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Nel fuoco della scrittura


Roma – Sabato 20 settembre ore 18.00
Inaugurazione della mostra di pittura e presentazione del libro
Nel fuoco della scrittura
di Biagio Cepollaro

La mostra si può visitare fino al 17 ottobre
dalle ore 17.00 alle ore 23.00, esclusi i lunedì. Di mattina su appuntamento.

Centro Culturale
»LA CAMERA VERDE«
Via Giovanni Miani, 20, 20/a, 20/b – 00154 Roma
Cell. 340 5263877
e-mail: lacameraverde@tiscalinet.it
www.lacameraverde.com

*

Da: Nel fuoco della scrittura

C’è la scrittura, ci sono le ‘cose scritte’ e c’è l’atto dello scrivere, il movimento del braccio e della mano nella percezione del contatto con il supporto. E c’è un atto dello scrivere che è un vero e proprio atto sacrificale in cui la parola appena scritta è sin dall’inizio solo una traccia e uno strato della nuova (che magari è la stessa) parola scritta e così, tendenzialmente, all’infinito.
L’atto dello scrivere a questo punto è un fare strato su strato che non è cancellazione ma sedimentazione della traccia. Tale sedimentazione è già immagine e visione: quando ciò che conta non è la sua funzione informativa né quella espressiva ma il fisico esserci, il segno di un’invocazione ripetuta, di un’apertura del cuore, di una speranza.

Quando questo fisico esserci è già struttura compositiva, è già senso al di là del significato.
E’ la danza della parola che come per la danza dei dervisci gira in tondo: non è più importante il corpo che si muove, la figura della danza, ma ciò che di questo movimento resta, la scia di un abbandono estatico. E c’è in questo tipo di danza un‘intenzione cosmologica e cosmogonica, il danzatore, ad esempio, mima il moto dei pianeti muovendosi in senso antiorario sul proprio asse.

Anche l’atto dello scrivere può avere la stessa intenzione quando riporta sul piano l’organizzazione di un suono. Millenni testimoniano questa possibilità. Scrivere dimenticando per poter ancora scrivere, come si ara un terreno, nell’estenuazione dell’andare e del venire, del sorgere e del tramontare.

Quando la scrittura non è più uno strumento di comunicazione, un codice, un veicolo, quando non è neanche un segno indecifrabile decaduto ad oggetto, diventa materiale di costruzione che ai miei occhi rimanda direttamente alla relazione con il mondo. Il pensiero sulla scrittura ha sempre connesso i diversi sistemi di codificazione alle cose da dire, raccontare, calcolare. Ma quando uno strumento viene restituito alla sua origine, quando non si proietta più nel passato remoto una mentalità economica che è invece moderna, accade di fare una strana esperienza della scrittura.
Non è vero che questa esperienza ha a che fare solo con l’autoreferenzialità del segno o alla sua concretezza. L’esperienza che ho fatto è di comunicare, attraverso questo fuoco della scrittura, con la nudità fondamentale dello stare al mondo, nudità tanto culturale quanto creaturale.

Da questo punto di vista la storia e la storicità dei segni appaiono come modalità di ricostruzione di un’esperienza collettiva possibile, solo possibile.
Ciò che la storia non ci racconta è il segreto individuale di ogni singola creatura alle prese con i suoi mostri e con le sue speranze.
Una sorta di anteriorità, di lato nascosto, di lato concavo dell’atto dello scrivere che ho la sensazione di ripercorrere facendo questi segni, questi lavori.
E’ una scrittura che spesso ha avuto per me il sapore dell’ex-voto. Anche in questo caso ciò che conta non è la pittografia del gesto di ringraziamento o di implorazione ma l’esperienza del gesto del ringraziare e dell’implorare attraverso una sorta di scrittura oggettuale…

Le nuove tecnologie ci restituiscono, attraverso la digitalizzazione, la riduzione in numero di immagine, colore, suono, parola…Ci propongono una separazione tra materiale e materia: il materiale con la sua prolissità tattile e la materia come configurazione quasi-ideale di un concetto.
Quando il processo della creazione comincia con la scansione digitale di una superficie precedentemente lavorata e disposta ad entrare nel futuro lavoro estetico, quando il processo della creazione termina con l’intervento ‘a mano’ (con tecnologie precedenti) di questa stessa superficie (ma all’origine vi può anche essere un oggetto tridimensionale), in mezzo e alla fine del processo si sono realizzate due elaborazioni compositive decisive: quella al computer e quella sulla stampata finale.
Alla fine conta il supporto, la reazione del supporto ai due tipi di intervento. Il supporto è la sintesi finale: è la materia che si è configurata a partire dal materiale ma che ha provato, per quanto ha potuto, ad evitarne le prolissità. Il numero caratterizzante il digitale qui non è più semplificazione e appiattimento, né resa alla virtualità, ma semplicemente acquisizione in dialogo di tecnologie più recenti. L’essenziale comunque non è nel materiale, forse non lo è mai stato: l’essenziale è forse qui nell’idea di materia che si riesce ad esprimere.

Biagio Cepollaro

[immagine: Biagio Cepollaro, Ken, 2008]

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23 Commenti

  1. Magnifico articolo, che non mi sorpende, nasce nella “culla” di Camera verde. Ho trovato che il paragone con la sedimentazione, la danza, molto luminoso. Lasciare una traccia della sua presenza, dell’immagine attraversando la mente, traccia di affetto, di vita in scrittura. E’ l’impronta del passo sulla sabbia all’alba della scrittura in silenzio, in solitudina, traccia che rivela il cammino nella crezione.
    Quando scrivo sulla foglia il vincolo con l’emozione è più stretto.
    Con il computer la scrittura diventa liscia, come pulita già. Molte cose scompariscono nelle schermo.

  2. La lucida coscienza che Biagio Cepollaro dimostra di possedere su ciò che si può intendere come “scrittura”, consola in questi tempi confusionari di prodotti mercificati, falsi. Di tecnica asservita al guadagno, al successo.
    Scrittura, pittura, fotografia sono sempre state, almeno per me, dimensioni a cui ho cercato di accedere, per poter cogliere una

    “sedimentazione [che] è già immagine e visione: quando ciò che conta non è la sua funzione informativa né quella espressiva ma il fisico esserci”.

    La delusione di non poter visitare la mostra è compensata dal fatto che ci potremo procurare il libro. Grazie.

  3. Vedo un solo problema in queste parole: chiunque pratichi l’arte vorrebbe potersele cucire addosso: e chi mai potrebbe aspirare a contentarsi della “funzione informativa” (bleah!) o di una qualche espressività umanina ed umilina, incapace di agguantare l’Essere o l’Infinito (insomma le solite romanticherie aggiornate da un poco di cosmesi culturale)?
    Io non saprei dire se il “già detto” di qualche sottocultura autorizzi una simile cesura fra significato e senso: da una parte l’analizzabile e quindi, in teoria, negoziabile, dall’altra l’ineffabile che si pone al riparo da ogni critica. Fatto sta che “l’esperienza del gesto” è primariamente di chi la compie, e non rinvengo in questo testo alcun elemento che possa suggerire un’evasione dai consueti meccanismi dell’autoconsacrazione carismatica, ovvero della violenza simbolica, per quanto dolcemente questa possa essere tentata.

  4. “non rinvengo in questo testo alcun elemento che possa suggerire un’evasione dai consueti meccanismi dell’autoconsacrazione carismatica”
    io neppure.

  5. A elio e tash: c’e’ indubbiamente una forte autospinta carismatica, ma alcuni dei colleghi poeti davvero credono in gesti “amicali” e “affettivi” quando parlano della loro arte, investendo capitale emozionale. Non mi sto a domandare quanto questo investimento sia estrovertito e quanto invece difensivo (introvertito), visto che alla fine dei conti a me interessano i testi e la vita dei testi, non le persone e la vita delle persone. Pero’, ecco il punto, sara’ difficile entrare in qualsivoglia idioletto poetico se non si fa almeno un piccolo investimento di capitale affettivo; la degenerazione e’ che spesso questo investimento viene scambiato per valore estetico dei testi, invece che per profana condivisione di solitudine e narcisismo.

  6. “Esperienza del gesto” – come dice Elio, tra virgolette. Sinceramente, pur avendo riletto l’articolo di Cepollaro, non ho trovato questa espressione che, a mio parere, accentuando l’aspetto “attivo” dell’esperienza di scrittura, va contro ciò che, per quanto mi è parso capire, Cepollaro intende comunicare.
    Ho i miei dubbi che i dubbi e le riserve sminuenti di Elio risalgano a incomprensione o fraintendimento.
    L'”autoconservazione carismatica”, il pompaggio dell’io, mi pare più un pericolo per chi pensa che lo scrivere sia “primariamente compie[re] l’esperienza del gesto” e non certo quel qualcosa di molto più complesso che Cepollaro intende comunicarci.
    Per il chiarimento dei dubbi viene offerta la partecipazione a una mostra e un libro da leggere.

    E’ certo che, a chi pensa di possedere lui il carisma, non può interessare né chi glielo vuol donare né chi glielo vuol distruggere.

    Come, d’altronde, l’esistenza degli imbecilli, non ha mai dispensato nessuno dall’apprezzare l’intelligenza.

  7. @FF – ci verrei molto molto volentieri, grazie, ma sono troppo vincolato dal lavoro.

    @GiusCo – convengo sulla necessità di un investimento affettivo (che non sempre siamo in grado di operare) per rendersi “toccabili” dall’opera, eppure mi piacerebbe che i testi di presentazione ne richiedessero delle quote inferiori, così da risultare strumenti di scelta consapevole piuttosto che di pre-affabulazione. In altre parole, che si tentasse una maggiore separazione fra la dimensione critica e quella affettiva.

  8. Lo scritto che qui è postato accompagna una mostra di pittura come suo ‘apparato’ e compare come dichiarazione di artista. E’ utile oppure non lo è. A qualcuno pare di si, ad altri di no. Va letto in tale contesto e limite. Altre questioni non ambisce toccare. Grazie comunque per lo scambio di idee anche se un tale scritto non ha per statuto questa qualità dialogica.
    B:C:

  9. @soldato blu
    Non sminuivo l’opera di Cepollaro che, per quel poco che ho potuto conoscere finora, tendo piuttosto ad apprezzare – rilevavo solo alcuni limiti di quel testo di presentazione.

  10. A parte il fatto, e solo perché cepollaro lo ha detto esplicitamente, che questo testo non ha qualità dialogica.
    Anche se i commenti in realtà lo hanno smentito e solo io sembro dargli ragione:–)

  11. Allora ti spiego, in parole semplici, come dialogo io con quel testo: immagino che descriva la mia esperienza, e cerco di capire quanto io possa identificarmi o meno con quanto delinea. Facendo ciò, non ho incontrato alcun elemento realmente incompatibile, quanto piuttosto una certa gradazione dell’enfasi che può risultarmi più o meno congeniale. Ne ho dedotto che si tratta di un testo “per tutti”, in quanto si mantiene vicino – fornendone descrizioni molto suggestive – a quella che è l’esperienza artistica modernamente intesa, ed in buona parte già codificata. La “riutilizzabilità” dei testi di presentazione, legata ovviamente anche al loro livello di sintesi, mi ha sempre affascinato ed apre dimensioni di riflessione (specie riguardo ai “timbri” della legittimazione) che purtroppo vengono sistematicamente trascurate, forse perché l’ “artist statement” è ormai un atto convenzionale della promozione dal quale non ci si attende chissà che. A me piace invece prenderli sul serio, anche se ovviamente non nel loro verso precostituito.

  12. Ciò che qui manca necessariamente è la relazione tra questo testo e le opere visive. Ciò comporta una riflessione priva di reale oggetto, anche se sottile. Magari se fosse possibile vedere la mostra vi sarebbe una reazione che fa seguito ad un’esperienza della cosa. Scusate ma io non so fare il commentatore e ho impegni urgentissimi. Un grazie e un caro saluto a tutti, B.C.

  13. Non ho difficoltà a supporre il testo adeguato alla mostra che non vedrò, mi stimola la circostanza che risulti adeguato a molte delle mostre che ho già visto. Non si tratta di una provocazione, ma di uno spunto. Bateson chiama “spiegazione” la proiezione di un insieme di descrizioni su una tautologia (che è una strutturazione logica di presupposti scarsamente esplicitati dal discorso affabulante) e si stupisce di quanto noi si trovi misteriosamente soddisfacente una simile operazione, anche in presenza di tautologie costruite con molta negligenza. Ora la proiezione di Cepollaro mi sembra davvero ottima, però la tautologia adoperata mi sembra davvero la solita. Questo è quanto osservavo, e soltanto ora mi accorgo di come la riutilizzabilità risulti un correlato abbastanza ovvio. By the way, sarebbe interessante analizzare questa migrazione dei poeti verso le arti visive (resa in generale più massiva dal diffondersi delle tecnologie digitali). Era già stato osservato come entro un certo campo artistico abbastanza individuabile, le differenze reali fra le opere sembrino diventare infinitesime e debbano quindi venire amplificate (a dismisura) dalle condizioni di contorno, una delle quali è certamente l’effetto carismatico d’autorità. Ora i testi di Cepollaro sembrano già di un ordine di grandezza più densi, da un punto di vista concettuale, delle elaborazione mediamente prodotte dai suoi colleghi poeti, che a loro volta risultano almeno un ordine di grandezza più dense della letteratura mediamente prodotta dagli artisti, che di solito si limitano a produrre le loro opere ed appaltano l’intera impresa dell’autoriflessione a degli scrittori specializzati. Osservando quanto profondamente diverse siano le coordinazioni inconsce che presiedono i rispettivi campi di attività, risulta abbastanza facile indovinare molte delle caratteristiche delle opere prodotte in questo movimento, così come le genealogie del campo artistico sotto le cui insegne esse tenteranno di legittimarsi ed imporsi … vabbé, la tronco qui. Ma è possibile che nessuno condivida questo mio genere di curiosità?

  14. condividiamo, condividiamo, ma una mostra è una mostra è una mostra (tanto per esibire, apofantica, una fra le tautologie), commenti tutti pertinenti comunque, un saluto, V.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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