La caverna non è una muta
di Mariasole Ariot
O dovremo obbedire, e cavalcare con te fra gli annegati
Dylan Thomas
Cui Cesar – Preludes – Moderato assai “
Al mattino fuoriesce un verme dalla bocca, annodato dalla notte che è di ottone, una tomba annuncia il sangue del mattino, mi sputa nella gola un meccanismo artefatto di parole, quando non sappiamo dirci e il corpo disfa per una comunicazione interna, fondersi con l’altro, diffondersi nell’aria, e i vermi escono, uno a uno, annunciano un giorno malato, le cecità mortali delle grotte e delle gole
Il grembo della madre è una caverna
Un cordone ombelicale carezza l’animale, e gli animali non portano ginocchia con cui inginocchiarsi, pregano ferite suturate attorno al collo, la dolcezza falsa della polvere di millenni caduti addosso, l’umano con le ghirlande al collo che dimentica i fiumi e i fumi con cui è nato, tornato sempre all’origine del male, masticando un alone sulle teste rapate dei baci, quando siamo accorti e ci preghiamo di non fare, e preghiamo: non urlare l’inverno sotto la sabbia
Le grida nel deserto non spostano le dune
Le gambe si aprono a conchiglia, con lingue piovose e già annerite, la lingua nera di chi non è innocente, un abito bianco con cui ci vestiamo addolorati – e poi smorfiàmo, le bocche e un ghigno di piacere, morire prima dei guardiani, non poter avere chiave ma una testa lacerata: il corpo si è rinchiuso in un armadio. La certezza di dire un assoluto, la verità sommersa che urla di non dire, pronunciàti solo quando è caso, quando vuole il caso definirsi, e piange il fiore e le stìpole cadute, piangono i segreti dei figli, ma figliare è capovolgere un destino
Se ho taciuto non è per compressione
Fotografia: Sohrab Hura – India,2007
I commenti a questo post sono chiusi
“ma figliare è capovolgere un destino”
Un testo breve, quasi surrealista. Il finale azzera ogni certezza, ma punge nel vivo.
Grazie, Al, di aver letto e di aver lasciato una traccia
Testo notevolissimo: qui non è il silenzio a essere conseguito, ma la parola che è però soltanto un succedaneo, un palliativo della vera espressione che è nella vita, nella darla. O almeno così sembra a me che sono un vecchio babelico.
Caro GIorgio, sono felice tu abbia apprezzato. Grazie per le parole, e soprattutto per averle lette (o il silenzio), per esserci entrato.