Dall’interno
di Corrado Benigni
Che fu quel punto acerbo
che di vita ebbe nome?
(Leopardi, Coro dei morti)
Un senso – se c’è, ora – è in questo scorcio di tetti e finestre
accese tra le ombre strette dei palazzi
quando la notte distende la città
a un dito dalle sfere dell’universo.
Ogni parola se lasciata cadere
sfonda il pavimento assorbendo il vuoto
della cantina.
Allora niente separa il dentro dal fuori,
l’espandersi degli astri sbriciola tra le pareti della casa,
nel cerchio dei gesti quotidiani.
Raccogli da terra i pezzi di un bicchiere in frantumi,
come lettere di un alfabeto,
le ricomponi in forma di voce
fino all’apparire di un volto.
Un’immagine recidiva che dice di te tacendo.
densità ben filtrata metaforicamente.
bel testo, insomma