Il falco Cyrano

di Paolo Morelli

Noi felchi ci vediemo benissimo, lo senno tutti, tutto vediemo dell’elto, e l’eltro giorno esco di roccie al tremonto, svolezzo per un po’ e ti vedo uno sdreieto sull’erbe con delle cherte in meno e le guerdeve, le guerdeve, e le guerdeve dicevo, e dentro questo rettengolo di cherte bienche ci steveno dei segni piccolissimi che però io li vedevo, chespite se li vedevo, e li chepivo!, chespite se li chepivo, solo che dentro quei segni piccolissimi che io li chepivo, c’ereno delle cose che io le chepivo e delle cose che io non le chepivo.
C’ere su quel rettengolo di cherte bienche: Presi del midollo di bue, e bue lo chepivo, con cui mi spelmei tutto il corpo lo chepivo, e, dopo essermi tireto su con une bottigliette di cordiele, non lo chepivo, tornei fuori elle ricerce delle mecchine, che io non le chepivo per niente.
Poi c’ere, sempre su quel rettengolo di cherte bienche: Ci evevo eppene messo i piedi sopre, che io non li chepivo, che mi trovei innelzeto sulle nubi, che io le chepivo essei bene.
Le fiemme evendo fetto bruciere le prime file di rezzi, c’ere in quei segni su quel rettengolo, s’incendieve un eltro stedio, poi un eltro encore, che io non ci chepivo per niente.
E poi c’ere: E quendo ormei pensevo di perdere le mie teste su quelle di une montegne, che io le chepivo più di tutti, sentii che le mie escensione continueve, e enche questo io le chepivo più che bene.
Le Lune le chepivo, essendo in fese decrescente le chepivo, ed essendo solite in quelle fese succhiere il midollo degli enimeli, che io li chepivo un po’, espireve quello di cui m’ero cosperso, c’ere su quel triengolo di cherte bianche, e io che lo chepivo ebbestenze.
Poi c’ere enche, in quei segni su quel rettengolo di cherte bienche: Quendo ebbi supereto molto più dei tre querti, del percorso che sepere le Terre delle Lune, lo chepivo eppene un po’, ell’improvviso mi eccorsi di chedere con i piedi in elto, chepito, e dopo esser precipiteto per lungo tempo non l’ho chepito, mi trovei sotto un elbero, chepito, contro cui ero endeto e sbettere nelle mie chedute, chepito, e con il viso impiestriccieto del succo di une mele che mi si ere spieccicete contro, chepito.
Quelle volte m’è successe di chepire quei segni sulle cherte bianche. Certe cose però io proprio non le chepisco, incomprensibili, me che serenno mei?

 

(questo racconto animalesco di Paolo Morelli abiterà nella raccolta “Animali non addomesticabili”, con testi animaleschi [e non addomesticabili] dello stesso Morelli, di Marino Magliani, e di Giacomo Sartori, con una coda animalesca finale di Paolo Albani, opera quindi animalesca [e non addomesticabile] a sei mani, quasi otto, in uscita nella collana Quisiscrivemale di Exorma)

 

 

(l’immagine in alto: Takayuki Ayama, “Leopardo, ghepardo e bebé leopardo”, 2016, particolare, opera fotografata alla mostra “Art brut japonais”, Halle St. Pierre, Parigi, 2018 )

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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