Rubina Giorgi: in una lontana vicinanza
[Ospito qui un ritratto che l’artista Prisco De Vivo ha dedicato alla poesia di Rubina Giorgi, introdotto da un estratto dall’ultimo libro di Giorgi: Vite desideranti.]
Dire “Modello Amore” è come optare per uno strutturalismo dell’Amore. Si direbbe lo abbia concepito proprio Jakob Böhme. […] Böhme ha pensato e fondato l’Amore come struttura, inserendolo nei movimenti di reciproca generazione innovante e continua delle forme o essenze della Natura. Strutturalismo che rimane compreso e nascosto nel disegno cosmico dell’insieme rotante che cela e svela la vita e le vite come vertigine. (Quando il senso comune esclama: “la vita è una ruota”, lenta-veloce, che ci trascina con sé, ha dunque un’ignara ragione.) Qualcuno potrebbe domandarmi perché non aver chiamato Amore “idea” in senso platonico anzi che “modello”. Risponderei: per non introdurre qualche maggiore complicazione o equivoco in un contesto che ha poco e vuole aver poco di platonico. Come modello, abbiamo appreso dalla duplice Hadewijch e da Böhme che Amore è ineguagliabile, del tutto dissimile da affetti e pensieri convenuti, quindi inattingibile a meno che non muti la disposizione di chi lo ricerca.
[…]
Amore è un dio dissimile. Non possiamo assimilarcelo, lo piegheremmo a noi in modo blasfemo, anche se solo apparente. Dobbiamo piuttosto noi dissimilarci da noi per ascendere a Lui o affondare in Lui (il che è lo stesso). E attingere per noi rassomiglianza alla sua Dissomiglianza – come doni o rapine di forza prodigiosa. Divenire duplici, dissomiglianti/rassomiglianti per semplificazione e spogliamento. Il Dissimile assoluto assume tra gli umani l’aspetto dell’inverosimile. Dovrebbe entrare, più che nelle religioni, nelle letterature mistiche. Si potrebbe dire che Hadewijch seconda perfezioni Hadewijch prima: fa un giro completo tra sé e il Nulla divino. Poi riprende la corsa vertiginosa “in una lontana vicinanza” (Mgd. 17). Nell’inverosimile non manca il raro vivente che cerca, fin da tempi primordiali del mondo, di farsi dissimile. Mosè per esempio. Salomone, pur cadendo. Davide invece, suo figlio, non ci riesce, pur amato dal Dissimile per eminenza. Poi certo Maria di Nazareth, il suo sposo Giuseppe (un dissimile tacente), e suo Figlio Gesù. Terribili, gli umani, tentano invece l’umanizzazione del Dissimile, il suo sacrificio. Il mistico, la mistica tentano la disumanizzazione degli umani restituendo la loro dissomiglianza ai Dissimili. Occorre, in ogni era del tempo, ricreare e riordinare rassomiglianze e dissomiglianze. È una straordinaria avventura, che corre al di sotto e all’ombra di quelle che gli umani amano chiamare “narrazioni” delle loro vite.
Rubina Giorgi: sacrificio per la parola
di Prisco de Vivo
L’Angelo Ermetico (omaggio a Rubina Giorgi)
Tocca il mio sordo udito, Signore,
abbaglialo
separalo
da me
forse lo fai già
lo stai facendo
mentre io non comprendo.
(Invocazioni, 37)
Rubina Giorgi è una poetessa che ha a che fare con il silenzio, con la preghiera, con la trasparenza dell’acqua o del vetro, con un senso francescano della parola. Vi sono alcuni versi di Majakovskij in Flauto di Vertebre che dicono:
Guardate
sulla carta sono crocifisso
coi chiodi delle parole.
Mi hanno fatto pensare a Rubina in atto di attraversare in pieno questa condizione: crocifissa sulla carta con le parole.
Ombra di luce e Invocazioni sono i due suoi libri che mi hanno spinto a meditare e a scrivere sulla sua poesia. Sono testi che vanno attraversati con la giusta lentezza, per coglierne il senso interrogativo più profondo, quel desiderio di essere altro, l’immateriale, una spuma di rugiada che si scioglie sulla terra o una polvere divina disseminata dal cielo.
È il desiderio dell’Invisibile, che è al tempo stesso desiderio di un canto d’amore che riecheggia la vita, ma che non si arrende dinanzi alla coscienza della sua finitudine, la quale è pur sempre un miracolo, che ondeggia tra luci, ombre e buio completo.
Lo sguardo di Rubina Giorgi è rivolto dunque alla grazia di quell’Invisibile che non si può possedere, e cerca di rapirne barlumi e scintille tra le cadute arrancate dell’animo umano.
Noi, avvolti nella scarsa luce o nelle tenebre della quotidianità, ci domandiamo con Rubina:
Cosa diventa nell’Invisibile
La Luce?
E posso io divenire almeno
Tenebra fortunosa, deviata, tenebra,
tenebra che vede?
(Invocazioni)
Se penso a Ombra di luce, vi trovo umane assolute bellezze, che tuttavia preparano a un cammino di sacrificio.
Insieme,
in stretta comunione
ai tuoi molti errori,
la tua verità, il tuo semidivino seme.
Invocazioni accoglie l’implorazione di un’umanità che cerca più che una salvezza individuale e collettiva un rinnovato contatto con la propria radice divina obliata (Ancora una volta / mi arrendo a Te, Signore).
Nella poesia di Rubina Giorgi ravviso una trasparenza della visione e una rinuncia monastica agli ornamenti non necessari; al contrario, la capacità di affrontare impedimenti e smarrimenti umani è bella ricca, rigogliosa.
Riguardo alla trasparenza, questa si può evincere dalla perfezione minimale del dettato poetico, che mi sembra riportare all’enigmatica e vertiginosa poesia di Emily Dickinson. Inoltre, le atmosfere estatiche delle sue visioni mi fanno pensare ai monocromi blu e rosa di Ives Klein, che come Rubina aspirava a materializzare l’invisibile.