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Bieiris de Romans o il saffismo nel medioevo

di Edoardo Angrilli

 

 

Donna angelo, donna schermo, Domna o tiranna, soltanto questi pochi appellativi rendono palpabile l’innegabile centralità della presenza femminile nella lirica cortese. Invocata, supplicata o lodata la donna parebbe avere in questa importante e consistente tradizione una ruolo puramente passivo, tanto da diventare, da topico oggetto poetico, un mero pretesto letterario, uno spunto lirico. Tuttavia, dovremmo dire parziale, se non faziosa, questa visione subordinata e remissiva della donna nel medioevo, basti guardare al corpus delle trobairitz, poetesse a pieno diritto pari alla loro controparte maschile, i trovatori.

Seppur di difficile delimitazione – Schultz-Gora[1] elenca sedici componimenti, Bogin[2] ventitrè, Paden[3] venti, Zufferey[4] ritorna sui sedici… –, a causa delle differente implicazione femminile del testo (testuale o genetica), il Maximalkorpus di questa tradizione viene generalmente fatto coincidere con un numero di quarantasei componimenti assegnati a venti trobairitz. Esso, fonte di incredibile interesse per lo studio della condizione femminile nel medioevo, rivela nella sua varietà la grande libertà espressiva concessa a queste scrittrici, quasi tutte di nobili natali, s’intende. Infatti, ad esse non solo era concesso in piena libertà di intonare languidi vers di desiderio amoroso, ma erano addirittura chiamate ad intervenire, proprio in qualità di donne, sui dibattiti attorno alla natura di Amore e sulla conseguente etichetta da seguire nel rapporto tra l’amante e l’amata.

Si veda ad esempio quest’estratto della poesia Estat ai en greu consirier (BdT 46,4) della Contessa di Dia[5]:

Ben volria mon cavallier

tener un ser en mos bratz nut,

q’el s’en tengra per ereubut

sol qu’a lui fezes cosseillier,

car plus m’en sui abellida

no fetz Floris de Blancheflor :

ieu l’autrei mon cor e m’amor,

mon sen, mos huoills e ma vida. (vv. 9-16)

[Vorrei stringere nudo, una sera, il mio cavaliere tra le mie braccia, e che lui si sentisse felice solo che io gli facessi da cuscino; perché mi piace più di quanto a Florio piaceva Biancofiore: io gli concedo il mio cuore e il mio amore, il mio senno, i miei occhi e la mia vita.]

O ancora, si legga la terza strofa della canso di Azalais de Porcairagues, Ar em al freg temps vengut (BdT 43,1):

 

Dompna met mot mal s’amor

qu’ab trop ric ome plaideia,

ab plus aut de vavassor,

e s’il o fai il folleia;

car so dis om en Veillai

que ges per ricor non vai,

e dompna que n’es chausida

en tenc per envilanida.

[La donna che sospira per un uomo troppo ricco, di rango più alto di un valvassore, rivolge male le attenzioni del suo cuore, e se lo fa, ammattisce; perché, come si dice nel Vellai l’amore non va d’accordo con la ricchezza, e una donna che l’ha scelta io ritengo che si svilisca.[6]]

Un caso particolarmente curioso, per la l’insolita conformazione del suo dettato, è dato dalla canzone Na Maria, pretz e fina valors (BdT 16a,2) attestata unicamente nel foglio 208v del canzoniere T16. In esso, infatti, si può leggere un unicum nel panorama provenzale: non è né un uomo a scrivere tenere parole ad una donna né una donna a scriverle per un uomo, bensì il testo presenta una singolare dichiarazione d’amore tutta al femminile, da donna a donna.

Secondo la grafia del copista, infatti, l’autrice della canso sarebbe una presunta e non meglio identificata nabieiris deroman, autrice di questo solo testo di due coblas unissonans di otto decenari e da due tornadas di quattro, che canta le lodi di una certa Maria.

Sul presunto saffismo del componimento, però, la critica si è divisa e ancora si divide, mossa dalla legittima domanda riguardo alla liceità di questa lettura. Da una parte, infatti, se l’eccezionalità del caso acuisce il dubbio, va soprattutto rimarcato che sarebbe un errore grossolano e naïf proiettare le odierne rivendizioni sessuali, storicamente condizionate, su un secolo altro e diverso, seppur non così moralista e intollerante, come si è cercato di dimostrare.

A conferma dell’autenticità dell’autorialità femminile intervengono, comunque, e Zufferey[7], che conferma l’attestazione nel provenzale antico di Bietris per Beatritz, e la più appassionata Angelica Rieger[8]. Fortemente convinta della mano femminile del testo (perché mai il copista avrebbe dovuto attribuire un nome di donna all’autore del testo?), la studiosa arriva tuttavia a sostenere un’interessante e acuta lettura della canso. Dopo aver analizzato tutti i testi in cui è presente un dialogo fra donne, ella infatti conferma la dimensione esclusivamente femminile della poesia, ma nega fermamente l’implicazione romantica del testo. Anzi, a suo dire, il tono affettuoso e sentimentale sarebbe piuttosto da inserire in un codice di comunicazione convenzionale tra familiari.

Senza nessuna malizia, dunque, ma buon costume.

Una tesi non troppo dissibile viene presentata anche da Alison Ganze[9], sostenitrice della perfetta aderenza del testo al codice linguistico del rapporto vassallatico, in tutto e per tutto speculare ad alcuni poemi dedicati dai trovatori ai loro signori.

Ma le interpretazioni si moltiplicano, tra chi, agnostico, lascia ogni possibile interpretazione al lettore[10], a chi vedrebbe, preda da un parossismo esegetico, nella fantomatica Maria a cui è dedicata la poesia la stessa Santa Vergine.

Più prettamente filologiche sono tuttavia le considerazioni della scuola avversa, quella dei sostenitori della paternità del testo. A conferma di questa tesi, infatti, ci sarebbe la non trascurabile corruzione del manoscritto, che tra le sue stesse carte conta non poche attribuzioni erronee.

D’altronde, lo stesso sopraccitato Zufferey[11], dopo un’analisi comparatistica del componimento in questione e un’altra canso canso del codice, quella di Gui d’Ussel a Maria di Ventadorn[12], giunge a sostenere che il tono della poesia sia innegabilmente maschile, seppur senza azzardarsi a proporre una nome per lo scrittore. Sarà Schultz-Gora[13], piuttosto, a prendere posizione al riguardo, leggendo nel nome di Na Bieiris una più probabile corruzione di N’Alberis, con cui si potrebbe nominare Alberico da Romano.

L’interesse per le lettere di questo signore trevigiano (1196 – 1260), infatti, sarebbe ben attestato e ulteriormente confermato dalla sua amicizia con il poeta Uc de Saint-Circ. Anzi, a maggior ragione la convenzionalità metrica e tematica del componimento preso in esame sarebbe da leggere in un quadro imitativo volto ad apprendere la techne del maestro.

Un esercizio, dunque, un’imitazione.

Impossibile probabilmente giungere a una risposta definitiva su un tale busillis, che, come si è visto, porta con sé numerose implicazioni, filologiche, tematiche, storiche, sessuali. Certa è, tuttavia, l’innegabile fascinazione che un testo simile continua ad avere, ancora oggi, attraverso i secoli, stimolando nella mente del lettore infinite soluzioni alternative, subendo letture e riletture, motivate o tendenziose, piegandosi o aprendosi ad anacronismi e attulizzazioni.

Personalmente, se posso, tra amanti segrete, poetesse di corte, maestri e discepoli e altri evocativi scenari, mi piace indugiare a figurarmi la mano del copista vergare quei caratteri incerti, e lui, inconsapevole o furbesco, ma sicuramente romanzesco, confidare alla storia l’enigmatico nome di Na Bieiris.

 

Na Maria, pretç e fina valors

E·l giois e·l sens e la fina beutatç

E l’ acugliers e·l pretç et las onors

E·l gintL parlars e l’avinens solas

E la doç cara e la gaia acundança

E·l ducç esgartç e l’amoros se[m]blan

Ce son e vos, don non avetç egansa,

Me fan traire vas vos, sis cor truan.

Por ço vos prec, si·us platç, ce fin’amors

E gausimentç et doutç’umilitatç

Me puosca far ab vos tan de socors

Ce mi donetç, bella dopna, si·us platç,

So don plus ai d’ aver gioi esperansa,

Car en vos ai mon cor e mon talan

E per vos ai tut so c’ ai d’ alegransa

E per vos vauc mantas ves sospiran.

E car beutas e valors vos enansa

Sobra tutas, c’ una no·us es denan,

Vos prec, se·us plas, per so ce·us es onransa

Ce non ametç entenditor truan.

Bella dompna, cui pretç e giois enança

E gientç parlars, a vos mas coblas man,

Car e vos es gaessa et alegransa

E tutç lo bens c’ om e dona deman[14].

[Donna Maria, il pregio e l’alto valore e la gioia e il senno e l’alta beltà e la gentilezza e il pregio e il decoro e il bel parlare e il piacevole intrattenimento e il dolce viso e il gaio contegno e il dolce sguardo e il sembiante amoroso che in voi sono, in cui non avete uguale, mi spingono verso di voi, senza intenzione di ingannarvi.

Perciò vi prego, se vi piace, che l’amor fino e la gaiezza e la dolce modestia mi valgano tanto presso di voi che mi doniate, bella donna, se vi piace, quello da cui ho tanta speranza di ottenere gioia, ché in voi ho il mio cuore e il mio desiderio e per voi ho tutta l’allegria che è in me e per voi vado soventre sospirando.

E poiché bellezza e valore vi innalzano sopra a tutte sì che nessuna sta davanti a voi, vi prego, se vi piace, per il vostro onore, che non amiate un corteggiatore falso.

Bella donna, che pregio e gioia e bel parlare innalzano, a voi invio le mie cobbole, perché in voi stanno gaiezza e allegria e tutto il bene che si può cercare in una donna.]

Bibliografia:

Chiara Cappelli, «La canzone Na Maria, pretz e fina valors: problemi di attribuzione e interpretazione», elaborato finale in filologia romanza.

[1] Oscar Schultz-Gora, Die provenzalischen Dichterinnen: Biographien und Texte nebst Anmerkungen und einer Einleitung, Genève, Slatkine Reprints, 1975 (prima edizione 1888).

[2] Magda Bogin, The Women Troubadours, New York, W. W. Norton & Company, 1988.

[3] William D. Paden, «Introduction», The Voice of the Trobairitz. Perspectives on the Women Troubadours, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1989, pp. 8-27.

[4] François Zufferey, «Toward a Délimitation of the Trobairitz Corpus» in William D. Paden, The Voice of the Trobairitz, pp. 30-44.

[5] Testo e traduzione di Costanzo di Girolamo, I trovatori, Torino, Bollati Boringhieri, 1989, p.45.

[6] Traduzione di Edoardo Angrilli

[7] François Zufferey, «Toward a Délimitation of the Trobairitz Corpus» in William D. Paden, The voice of the Trobairitz. Perspectives on the Women Troubadours, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1989, p. 41, n. 4.

[8] Angelica Rieger, «Was Bieiris de Romans Lesbian ? Women’s Relations with Each Other in the World of the Troubadours» in Paden, The voice of the Trobairitz, pp. 73-94.

[9] Alison Ganze, «Na Maria, pretz e fina valors : A New Argument for Female Authorship», Romance Notes, 49, 2009, pp. 23-33.

[10] René Nelli, Ecrivains anticonformistes du moyen-âge occitan, p. 279.

[11] François Zufferey, «Towards a delimitation» p. 32.

[12] En tanta guisa·m men’Amors (BdT 194,6).

[13] Oskar Schultz-Gora, «Nabieiris de roman» in Zeitschrift für romanische Philologie, 15, 1891, pp. 234-235.

[14] Ms. : T 208v.

Testo: Giulio Bertoni, I trovatori d’Italia : biografie, testi, traduzioni, note, Modena, Orlandini, 1915, p. 265.

Traduzione: Gianfranco Folena, Culture e lingue del Veneto medievale, Padova, Editoriale Programma, 1990, p. 87.

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Giorgiomaria Cornelio
Giorgiomaria Cornelio è nato a Macerata nel 1997. E’ poeta, regista, curatore del progetto “Edizioni volatili” e redattore di “Nazione indiana”. Ha co-diretto insieme a Lucamatteo Rossi la “Trilogia dei viandanti” (2016-2020), presentata in numerosi festival cinematografici e spazi espositivi. Suoi interventi sono apparsi su «L’indiscreto», «Doppiozero», «Antinomie», «Il Tascabile Treccani» e altri. Ha pubblicato "La consegna delle braci" (Luca Sossella editore, Premio Fondazione Primoli, Premio Bologna in Lettere) e "La specie storta" (Tlon edizioni, Premio Montano, Premio Gozzano Under 30). Ha preso parte al progetto “Civitonia” (NERO Editions). Per Argolibri, ha curato "La radice dell'inchiostro. Dialoghi sulla poesia". La traduzione di Moira Egan di alcune sue poesie scelte ha vinto la RaizissDe Palchi Fellowship della Academy of American Poets. È il direttore artistico della festa “I fumi della fornace”. È laureato al Trinity College di Dublino.
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