Liberi o liberati?

di Giovanna Gammarota

Per una presentazione del libro «Tecniche di liberazione» di Mariangela Guatteri

 

Lìbero [dal lat. liber], che non è soggetto al dominio o all’autorità altrui, che ha facoltà di agire a suo arbitrio, senza subire una coazione esterna che ne limiti, materialmente e moralmente, la volontà e i movimenti.

Liberazione [dal lat. liberatio -onis], l’atto, il fatto di liberare, di liberarsi o di essere liberato da una soggezione, da un male, da un vincolo, da un controllo.

Questo è quanto dice l’Enciclopedia Treccani. Se però andiamo a leggere più a fondo la descrizione di libero ci accorgiamo che il termine sfugge al suo stesso senso.

Qualche esempio:

  • nell’antica Roma, liberi erano i cittadini che godevano di pieni diritti civili, distinti dagli schiavi e dai liberti (gli schiavi liberati).
  • Vi sono poi le Nazioni libere in senso politico: non asservite allo straniero; che si governano con leggi e magistrati proprî.
  • In senso spirituale, si dice di persona che in materia di opinioni o di fede afferma il diritto alla libera indagine dichiarandosi indipendente da dogmi e postulati confessionali.

Nei casi appena menzionati si tratta comunque di una libertà regolamentata e quindi di per sé non vera, non reale. Anche il cosiddetto libero pensiero sottostà a meccanismi di confronto più o meno razionali che prendono in esame altri pensieri generati da altri individui pertanto tale libertà di pensiero avrà sempre un confine.

Vediamo quindi che la parola libero assume una varietà di sfumature che lasciano dubitare del senso comune solitamente dato a questo termine. Se dunque nel caso della libertà si assiste ad un atto fisico o intellettivo che può procedere attraverso diverse strade, nel caso della liberazione si procede per un’unica via.

Ho voluto riportare queste due definizioni per evidenziare un quesito tanto semplice quanto complesso: qual è la differenza tra libertà e liberazione? Apparentemente i due concetti sembrano avere molto in comune, anzi sembrano l’uno la conseguenza dell’altro ma non è così e la motivazione è molto semplice: affermare “sono libero” equivale a sostenere di non essere dipendenti da qualcuno o qualcosa che sta al di fuori di noi; parlare invece di liberazione significa affrancarsi dalla dipendenza di ciò che sta dentro, nel profondo.

Quando diciamo di sentirci liberi di fare, dire o essere ciò che vogliamo diciamo una cosa falsa e forse anche un po’ presuntuosa, certamente senza grande fondamento. Nella società contemporanea il livello di libertà che possediamo è davvero molto basso. Non solo, qualsiasi atto di ribellione o qualsiasi opinione esternata come “nostra” è in realtà indotta. Crediamo di avere un nostro pensiero libero ma non è così: non può esserlo perché non ci siamo liberati. La nostra relazione con il mondo che ci circonda non tiene mai conto dell’insieme inteso come osservazione del Tutto consapevoli di farne parte; è una relazione che ci pone molto spesso al centro e di conseguenza il centro si compone dei nostri bisogni, delle nostre necessità: un punto di vista con un orizzonte molto ristretto. Allargare lo sguardo, proiettarsi verso un orizzonte più vasto porta invece a porsi delle domande che salgono dalle viscere, da un interiore melmoso, che non si vuole abbandonare perché pensiamo ci protegga nonostante la sua vischiosità. Dentro queste viscere siamo al riparo dall’ignoto; non rischiamo di perdere il contatto con una realtà precostituita che ci accaniamo a contestare senza renderci conto che ci tiene prigionieri, che abbiamo bisogno di liberarcene. Scivoliamo e ricominciamo daccapo.

Ma allora, come possiamo liberarci? Il libro Tecniche di liberazione di Mariangela Guatteri, prova a descrivere il processo.

All’inizio è il caos all’interno del quale c’è un nucleo. Il caos si muove e porta con sé il nucleo; questo muoversi ha una sua precisa funzione, quella di generare il nuovo non inteso come novità bensì come rivelazione dell’esistente. Il libro è introdotto da un testo breve che descrive la posizione yoga Siddhāsana che significa posizione perfetta, Si tratta di una postura meditativa che esige il controllo dei sensi, pratica che immerge il corpo e la mente in uno spazio “altro”, uno spazio che si allarga man mano che lo si frequenta. “Hanno origine nella memoria” – scrive Guatteri – è una continua scarica […] È doloroso”.

Affrontare lo spazio che si trova nel dentro profondo non è cosa da poco, si ingaggia una continua battaglia con quelle che possiamo definire “resistenze”. Tale battaglia priva completamente l’individuo della capacità di esistere in quanto parte dell’Unico. Egli sviluppa così una sorta di autodifesa che pone in primo piano il suo essere. Paradossalmente la battaglia che l’individuo conduce per essere libero lo priva della sua liberazione. Durante il percorso suggerito dal libro si vive una condizione di isolamento che lentamente diventa indipendenza necessaria e, infine, consapevole. Questo porta a una forza tanto chiara da essere presente in tutto lo svolgersi del quotidiano, una forza che non parla di superiorità dell’individuo su altri individui ma che deriva dall’essere compresente al Tutto.

Ma torniamo alle tecniche di liberazione. L’allenamento ad abbandonare le resistenze è una tecnica di liberazione. Non parliamo qui di un atteggiamento pseudo psicanalitico ma di una vera e propria “rinuncia” a combattere. Spesso sentiamo dire frasi del tipo: “sono abituato a lottare; nulla mi spaventa”: si tratta di una resistenza. Questa consapevolezza giunge in seguito a inevitabili stadi che occorre attraversare: non si possono saltare.

Uno degli stadi inevitabili è quello del “dolore” in quanto primo livello di relazione con l’idea di liberazione. Il dolore va attraversato e riconosciuto, oltrepassare il primo stadio significa iniziare il percorso di rivelazione.

 

Possono essere riconosciute, controllate e bruciate: passione, sentimento di individualità; l’attaccamento e la volontà di vivere. (Le classi sono dolorose)

Uscire dal circuito è doloroso.

 

A costo di apparire blasfema mi spingo a dire che tutte le situazioni in cui l’uomo si accanisce nel resistere sono in realtà inutili e deleterie: accadrà sempre di assistere ad un conflitto che porterà una parte a prevalere sull’altra e dunque a una inevitabile insoddisfazione. Tutto ciò avviene sia al di fuori sia all’interno, ma non sfiora in nessun modo il dentro profondo.

Per questo rinunciare a resistere non è una sconfitta ma una liberazione.

 

Orbene le scienze del linguaggio – scrive ancora Mariangela Guatteri – sono prime tra i mezzi di liberazione.

 

In questo libro vi sono quattro sezioni, quattro stadi, per un attraversamento che è anche metafora di evoluzione e tre linguaggi: la parola (suono), la fotografia (vista) e lo yoga (tatto). La parola unita alla fotografia ci è capitato diverse volte di vederla ma in questo caso la modalità di fruizione dei due linguaggi è parallela (non complementare): questa è una tecnica di liberazione precisa. Mantenere il controllo dei sensi, distinguere nell’insieme. L’introduzione dello yoga, disciplina che comprende l’uso del corpo, permette di unire i sensi che altrimenti sarebbero staccati e indipendenti ma l’effetto è contrario a quanto ho appena affermato poiché in questa unione è possibile ascoltare ogni singolo elemento e il tutto contemporaneamente, come in un’orchestra.

Possiamo guardare delle fotografie usando soltanto il senso della vista, isolato da tutti gli altri. Possiamo ascoltare il suono della parola impiegando il solo senso dell’udito ma in questo modo non riusciremo ad entrare nel dentro profondo perché per poterlo fare è necessario allargare l’orizzonte, usare tutti i sensi. Unendo i due linguaggi saremo inevitabilmente attratti con prevalenza dall’uno o dall’altro ed è proprio l’allinearsi della terza disciplina che permette all’individuo di usare tutti i sensi contemporaneamente fondendo i linguaggi stessi pur mantenendoli al contempo distinti. Non è affatto casuale che sia stata scelta la musica durante le presentazioni di questo libro, infatti la musica è la tecnica di liberazione per eccellenza, come la pratica yoga ci permette di entrare in contatto con tutto ciò che ci circonda in maniera totale. Perché? Perché non è stata creata dall’uomo, esiste nell’Universo e l’uomo è soltanto lo strumento attraverso cui passa e si rivela.

 

La censura lucida degli automatismi; la concentrazione sulla cosa,

Un punto: ferma e continua.

 

Lo svelarsi a poco a poco delle cose per come sono, della vita che le permea, implica capacità di concentrazione e di censura di tutto ciò che non accade consapevolmente. Il secondo stadio della liberazione abolisce gli automatismi lucidamente: torniamo a una “modalità vegetale”, la presenza nello spazio che ci circonda come cose insieme ad altre cose. L’accettazione anche qui della resa che pulisce lo sguardo mostrandoci il vero.

La metamorfosi avviene come per miracolo, il caos sta per stabilire un nuovo ordine. Affiora dal dentro profondo la verità e comincia a non farci più paura, abbandoniamo le viscere dense per entrare nella “nostra grandezza” emendata dall’individualismo.

 

Hanno un aspetto comune, l’inclinazione normale.

[…] Vogliono preservare la memoria, restare attaccati.

 

[…] i punti fermi. Senza penetrare

 

Il terzo stadio della liberazione ci porta ad un livello in cui tutto è intercambiabile, dove il sotto è il sopra, il dentro è il fuori, un’attraversabilità totale ma al tempo stesso consapevole degli elementi attraversati compreso il proprio corpo. La liberazione nasce dal corpo, per l’individuo un involucro, sostengono alcuni, in realtà una “cosa” che nasce, vive e muore, attraversa un ciclo fatto di provvisorietà, di passaggio e, infine, di scomparsa: un’evoluzione del tutto naturale.

 

Un modo di essere nuovo e paradossale

 

L’impatto dell’aria sugli organi, i suoni.    Il dormire sulla terra nuda;

il rimanere in acqua; il digiuno

 

Frutti particolari. Visibili, invisibili

 

Ci si è arresi ma paradossalmente si è posta in essere una modalità nuova di resistenza, di natura differente. Il ciclo è completo. Le resistenze costrittive che ci comprimevano sono evaporate per dar spazio a una nuova resistenza pulita, forte, grande che permette al ciclo stesso di compiersi, di arrivare al suo termine. Lo sguardo e le parole non ci confondono più, il corpo è stato liberato.

 

nudo              concreto.

 

*

 

[Dalla presentazione del libro avvenuta presso il Laboratorio di Cultura Fotografica di Città della Pieve, il 1 dicembre 2018]

 

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Renata Morresi scrive poesia e saggistica, e traduce. In poesia ha pubblicato le raccolte Terzo paesaggio (Aragno, 2019), Bagnanti (Perrone 2013), La signora W. (Camera verde 2013), Cuore comune (peQuod 2010); altri testi sono apparsi su antologie e riviste, anche in traduzione inglese, francese e spagnola. Nel 2014 ha vinto il premio Marazza per la prima traduzione italiana di Rachel Blau DuPlessis (Dieci bozze, Vydia 2012) e nel 2015 il premio del Ministero dei Beni Culturali per la traduzione di poeti americani moderni e post-moderni. Cura la collana di poesia “Lacustrine” per Arcipelago Itaca Edizioni. E' ricercatrice di letteratura anglo-americana all'università di Padova.
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