’obiettivo primario: mors tua vita mea.
Un ringraziamento alle lettrici per i loro commenti. A Eugenia vorrei dire che sono d’accordo sul fatto che la scuola non può essere l’unica agenzia formativa, proprio per questo esprimo preoccupazione sul fatto che valuti attività ed esperienze che le sono esterne e addirittura aspetti del carattere, che non dovrebbe essere oggetto di alcun tipo di valutazione istituzionale. Concordo anche con quanto dice Rosy: stiamo assistendo a un’estensione della valutazione non solo nel settore pubblico, ma in tutti i campi della vita sociale, la cui finalità pare essere far interiorizzare la competitività.
Grazie per questa analisi puntuale, caro Giorgio. Sarà forse un’associazione libera, ma mi pare si possa notare più di un’affinità tra questa valutazione delle “competenze caratteriali” in ambito scolastico da un lato e il funzionamento dei processi penali per terrorismo degli ultimi decenni (ai danni soprattutto di anarchici) dall’altro lato: invece di cercare di acclarare atti precisi, il pubblico ministero di turno si concentra sul carattere dell’individuo pericoloso alla sbarra per evidenziarne fantomatiche propensioni. C’è ovviamente molto di inquisitorio in tutto ciò. In effetti le analisi di Foucault in “Sorvegliare e punire” restano ancora attuali.