Dante e Forese Donati
Tra le opere in volgare di Dante, dopo la Vita Nuova, vi sono le Rime, di vario tipo, sonetti, canzoni, alcune anche di dubbia attribuzione, che vengono comunque riportate per sicurezza nei vari repertori danteschi. Vi sono in particolare, tra quelle considerate sicure, dei sonetti scambiati con altri poeti coevi con cui il Nostro intratteneva buoni o anche ottimi rapporti. Uno di questi è un certo Forese Donati: egli porta lo stesso cognome della moglie ufficiale (non la sua donna angelicata che tutti sappiamo) Gemma Donati e infatti è suo terzo cugino. Negli anni compresi tra il 1293 e il 1296 (anno della morte di Forese) lui e Dante si scambiano tre sonetti a testa, comincia Dante e finisce Forese, che ha dunque l’ultima parola; come vedrete questi sonetti non sono proprio benevoli, anzi i due si scambiano insulti e insinuazioni sulle reciproche capacità di vario tipo. Forese è chiamato Bicci novel per distinguerlo dal nonno paterno che aveva lo stesso nome. Qui trovate i primi tre sonetti, Dante – Forese – Dante e i seguenti tre domani su La Poesia e lo Spirito, dove, come ogni mese pubblico parallelamente questi ricordi danteschi. Ecco dunque la prima metà della tenzone:
1. Dante a Forese (LXXIII)
Chi udisse tossir la mal fatata
moglie di Bicci vocato Forese,
potrebbe dir ch’ell’ha forse vernata
ove si fa ’l cristallo ’n quel paese.
Di mezzo agosto la truovi infreddata;
or sappi che de’ far d’ogn’altro mese!
E no·lle val perché dorma calzata,
merzé del copertoio c’ha cortonese.
La tosse, ’l freddo e l’altra mala voglia
no·ll’adovien per omor’ ch’abbia vecchi,
ma per difetto ch’ella sente al nido.
Piange la madre, c’ha più d’una doglia,
dicendo: «Lassa, che per fichi secchi
messa l’avre’ in casa il conte Guido!».
2. Forese a Dante (LXXIV)
L’altra notte mi venn’ una gran tosse,
perch’i’ non avea che tener a dosso;
ma incontanente dì [ed i’] fui mosso
per gir a guadagnar ove che fosse.
Udite la fortuna ove m’adusse:
ch’i’ credetti trovar perle in un bosso
e be’ fiorin’ coniati d’oro rosso,
ed i’ trovai Alaghier tra le fosse
legato a nodo ch’i’ non saccio ’l nome,
se fu di Salamon o d’altro saggio.
Allora mi segna’ verso ’l levante:
e que’ mi disse: «Per amor di Dante,
scio’mi»; ed i’ non potti veder come:
tornai a dietro, e compie’ mi’ viaggio.
3. Dante a Forese (LXXV)
Ben ti faranno il nodo Salamone,
Bicci novello, e petti delle starne,
ma peggio fia la lonza del castrone,
ché ’l cuoio farà vendetta della carne;
tal che starai più presso a San Simone,
se·ttu non ti procacci de l’andarne:
e ’ntendi che ’l fuggire el mal boccone
sarebbe oramai tardi a ricomprarne.
Ma ben m’ è detto che tu sai un’arte,
che, s’egli è vero, tu ti puoi rifare,
però ch’ell’è di molto gran guadagno;
e fa·ssì, a tempo, che tema di carte
non hai, che·tti bisogni scioperare;
ma ben ne colse male a’ fi’ di Stagno.
non occorre stupirsi di questa apparente aggressività: Dante e Forese rimangono buoni amici e tutto questo modo di lanciare invettive è largamente rituale tra la focosa gioventù dell’epoca, e da quel che traspare dalle cronache del tempo focoso Dante lo era assai, soprattutto in politica, naturalmente, nelle continue battaglie tra guelfi e ghibellini e tra Neri e Bianchi, finché proprio dai Neri Dante sarà in malo modo scacciato da Firenze.