La palude dei fuochi erranti
di Edoardo Zambelli
Eraldo Baldini, La palude dei fuochi erranti, Rizzoli, 2019, 224 pagine
“Però una cosa ve la dico: se ci sono ombre che vi perseguitano e vi intimoriscono non è perché siete sventurato, ma solo perché siete fragile, anche se cercate di dimostrare il contrario. Il lupo, sappiatelo, non attacca il cervo più grasso o pi ù sfortunato, ma quello più debole.”
“Non c’è alcun lupo che mi minacci.”
“Se non c’è, ci sarà presto. Non vi accorgete che vi sta già tenendo d’occhio e seguendo?”
Il nuovo libro di Eraldo Baldini, La palude dei fuochi erranti, si apre in un giorno di Novembre, con la scoperta di una grande fossa comune, poco distante da un’abbazia. L’anno è il 1630, il luogo è Lancimago, un immaginario paesino a nord di Ravenna, sperduto in un paesaggio di paludi e campi. Nel nord Italia si sta espandendo l’epidemia di peste, e per evitarne il dilagare anche in Romagna, monsignor Diotallevi viene inviato in quelle zone per allestire i cordoni sanitari. Da questa situazione iniziale il racconto si allarga, accogliendo dentro di sé un succedersi di eventi misteriosi e inquietanti: fuochi che appaiono e scompaiono nei campi, untori che si aggirano nella boscaglia, la cattura di una strega, animali che scompaiono, tutti sintomi (forse) di una maledizione che ha colpito l’abbazia e i territori circostanti.
Monsignor Diotallevi si troverà quindi a dover fare i conti con una doppia minaccia: una esterna, la peste, e una interna, che ha a che fare con gli accadimenti di Lancimago. Altri personaggi si muovono nel libro – lo scienziato Zecchini, il conte Cappelli, l’abate, frate Orso -, e ognuno pare portare con sé un segreto, qualcosa da nascondere. Molto di quello che accade potrebbe avere a che fare con qualcosa successo molti anni addietro, un passato che d’improvviso sembra essere stato disseppellito assieme ai corpi trovati nella fossa comune. O forse no? Ecco, il fascino del libro sta proprio nel continuo stare in bilico tra realtà e tentazione del meraviglioso. A questo proposito è interessante la scelta dell’autore di fornire un triplice sguardo sugli eventi, mettendo a confronto la visione scientifica di Francesco Zecchini, la superstizione del conte Cappelli (e assieme a lui del popolo e buona parte del monastero), e poi quella di monsignor Diotallevi – il vero protagonista della storia – che fa un po’ da mediatore, per così dire, tra le due posizioni, tra lo sguardo laico della scienza e quello timorato della superstizione.
“Li avete presi?”
“Sì.”
“Cosa ne farete ora?”
“Abbiamo già fatto quello che ci era stato ordinato”, rispose quello, additando un macchione d’alberi ai piedi dell’argine.
Zecchini avanzò in silenzio, vi si addentrò e li vide.
Un uomo di mezza età e un ragazzo pendevano, impiccati, dai rami di un pioppo.
La narrazione procede per accumulo di suggestioni, al mistero degli eventi si mischia l’incanto di un paesaggio che si popola di nebbie, nevi, presenze sfuggenti – una su tutte Maddalena, la ragazza che vive sui rami di una quercia. Eraldo Baldini si muove sempre in un territorio fuori dal tempo, o che il tempo scalfisce appena. Certe volte, come in Stirpe selvaggia o Terra di nessuno – tanto per citarne un paio, ma andrebbero bene un po’ tutti -, la Storia passa sì in quei mondi, ma lo fa quasi accarezzando i luoghi e le vite dei personaggi che li popolano. La Storia Baldini la guarda nei suoi momenti più dimessi, inquadra la realtà di piccoli borghi, di vite che a stento sanno di essere dentro il passare del tempo. Attinge spessissimo alla tradizione popolare della sua Romagna, costruisce intere trame attorno a usanze, leggende, dicerie di popolo, e crea così quell’ibrido tra fiaba e racconto nero che trova la sua declinazione più precisa ed evidente in Gotico rurale, la raccolta di racconti uscita prima per Frassinelli, nel 2000, e poi riedita da Einaudi nel 2012, ormai un vero e proprio classico della nostra narrativa (di genere e non).
La palude dei fuochi erranti è uno splendido romanzo del mistero – a chiamarlo semplicemente noir mi parrebbe di fargli un torto -, sostenuto da una prosa elegante e immaginifica e da un ritmo perfetto, senza inciampi. A fine narrazione, Baldini ci consegna una verità che, come spesso accade nei suoi libri, ha più a che vedere con l’operato e le trame degli uomini che non con la magia e il soprannaturale.
Ancora una volta Baldini sembra dirci che ci sono luoghi che sono mondi a se stanti, sopravvivono in continuità con un tempo trascorso e dimenticato. E per comprenderli, bisogna guardarli con gli occhi rivolti al passato, un passato in cui il meraviglioso era lo strumento privilegiato, quello più efficace, per spiegare le leggi del mondo. Ecco, questo, io credo, è anche il modo migliore per guardare i libri di Eraldo Baldini.