Leggere, le voci – Dizionario affettivo degli scrittori


L’indiano Giorgio Vasta – perché come dice Biondillo se si è stati indiani una volta lo si è per tutta la vita- ha accettato di rispondere alle mie domande su un libro che è appena uscito e che sarà presentato a Pordenone legge il prossimo week end.
effeffe
ps
Per chi volesse leggersi la storia del progetto ideato da Matteo B. Bianchi consiglio un giro su questo sito.

Effeffe:Com’è nata l’idea di questo libro?

Giorgio Vasta: L’idea di un Dizionario Affettivo della Lingua Italiana è di Matteo B. Bianchi che lo scorso autunno aveva pubblicato su ‘tina, la sua rivista on line, quello che è stato il germe iniziale di tutto il lavoro successivo. Matteo aveva contattato tramite posta elettronica una serie di scrittori domandando a ognuno di individuare un termine per loro importante dal punto di vista affettivo e di scriverne una definizione, una breve dichiarazione d’amore (ma anche di odio, nel caso). Seguendo ‘tina ho letto anch’io scelte e definizioni, ho trovato l’idea molto bella e ho contattato Matteo per proporgli di sviluppare questo primo spunto in qualcosa di più strutturato. Unendo le forze, e con la collaborazione della Scuola Holden nonché, fondamentale, di Stefania Notte, che ha svolto il ruolo al contempo di segreteria organizzativa, coordinatrice, collettore e “memoria” del progetto, ci siamo messi a lavorare.

Quanto tempo è durato il progetto?

Circa un anno. Dall’autunno 2007 a quello 2008, continuando a raccogliere contributi fino al giorno in cui siamo andati in stampa. Una, chiamiamola così, “gestazione” necessaria perché chiedendo agli autori coinvolti di intervenire a titolo gratuito, per simpatia per il progetto e compatibilmente con i propri impegni, fissare una scadenza più ravvicinata sarebbe stato difficile. In un anno, lavorando pressoché ogni giorno, abbiamo raccolto poco meno di trecentocinquanta parole con le relative definizioni.

L’editore come ha accolto questa proposta?

Fandango ha accolto positivamente la nostra intenzione di realizzare il libro, cosa che ci ha fatto molto piacere, perché si sono resi conto che questo dizionario, al di là di proporre una riflessione sulle parole, era anche una specie di piccola mappatura delle scritture e degli scrittori. Da un punto di vista strettamente pratico e operativo, con Matteo e Stefania abbiamo di fatto costruito una nostra microredazione che soltanto nell’ultima fase, a libro quasi terminato, ha lavorato con la redazione della casa editrice, che si è incaricata di “dare forma” al volume.

Che peso ha avuto la rete per la mise en place del progetto?

Direi fondamentale. Prima di tutto il Dizionario Affettivo è nato, come dicevo prima, in rete, quando Matteo l’ha pubblicato su tina. In secondo luogo la rete ci ha permesso di fare ricerche e persino di individuare i contatti di alcuni autori (laddove le case editrici non erano in grado di aiutarci). Stefania ha contattato più di uno scrittore scrivendo l’invito nella pagina dei commenti del suo blog. La rete ha fatto dunque da tessuto connettivo. È anche vero che alcuni contributi li abbiamo raccolti telefonicamente, trascrivendoli a mano, oppure via fax. A un certo punto penso che se Stefania mi avesse comunicato l’arrivo di un piccione viaggiatore con un messaggio legato alla zampa, non mi sarei stupito più di tanto.

Quali sono state le sorprese “piacevoli” e quali gli inconvenienti?

Le sorprese sono state le parole scelte e le loro definizioni. Dalla prima che ci è arrivata, il giorno stesso in cui abbiamo fatto partire i primi inviti, e che è valsa quasi da monito, “responsabilità” (di Eraldo Affinati), a una curiosa convergenza degli autori palermitani sullo stesso termine: nel giro di un paio di giorni, Davide Enia e Vittorio Bongiorno hanno indicato l’esclamazione “minchia”; quando anche un terzo autore di Palermo stava per fare la stessa scelta Matteo e io abbiamo pensato a una specie di epidemia. In questa come in altre circostanze abbiamo però deciso di accettare sempre il caso di parole scelte da più autori. Così come un vero dizionario riporta più accezioni dello stesso termine, anche il nostro propone, su parole come “memoria” o “silenzio”, più definizioni di scrittori diversi. Per quanto riguarda gli inconvenienti, qualche incomprensione con alcuni autori. Del resto, se c’è possibilità di fraintendimento in una comunicazione a due, moltiplicando per oltre trecento diventa pressoché inevitabile.

Le reazioni degli autori contattati?

Varie. C’è chi ha accolto la proposta con entusiasmo e a stretto giro di posta ci ha mandato la sua definizione, chi ha legittimamente voluto saperne di più e quindi ci si è sentiti telefonicamente, chi non ha mai risposto e chi, altrettanto legittimamente, ha detto che l’idea non gli interessava. Nella prefazione al libro, Matteo ha estrapolato dagli elenchi dei contatti che Stefania man mano aggiornava le ragioni dei rifiuti, solo quelle. Ognuna sacrosanta ma lette in sequenza sono molto belle perché si trasformano nella macrodefinizione della parola “no”. In generale, però, grande disponibilità.

Qualche aneddoto (se ce ne sono).

Non so se sia proprio un aneddoto. A ogni autore abbiamo chiesto di mandare una definizione di dimensioni variabili tra una parola e un massimo di quattromila battute, vale a dire circa due pagine o poco più. Un autore, Giordano Meacci, compiendo un equilibrismo ha mandato la sua definizione, la parola scelta era “genio”, di quattromila battute esatte. Non tremilanovecentonovantanove né quattromilauno. Voglio ancora sentirlo per chiedergli come ha fatto, ma soprattutto perché.

Esiste un blog dov’è possibile continuare l’opera su cartaceo?

Sì. Con Matteo abbiamo pensato di non chiudere questo progetto con la pubblicazione del libro ma di farlo andare avanti attraverso il contributo di chi vorrà andare su www.dizionarioaffettivo.it e lasciare la sua definizione. Ci piacerebbe che attraverso questa ulteriore espansione potesse continuare un lavoro che è, tornando alla prima definizione ricevuta, assunzione di responsabilità nei confronti del linguaggio.

Si sono create delle cartografie interne? Voglio dire dei generi (tipo i giallisti, i poeti…) o anche delle aree geografiche, nuclei generazionali, degli immaginari condivisi?

Al di là dell’esempio già riportato della convergenza ipnotica degli autori palermitani sul medesimo termine, e della scelta di alcuni autori di parole identificative del loro percorso di scrittura, credo che la cartografia che può essere desunta dal libro sia molto frammentaria e riconducibile all’essenzialità dello sguardo di ogni scrittore, a una specie di suo nucleo singolare e originario. Due esempi in questo senso. Trovo bella e impressionante la parola scelta da Wu Ming 1, “fecaloma”. La sua definizione fotografa l’Italia contemporanea in un modo perfetto. Ne riporto un estratto: “Antichi fecalomi intasano le viscere del Paese. Chi somministrerà il clistere? E poi, basterebbe un clistere? Non c’è forse bisogno di una lunga, lunghissima seduta di idrocolonterapia, per sciacquare le interiora di ‘sto mostro comatoso?” Su un’altra tonalità, ma sempre con assoluta coerenza alle caratteristiche del suo sguardo, la scelta di Laura Pariani, “facchiottamare”: “Misterioso verbo contenuto nella preghiera ‘O mio caro buon Gesù,/ facchiottami sempre più’. Da bambina non ebbi mai delucidazioni sull’incomprensibile parola. Capivo vagamente che facchiottamare voleva dire voler bene con intensità divorante (tipo lupo di Cappuccetto Rosso), con una sfumatura leggermente erotica.”


E se volessi definire la voce dello scrittore italiano oggi, come la descriveresti?

Se dovessi definirla a partire dalle “voci” raccolte nel Dizionario direi che è viva, aspra e intensa. Recedendo dalla voce alla bocca e dalla bocca alla gola e a tutto il corpo, il mio desiderio è quello di leggere voci abissali, da scoperchiare come vasi di Pandora.

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12 Commenti

  1. Adoro il progetto e comprero il dizionario. Un termine diventa affetivo per il vincolo con la vità di ciascuno. Per esempio, un termine sentito nell’infanzia continua a farmi sognare, o a fare battire il mio cuore.
    C’è una dimenzione magica nella lingua che oltrepassa una semplice definizione. Quando pronuncio Chocolat, mi viene la sostanza dolce, sensuale nella bocca; mamman e sento il corpo caldo di mia madre,
    chanson, “Languedoc” e vedo una terra che si tinge d’oro, il termine lumière mi fa entrare in pieno cielo ( ma ho una preferenza per il luz spagnolo, non so perché), le cerisier mi evoca l’albero magnifico del mio giardino d’infanzia, il termine mare o malva fa danzare in me un colore magnifico, mogano mi dà un’ impressione di segreto.
    Il termine diventa affettivo, quando si orna di sensazioni.
    Odio i termini mathématique, dent, travail, tirailler, crisser, agacer.

    In Francia c’è una collezione : le dictionnaire amoureux.
    J’ai le dictionnaire amoureux de Naples.

  2. cara Verò
    se vai su questo sito http://www.dizionarioaffettivo.it/ nella colonnina di destra è possibile inserire la parola che per te e per chiunque si colleghi al sito riveste un particorale significato. In questo caso, chocolat, vai alla lettera C o G come Gobino
    effeffe

  3. E adoro! Ho trovato cacao. Splendido. Mi viene il sapore dietro la lettura della definizione.
    effeffe: che è il tuo termine preferito?

  4. @ Effeffe (comunicazione personale)

    Non puoi rubare!
    Se non restituisci il maltolto, non ti invierò più
    “l’Isola per chi non c’è”, che stava per partire
    in una busta gialla.

  5. a ru ba a ruba
    ma sì, cioè cosa, insomma,
    dimmelo ora, mon soldat!
    effeffe
    ps
    ma la mia è una definizione piccola piccola, l’isolitudine
    il libro adesso me lo mandi, però

  6. @ effeffe

    Avevo pensato anch’io a “isola”, ma mi hai preceduto!

    Era quindi delusione per primogenitura sfuggita,
    caro Giacobbe.

    Ma vedo adesso che non è “isola”, piuttosto “isolitudine”.
    Per rispetto la lascio anch’io e scelgo “monado”.

    Monade
    Monaco
    Nomade
    Mona
    ::::::
    ::::::

    Non era un libro, ma è un DVD.

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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