L’aratro della discordia

di Giacomo Sartori

C’eravamo già da moltissimo tempo abituati a raccogliere quello che trovavamo andando in giro, milione di anni dopo milione di anni, poi l’altroieri ci siamo messi a raccogliere i semi delle piante e a piantarli noi. Per varie ragioni sulle quali gli esperti non sono nemmeno troppo d’accordo, adesso non stiamo lì a disquisire di questo. Invece di sgambettare in giro raccoglievamo i semi delle piante che avevamo seminato e li mangiavamo, e una piccola parte, quelli più grandi e delle piante più belle, li riseminavamo. Era insomma nata l’agricoltura, e la genetica. E erano apparsi i commercianti. E anche i guerrieri, perché dove c’è commercio c’è guerra, questo è assodato.

Non cerchiamo di appurare se in questo passaggio siamo diventati più felici o meno, la felicità si soppesa male. Senz’altro nel cambiamento siamo diventati più stupidi, e il nostro cervello si è rimpicciolito. Perché per raccogliere quello che c’era ci voleva un’ottima memoria e bisognava essere molto esperti, ognuno doveva essere un insigne tassonomo e naturalista. In ogni caso seminando noi le piante abbiamo fatti progressi incredibili anche in termini numerici, cosa da fare invidia alle formiche dei formicai.
Siamo una specie intelligente, anche se magari un pochino meno di prima, questo non si nega, e abbiamo visto che se preparavamo la terra con uno strumento idoneo, che abbiamo chiamato aratro, i semi attecchivano meglio, e le piante erano più contente. Perché le piante coltivate non amano le erbacce, insomma quelle che consideriamo erbacce, e amano trovare il terreno morbido e arioso. Nel frattempo avevamo adottato i metalli, e quindi gli aratri erano molto più robusti, sempre più robusti, e più pesanti. Per tirarli ci attaccavamo dei buoi, e dopo qualche rapidissimo migliaio d’anni dei motori con le ruote, che chiamiamo trattori. Abbiamo arato tutte le foreste di pianura, e non solo quelle, per creare campi arati, sempre più campi arati, campi arati dappertutto, basta vedere il disegno di Silvia. Spesso alla terra non piaceva essere arata, e se ne è andava via. Siamo sempre più numerosi, e sempre più affamati di animali, che mangiano tantissimo, e quindi abbiamo bisogno di tantissimi campi arati.
Il nostro vero avanzamento tecnologico è questo, l’aratro, tutto il resto, compresi i tanto decantati computer, e l’ingegneria genetica, sono dettagli da niente. Da sette-diecimila anni mangiamo piante coltivate su terreni arati, o animali che mangiano piante coltivate da terreni arati, e adesso anche pesci che mangiano piante coltivate su terreni arati. Il problema è che negli ultimi cento anni abbiamo molto tirato la corda, a forza di concimi chimici e di arature e riarature, e la terra arata si è stancata, spesso è ammalata, o semplicemente se ne è andata via per sempre. Poi qualche decennio fa gli americani si sono accorti che potevano in fondo piantare i semi anche senza arare, la terra si stancava meno. Facendo dei buchini con una grande macchina, e mettendoci dentro i semi: le piante sono contente anche così. Il problema senza arare sono le erbacce. Per sterminare le erbacce gli americani usano i diserbanti. Giù pesanti con i diserbanti, e il terreno è pronto per la semina. E’ un metodo che si sta diffondendo dappertutto, perché le trovate americane fanno sempre colpo. Il problema sono questi cavoli di diserbanti, e le porcherie che formano degradandosi: dal terreno vanno anche nelle acque, e poi nel nostro sangue e in quello degli altri esseri viventi.
Il nostro problema adesso è questo: siamo tantissimi, sempre di più, e abbiamo tanta fame, fame di torelli e maiali che maciniamo e infiliamo nei panini, o che spadelliamo a fettine. E quindi attacchiamo gli ultimi lembi di foresta tropicale. Se però continuiamo a usare l’aratro stanchiamo troppo la terra già indebolita dai concimi chimici e dall’erosione, già morente. Se non usiamo l’aratro la facciamo ammalare per i diserbanti, e ci ammaliamo anche noi. Un bel cruccio, un vero di lemma, altro che intelligenza artificiale e nanotecnologie.

 

NdA: questo pezzo è inserito nel catalogo della mostra di (bellissime) opere infantili “Terra!“, organizzata da Fondazione PinAC di Brescia (Rezzato), e ora aihmè sospesa, ma aperta fino a giugno 2021; il catalogo comprende anche vari altri interventi di ricercatori e specialisti ambientali, ognuno dei quali abbinato a un’opera esposta; l’immagine:: Silvia Heimbach, Vienna, 1967, tempera, 50×41 cm

 

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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