Il dolore degli altri
di Domitilla Di Thiene
-Chi sei?- mi chiedi brusco quando provo a girarti sul fianco.
-Stai attento, se ti muovi così si spostano i drenaggi- ti dico e mi dai uno sguardo fisso allora, di quelli che davi anche un tempo, la nebbia dello sguardo dissipata per un momento. Ti riappoggi docile sul cuscino, gli occhi socchiusi.
La camera è inondata dalla luce che viene dal giardino, apro le porte finestre per accostare le imposte e farti un po’ di scuro nella stanza.
Crollo sulla poltrona accanto al letto; mi sento esausto, chiudo gli occhi che bruciano; ho dormito poco insieme a te, queste prime notti di nuovo a casa, magari riuscissi a dormire, almeno un secondo.
Il campanello della porta, una sveglia di soprassalto. La stanza è immobile, il rumore del respiratore continuo, quanto ho dormito, non riesco a capirlo. Vado verso la porta, mi fanno male le gambe per la posizione costretta nella poltrona, forse non ho dormito poco. E’ Clara, che è venuta a trovarci. Porta una piantina di peperoncino che sa che ti piace tanto. Mi fa bene vedere Clara, è così bella, allegra, pulita. Ha un vestito verde brillante, fuori moda e bellissimo, che le lascia parte della schiena abbronzata scoperta. Mi sento un barbone davanti a lei, la tuta macchiata, la barba sfatta.
-Mi faccio una doccia ti dispiace?-
– Figurati, ma guarda che mica è un neonato, lo puoi lasciare qualche minuto da solo- dice lei ed ha ragione. Hai notato? Quando si parla del dolore degli altri, hanno sempre tutti ragione.
M’infilo sotto l’acqua calda e il beneficio è immediato, il getto violento mi avvolge e mi toglie il fiato. Il pensiero di Clara nella stanza con te, al mio posto, mi fa fare piu´in fretta.
Uscito dalla doccia mi cambio i pantaloni e infilo una camicia pulita. Non posso fare a meno di concentrarmi sul ronzio del respiratore che viene dalla tua stanza, per essere sicuro che vada tutto bene. Mi fido di Clara, ma non posso farne a meno. Il rumore è regolare, forse potevo farmi anche la barba, ma ormai il momento è passato.
Torno nella stanza e sei sveglio. Le imposte sono di nuovo aperte, la luce è meno forte e il tiglio in fondo al giardino è in fiore, arriva l’odore fin dentro la camera. Clara ti ha preso una mano, quella senza agocannule, e vi guardate. Siete in silenzio, non voglio disturbarvi ma mi chiedo se tu l’abbia riconosciuta. Tu socchiudi gli occhi, come i felini e fai un cenno con la testa verso di me. Non lo fai a me, il cenno, ma a lei indicando me.
-Sì, sì- sento che ti mormora- ora mi occupo di lui, non ti preoccupare-
-Ma Clara, rimanete pure, io non ho bisogno di nulla- dico, e il tono della voce è un po’ troppo alto rispetto ai vostri silenzi, non posso non vergognarmene.
Clara si volta verso di me e mi prende per un braccio per portarmi fuori dalla stanza. Tu hai di nuovo appoggiato la testa sulla spalla, gli occhi socchiusi.
-Il caregiver ha bisogno di più attenzioni, lo sa lui quanto lo sai tu- mi dice sorridendo.
-Hai fame?- prosegue- ci facciamo qualcosa da mangiare? Ho una fame terribile e tu hai l’aria di non mangiare da giorni
Effettivamente se si esclude il semolino che hai lasciato l’altra sera credo di non mangiare da settimane, forse mesi. Mi rendo conto in quello stesso momento che anche io ho una fame terribile, pazzesca, onnivora.
-Cosa possiamo preparare?- chiede aprendo il frigorifero. Ci sono le mele che ti grattugio e gli odori per fare la minestra. Null’altro di propriamente commestibile.
-Bene- dice Clara- credo proprio sia venuto il momento di spaghetti aglio olio e peperoncino. Che ne dici? Vino ne hai? Perché non apri una bottiglia mentre preparo?-
Ci sono a volte persone nella vita che sono così. Portano benessere, cose facili, spaghetti cotti al dente, peperoncino piccante ma non troppo, io accasciato sulla sedia che riprendo vita e colorito, ha messo anche la brocca per l’acqua, quella in vetro colorato che piaceva a te (sarà un caso che scegliete le stesse cose?). Anche di bere mi devo essere scordato in questi giorni, la pipì sotto la doccia aveva un colore più vicino al marrone che al giallo; bevo la brocca intera e lei la riempie di nuovo mentre parla di tutto e di niente, il primo bicchiere di rosso a stomaco vuoto mi stordisce, la pasta mi riempie,
-Ma quanta ne hai buttata?-
-Mezzo chilo-
-Mezzo chilo in due?-
-Sembravi affamato-
E’ la pasta più buona che abbia mai mangiato, glielo dico, anche la bottiglia di vino è finita e ora mi sento un po’ sbronzo,
-Perché non ti vai a stendere un po’? Posso stare ancora un paio d’ore e mi fa piacere se mi posso rendere utile-
Non riesco neanche a rispondere, mi allungo direttamente sul divano, la luce del tardo pomeriggio che taglia il pulviscolo nella stanza.
Di nuovo mi sveglio, di nuovo senza sapere che momento è della giornata. Mentre faccio pipì, in piedi, faccia alle mattonelle bianche sento una presenza dietro di me. Non ci può essere nessuno, in bagno con me. Mi volto di scatto, c’è il vestito di Clara, il vestito verde in crespo appeso sopra alla doccia. Rimango a fissarlo inebetito, non capisco subito, con cosa è uscita Clara penso per un poco, il suo corpo abbronzato, esco dal bagno velocemente, ed eccovi qui, Clara è nuda, adagiata sul tuo corpo, dormite sodo, c’è un’altra bottiglia di vino finita ai piedi del letto, tu sei coperto col lenzuolo. Mi siedo sulla poltrona e inizio a piangere come uno scemo e cerco di farlo anche piano, per non disturbarvi.
Poi penso che, se è mattina, la sacca del catetere sarà piena, vado a lavarmi le mani, acqua calda e strofinare anche i pollici, torno e inizio ad armeggiare con la sacca.
Sei il primo a sentirmi, Clara russa profondamente, la bottiglia se la sarà scolata lei per lo più, almeno spero. Mi tocchi con un piede, per farti notare e mi fai cenno di avvicinarmi
-Spostala- sussurri –pesa- aggiungi.
Finisco di svuotare l’urina, la spingo piano verso il bordo del letto e la ricopro con parte del lenzuolo.
Mi rivolto verso di te
-Stai bene?- ti chiedo
-Puzzi d’aglio- mi rispondi. Ti guardo trattenendo un sorriso, poi dico
-Anche lei, immagino-
-Lei fra poco va via, tu no- Il tuo sguardo non è poi così appannato quando dici queste cose. Scoppio a piangere di nuovo, so che non ti fa piacere vedermi piangere.
-Scusa, scusami- dico
Mi prendi il braccio con una mano. Quella senza agocannule. Stringi, neanche poco. Forse Clara ti fa meglio di quel che penso.
-Mandala via, per piacere-
Clara è morbida, a quanto pare in tutto. Non si arrabbia che la sveglio bruscamente, né che le passo il vestito verde e un bicchiere d’acqua. Dopo essersi rivestita con calma, e senza nessun pudore, mi saluta con un rapido bacio sulle labbra.
Quando torno da te ti sei appisolato. O almeno così penso. Non mi fido più di te, o della mia percezione. E infatti appena mi siedo sulla poltrona apri un occhio.
-Mi ha chiesto di ammazzarmi- mi dici. Non hai mai girato intorno alle parole. Almeno non a quelle.
-Non ti ho mai visto così lucido in settimane-
-Forse la morte mi lucida i pensieri- dici, ridacchiando
Fingo di ridere anche io. Tu finisci la tua risata tossendo e io aspetto
-E cosa le hai risposto?- chiedo, finalmente, quando la tosse si è calmata.
-Che se proprio qualcuno lo deve fare quello devi essere tu- dici, fissandomi- magari con una valvolina messa male o una bolla d’aria in qualche iniezione- Abbasso lo sguardo. Mi conosci meglio di quanto vorrei.
-Intanto mi prepari un aglio e olio anche a me? In mezzo a voi due vampiri mi è venuta una gran voglia-
Torno in cucina e metto l’acqua sul fuoco. Pulisco la padella sotto l’acqua calda, con poco sapone. Metto a scaldare l’olio e schiaccio l’aglio. C’ è un uccellino sul davanzale della finestra, dove ho appoggiato la piantina, vorrei fartelo vedere. Salo la pasta con un’abbondante presa di sale grosso. Non c’è il prezzemolo, ma se ricordo bene non ti piace. Mi devo ricordare di lavarmi le mani bene, potrei farti molto male con questo peperoncino sulle dita. Accarezzo l’idea per qualche secondo e lecco le dita, a una a una.
Che sia così per sempre, poterti accudire in eterno.
Fra le cose che caratterizzano la nostra epoca c’è la possibilità \ rischio di dover decidere come e quando morire, coinvolgendo inoltre delle persone care. Avere la vita non è più valore supremo, perderla volontariamente non è atto eroico né suicidario. Si tratta di un mutamento dei parametri fondamentali in cui la nuda vita diventa una sorta di spettatore attivo – come in certe operazioni teatrali. La barba, il sonno, la spossatezza, la doccia, la pasta, la banalità di un corpo nudo quando ogni abito mentale si dissolve diventando “corpo senza comportamento”. Resta l’esser portati dalla serie dei piccoli eventi, una specie di rassegnata trance. Il paradosso della decisione estrema vissuta da macchine involontarie. “Se qualcuno lo deve fare devi essere tu”. Non si scappa.