Fate Morgane
Le visioni di Marilena Renda hanno un preciso contesto geografico di riferimento, eppure proprio per questo sfuggono, costantemente: la memoria non scrive più le mappe dei luoghi, che restano in attesa di svanire o divenire. Perfino l’amore è una fata morgana: fatale segno del destino, che permane in impressioni, più che nella reciproca comprensione. Nei corpi della madre, della figlia e dei bambini del mare (in senso reale, con riferimento ai migranti, e simbolico, come creature più forti e selvagge dei loro genitori), affiora una verità tutta fisica e sensoriale, in cui trovare riconciliazione. Forse la sospensione delle fate è l’enigma della parola che insieme contiene e tradisce il passato, anticipa e fallisce il futuro, ma continuamente si china per accogliere. Parafrasando i versi di una poesia: “fa le prove” per un mondo e il suo successore. (FM)
di Marilena Renda
È vero, della natura non ti puoi fidare,
ma non dovresti nemmeno disturbare i vulcani.
Potrebbero, se vogliono, emettere
quella bava di fuoco per cui sono famosi
oppure non fuoco, ma metano e fango,
un muro alto venti metri, o anche quaranta
che nelle belle giornate può sollevarsi
e seppellire una famiglia di tre persone.
Ci sono luoghi che non sono come appaiono,
come isole che compaiono all’improvviso
e spariscono dopo una settimana,
terreno per fate morgane e inganni perfetti.
***
Ti abbiamo spaventato, una sera, con gli anni Cinquanta,
i mercoledì sera che si sparava e i bambini che non uscivano,
con mio nonno che sparò al fidanzato della sorella
e gli zii americani che non disdegnano la compagnia
dei narcotrafficanti e dei feroci bestioni di Villabate.
Mio padre coltiva la leggenda dei mafiosi di una volta,
che aiutavano le ragazze a rompere i fidanzamenti
e i paralitici ad ottenere le sedie a rotelle.
Mio nonno contrabbandava grano ed era protetto da Giuliano
e da strani Robin Hood che gli permettevano di trafficare.
Non volevo spaventarti, e non ti ho neanche consolato,
il giorno dopo, in aeroporto, quando sentivi ancora
il fischio delle pallottole alle spalle,
quando mi sono liberata della tua innocenza,
e superato Montelepre, le pietre, le montagne dei briganti
ho gettato dal finestrino la protezione e quel che resta.
***
Non avevo mai visto una casa, quindi la trovai spaventosa.
Venivamo da una tana, conoscevo solo tane.
Mia madre non aveva più lo sguardo del terremoto,
la gonna sgualcita e lo sguardo verso il basso
di quelli che provano a fare ordine nel terrore.
Le madri sono buone, buone come la terra
e la terra è buona anche quando non lo è affatto.
Il loro regno è potente e silenzioso
e nel sangue hanno la quiete della morte.
***
Partorirò un mostro perfetto,
già senza pregi,
che mi guardi
con l’odio della creatura
che prometto di ricambiare,
per espiare il detestabile dono
della vita.
Nessuno amerà tenerlo,
tutti frettolosi nel toglierselo dalle braccia.
Per questo ho ronzato attorno al sogno
finché non sei arrivata tu,
che adesso corri nel recinto
insieme a una bimba malata
che cade sulle mattonelle.
La madre la rimette in piedi,
e tu le piombi addosso
col tuo verso alluvionale,
mentre io ricordo la promessa
a cui non ho prestato orecchio
e che certamente si vendicherà.
***
per Bonaviri
Raccontami di nuovo la storia del bambino
che al tramonto strapparono alla madre
per innestare il suo corpo nel carrubo,
perché dalla circolazione di linfe e succhi
gli uomini ricavassero nuovo nutrimento.
È il padre che deve cibarsi dei frutti di questa infiorescenza,
mangiare carne giovane mescolata a foglie,
in modo da tornare dalla morte al figlio che lo cerca.
Raccontami di nuovo di come il figlio si illuse
di riportare il padre sulla terra e ribaltare le leggi di natura,
di come la madre si trovò perduta, in mezzo alla terra,
perduta, e poi che trovò il figlio-pianta sul punto della morte,
gli si abbracciò dimenticandosi tutta l’altra vita.
***
A Chernobyl, dopo l’evacuazione, i veicoli
sono rimasti a lungo sulla strada. La ruggine non ha fretta,
i bambini venivano su come capitava, in tempo di guerra
nessuno può pretendere attenzione.
Da dove arrivava la nube, tutto è stato sigillato.
A che serve coltivare le arti del passato,
i gesti classici, quando la terra muore?
Non c’è accordo, invece, su cosa fare delle rovine,
nessuno pensa a liberare le vecchie case dai mobili,
dai materassi, i libri e le bottiglie.
Il cinghiale e la lince corrono molti rischi,
ma possono sempre tornare dalla preda,
la foresta fa un silenzio che dice la verità,
gli animali ricordano l’uomo, ma in modo confuso
le categorie si sono mescolate nella zona d’esclusione
le foglie hanno cambiato forma
il mondo fa le prove di un altro mondo.
***
Una nigeriana, a Palermo, in via Juvara
ha gettato in un sacco ciò che resta di un bambino.
La sua morte fino a ieri sarebbe stata solo un pericolo scampato,
uno di quelli di cui si nutre con divertimento
la nostra storia di adulti, con le cadute dalle scale
gli incidenti stradali e i danni ai denti.
Quante cose non vedono i santi che proteggono,
tutta la violenza al centro di questo amore.
Poesie tratte da: Marilena Renda, Fate Morgane (L’Arcolaio, 2020)
e lo sguardo verso il basso
di quelli che provano a fare ordine nel terrore.
Quante cose non vedono i santi che proteggono,
tutta la violenza al centro di questo amore.
Versi molto belli, complimenti Marilena! Spero poter leggere presto il libro intero!
grazie.