Lingua, politica e la terza ondata dell’avanguardia: un’introduzione alla poesia di Mariano Bàino
di Gianluca Rizzo
Quanto segue è un estratto dall’introduzione a Yellow Fax and Other Poems di Mariano Bàino (Agincourt Press: New York, 2019; introduzione e cura di Gianluca Rizzo, traduzione di Gianluca Rizzo e Dominic Siracusa). Il volume è disponibile in formato cartaceo e ebook a questo indirizzo: https://www.agincourtbooks.com/agincourt#/baino-yellow-fax/
La poesia di Mariano Bàino è fra le più interessanti tra quelle pubblicate alla fine del secolo scorso, sospesa com’è al confine fra codici linguistici differenti, capace di raggiungere il lettore senza compromettere la complessità della sperimentazione che la anima, impegnata in un dialogo robusto e originale con la recente tradizione della neoavanguardia (dei Novissimi e del Gruppo 63).
Questa introduzione [nella sua versione integrale] colloca Bàino nel contesto della recente storia letteraria italiana, evidenziando il valore politico della sua ricerca linguistica, frutto di una riflessione approfondita sul ruolo che la letteratura può ancora svolgere nella vita culturale del paese.
[…]
Le discussioni teoriche contemporanee delineano con insolita lucidità una situazione paradossale: per raggiungere un pubblico ragionevolmente vasto, Bàino e gli scrittori del Gruppo 93 avrebbero dovuto accettare una serie di condizioni (sia pratiche sia ideologiche) che avrebbero diluito e quasi neutralizzato il loro messaggio; di contro, decidere di tenersi stretta la propria indipendenza e l’integrità del proprio messaggio avrebbe ridotto drasticamente la possibilità di raggiungere un numero adeguato di lettori (e dunque avrebbe vanificato ogni possibile aspirazione ad influenzare la società per mezzo della letteratura). La situazione diventa ancora più complicata se si considerano i numeri piuttosto esigui, negli anni ’80 e primi ’90, del pubblico interessato alla poesia.
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La soluzione proposta da Bàino (e compagni) è fortemente radicata nella prassi della scrittura: include un’attenta manipolazione dei testi canonici tradizionali attraverso gli strumenti dell’allegoria (Benjamin), in combinazione con un’audace sperimentazione linguistica predicata sulla contaminazione (di codici, di fonti, di registri, di ambiti culturali). Questa strategia stilistica avrebbe reso possibile la formulazione di un’alternativa allo status quo poetico, che a molti appariva come colpevolmente blando, anemico, reazionario, ideologicamente compromesso con la dilagante logica economica e politica di stampo neoliberista.
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In questa fase della sua produzione, Bàino si impadronisce spesso dei passi meno solenni tratti dai testi meno conosciuti di autori canonici, e li intreccia ad un complesso e sofisticato sistema di allusioni ed echi che danno un senso di oscurità e opacità alla creazione poetica, mentre, allo stesso momento, abbassano (rendendo quasi ridicola) la fonte letteraria da cui derivano i materiali. I testi inanellano una lunga serie di segni, tutti interni alla letteratura, in una lunga fuga di referenti. Eppure, e qui ritroviamo l’elemento allegorico di questa strategia, l’intero edificio di citazioni si presenta come l’unico modo per implicare il reale attraverso il testo letterario, usando le scarse risorse retoriche ancora praticabili dal poeta.
Un eccellente esempio di questo uso allegorico e ironico del testo canonico lo vediamo in questo passo di Fax giallo:
(umbrella di mendicante, giostra fosforescente di cavalluzzi
marini), come t’intana la primavera metallizzata dei coralli,
il mucchio d’ostriche (cofano di sputi e perle), quanto si
latita tra l’oloturie (di cenciaiuolo verminosi sacchi),
dietro l’attinia (insanguinato ceppo ove lasciarono capelli
serpini sirene decapitate), in mezzo ai verdi vermi
delle alghe, dietro quel cassettone o nella stanza di là,
sotto il letto dichiscrissedimare la balfigola diosalvi
dalpalombaroboiasottomarinoacrobataprofondoburattino
nelteatromutodeipescispauracchiobecchinomascheratuomopneumatico
che aiuta con l’arpione l’infinito ad essere… il cruento
cugino mare… dal fax affiora ievole la nota di una diaspora
L’ossatura di questa sezione è il famoso poema visivo di Corrado Govoni intitolato “Il Palombaro”. Tutti gli elementi dell’insolita scena sottomarina (meduse, cavallucci marini, ostriche, coralli, cetrioli di mare, anemoni, alghe) insieme ai termini di paragone usati per descriverli (ombrello da mendicante, giostra, cofano, sacco, ceppo insanguinato, capelli serpentini) vengono da quella fonte, ma sono rimescolati, ricombinati, resi quasi irriconoscibili. Il senso di tranquillità inquietante presente nell’originale è stranamente amplificato.
Una simile riorganizzazione dei materiali viene portata a compimento partendo da un altro classico novecentesco, solo che in questo caso si tratta di una di quelle poesie così famose da essere conosciute universalmente, e quindi capaci di sostenere ben più violente manipolazioni:
la pampa fondocupa dell’udito): c’è chi s’allamana d’ammansa
s’ellemene d’emmense d’imminsi s’illimini s’ollomono
d’ommonso d’ummunsu s’ullumunu col core in rogo di chi crede
Siamo alla seconda strofa di Fax giallo, e la fonte è chiaramente “Mattina” di Ungaretti. La brevità della poesia permette a Bàino di reiterarla cinque volte, ogni volta sostituendo tutte le vocali con una sola. Dopo essere stata recitata da generazioni di scolari, forse l’unica cosa che rimane di questo testo, scritto da uno dei maestri del ventesimo secolo, è un paesaggio sonoro, una costellazione di consonanti e vocali che Bàino prova a rivitalizzare con un gioco di permutazioni. O, forse, l’operazione è un modo per attirare l’attenzione sui paradossi della fama, e come questa influenza i lettori; oppure, è una riflessione pessimista su tutta la poesia: non importa quanto sofisticata, la si può svuotare di senso e renderla inutile, basta ripeterla centinaia e migliaia di volte.
L’allusione alla poesia di Rimbaud “Vocali”, che rintracciamo alla fine di Fax giallo, conferma la serietà programmatica di quello che, a prima vista, potrebbe apparire semplicemente un gioco. Ecco il passo:
vostraloro pazzeria (del tipo inventa il vocalico dei colori
: nero Aico, bianco Eico, rosso Iico, blu Oico, verde Uico),
La relazione che Rimabud aveva stabilito fra colori e vocali è invertita. Se, secondo il poeta francese, la “a” è nera, la “e” bianca, la “i” rossa, e così via, per Bàino la gerarchia fra lingua e mondo è invertita: il nero è “aico”, e cioè, possiede qualità che rimandano alla vocale “a”; il bianco è “eico”, e così via.
[…]
Anche soltanto dai pochi scampoli citati, appare evidente quanto il multilinguismo sia un tratto fondamentale della poesia di Bàino. Alle diverse varietà di italiano, che vanno dall’arcaico al letterario, dal contemporaneo al demotico, bisogna aggiungere il francese, lo spagnolo, una grande quantità di neologismi e una importante iniezione di dialetto. Questa varietà di codici non è semplicemente mescolata e giustapposta; è fusa a creare un ibrido, una creazione linguistica decisamente nuova, che presenta alcune caratteristiche degli elementi individuali che la compongono, ma si comporta in maniera radicalmente diversa. Se guardiamo ai neologismi, per esempio, noteremo due tecniche principali che sovrintendono alla loro generazione. La prima ricorda l’espressionismo di Gadda: una forza che rimodula il linguaggio dall’interno, torcendolo ed estendendolo nel tentativo di conformarlo alla realtà in perenne trasformazione che esiste al di fuori del reame linguistico. Eccone un breve esempio:
capitoli indici d’argomenti… el siglo siécolo che schiuppa
millenario (millénaire qui meurt…) scaca suoi semi sue sfa
ccimme da fior festaiolo: patullano parole papareggiano (da pa
perepapesse): in broda universale agguazzano aggallan musiche
mappe immagini dati&archivi virtualmente e senza fine l’i
pertesto… (dal fax tafàni diafani scribillano scrivòlano: alla
Volvo di Uddevalla lo vogliono devoto dell’azienda l’operaio)…
Si riscontrano diversi termini, appartenenti ai molti linguaggi usati da Bàino, ed alcuni dei modi in cui vengono modificati, distorti, e rimodellati. In aggiunta all’italiano standard ritroviamo spagnolo, francese, napoletano e un gran numero di neologismi: “patullano”, “papareggiano”, “agguazzano” esprimono tutti la stessa idea, qualcosa che sta a mollo e galleggia’ “scribillano” e “scrivòlano” sono innovazioni apportate al piano “scrivere”.
La seconda tecnica di generazione di neologismi è di natura più marcatamente maccheronica, e intende modificare il codice linguistico posizionando il soggetto al suo esterno, nello spazio interstiziale che divide due linguaggi differenti: le crepe fra italiano e francese, italiano e spagnolo, italiano standard e i vari dialetti diventano spazi fertili in cui “figli stranizzati ibridi creolingui” (l’espressione appartiene ad un frammento della poesia “Quatre-vingt-treize”) possono crescere. Le parole sono smontate, ridotte ai loro componenti di base, spesso re-inventate secondo etimologie fantastiche, e poi assemblate daccapo, in contesti insoliti, adattate alla morfologia di un idioma nuovo. Ecco due degli esempi più rappresentativi in Fax giallo; il primo fa il verso alla lingua della tecnologia, ibridando inglese e italiano, formando nuove parole:
ha interfacce del dopo del dopo Silicon Valley in gommaresina
di facce ha interfacce di organo nuovo del dopo le schede
ed i mouse videare calzante si adatta in procelle di pelle
[…]
da attila la vecchia tecnica dotta?… outputta il fax, gra
ffia prefetti offrendo i fatti di una nera pantera d’una jatta
Un secondo esempio si concentra sul francese per produrre termini maccheronici di un tipo differente:
nontiscordardimé, di gialla luce con sua ombra viola (en fransé
mozzarellà: magàr non è toute une boutanade il dir que il gran
problem è plus la relation col mond que le mystère du mond),
lector, e st’alkimia del dire è storia di una miatuasuanostra
È difficile resistere alla tentazione di leggerci l’influenza di Emilio Villa (e in particolare del suo Heurarium). Anche se, in questo caso, gli intenti di Bàino sembrano essere più ludici, dal momento che nel miscuglio ci entra anche la lingua portentosa cui ricorre Totò per parlare col vigile urbano, nella scena famosa di Totò, Peppino e la malafemmina.
[…]
Il processo di ibridazione di cui parliamo funziona anche al livello sintattico, intervenendo sul modo in cui i diversi elementi della poesia sono accostati: l’interazione fra parole diverse; il riordino radicale delle citazioni, spezzate e ricostruite in modi che ignorano volutamente il contesto originale; e, infine, la scansione in versi, che spesso include forti enjambement e tagli che attraversano parole singole, dividendole in due metà (se ne sono visti esempi nei passi già citati). Tutto lo spazio bianco così creato (fra parole, citazioni, versi) lo si rende disponibile al lettore, invitato a partecipare al processo di significazione. La poesia si apre al mondo reale proprio quando le strategie testuali sembrano spingerla sempre più lontano dalla lingua “piana” parlata nella vita di tutti i giorni.
Altro elemento che amplifica l’efficacia di queste strategie retoriche viene dalla riflessione sul mondo della tecnologia: i mass media distorcono la nostra percezione della distanza storica che ci separa dagli eventi del passato. La storia, le sue epoche, le sue tracce testuali, si dissolvono, lasciandosi dietro uno spazio continuo, istantaneo, infinitamente accessibile (Virilio, Estetica della sparizione). La sparizione della storia permette ai “figli stranizzati ibridi creolingui” di diventare emblemi del tempo (ormai eternamente) presente. Si guardi al “balfino” creatura mitologica realissima:
[…] informa
il fax d’un bel balfino nato in vascacquatile di Kioto o To
kio: avrà più dei 2 metri e 9 di papà delfino, ché maman
balena è lunga cinque (e scorcia pinne e zinne ad usum, come dir?,
Balphini): e che tu vada a spigole, se vuoi, in tirrene
mucillagini: la balfigola prole in lunghi corridoi di sottomare
si districhi e diporti, illesa fra i silenti monnezzai profondi,
il cellulòideo occhio ponderante quanto scherma la medusa
Il prodotto dell’accoppiamento di una femmina di delfino dal naso a bottiglia e una pseudorca maschio, venuto alla luce in cattività, al Sea World di Tokyo, nel 1981. Questo insolito e affascinante cetaceo fa da preludio al palombaro di Govoni, citato più sopra. Un altro modo in cui realtà e letteratura, articolo di giornale e fantasia di poeta, contaminazioni genetiche e letterarie possono essere accostate, smantellate, rimodellate, e assemblate nuovamente nell’eterno ed inesorabile svolgersi di questo “fax”.
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[La foto di Bàino è di Dino Ignani]