Overbooking: Sandro Abruzzese
da CasaperCasa
di
Sandro Abruzzese
Un fallimento annunciato
Sulle mura cittadine ci sono viali alberati e ombreggiati. Gli alberi hanno foglie a forma di cuore, dovrebbero essere tigli. Ne strappo una, misuro il lembo, osservo la nervatura, il margine quasi liscio. Somiglia al palmo della mano. Le nervature si irradiano, conducono la linfa proprio come piccole vene nel corpo. Resto un po’ col palmo della destra schiuso in parallelo alla foglia a forma di cuore, retta dalla mano sinistra. Dopodiché la ripongo con cura nella tasca dei pantaloni, in seguito la mostrerò a Giorgio.
Oggi la luce si fa spazio tra i rami, finisce nel selciato di terra battuta e pietrisco. La gente corre, si riappropria della fatica smarrita pestando il viale adornato da riflessi simili ad arabeschi. Quasi tutte le persone corrono con determinazione, secondo tracciati rigidamente prestabiliti, indossando tute speciali, scarpe apposite, occhiali da sole ergonomici, fasce elastiche, cronometri e contachilometri. Molti all’avambraccio portano il telefono e gli auricolari per ascoltare la musica.
Noi, intendo io e Filippo, partendo dalla Porta degli Angeli ci produciamo in una camminata veloce che lui sostiene non vada interrotta per nessun motivo, a qualsiasi costo, gliel’ha detto il cardiologo, è un luminare, sostiene. Il tutto, intendo la camminata continua, secondo questo medico specialista, gioverebbe a una serie di fattori cardio-circolatori e via dicendo.
La cosa è andata più o meno in questi termini: Filippo è dentro una tuta anni ’80 della Wampum, una tuta nera, lisa, dalla vita alta, dal cavallo dei pantaloni infinitamente lungo; la giacca è scolorita, stropicciata e sformata. Ebbene, mentre cammina veloce, esordisce col fatto che la vita, nelle sue modalità, a suo modo di vedere, mostra in sé tutte le caratteristiche di un fallimento annunciato. Già, lo so, è insopportabile, tuttavia è così che esordisce. Anzi, sempre camminando velocemente prende a inanellare domande retoriche senza aspettarsi obiezioni né tanto meno risposta: «Vista dai troiani… », argomenta, e intanto agita la mano sinistra ruotandola con un movimento antiorario, «l’Iliade, cos’altro ritieni sia se non un fallimento annunciato? E gli eroi achei?… », presumo di non dover intervenire e infatti: «non è ingrata la loro sorte? Diamine: pensa alla fine di Achille o Agamennone… », sostiene diligente, senza rallentare la falcata. Gli sto dietro senza problemi, intendiamoci. Il fatto è che ha le gambe lunghe ed è allenato, per stargli dietro non devo parlare, altrimenti mi semina.
«Pensa solo se Enea avesse avuto la premonizione di Mafia Capitale, della P2, dello Ior, della P3, della Banda della Magliana. Mi segui? Trovi futile e peraltro buffonesco se ritengo che Roma oggi sia un fallimento annunciato? Be’, non credo. Ed è inutile che tu assuma quell’espressione incerta, giacché, sebbene appaia una riflessione azzardata, parimenti non si tratta di nichilismo spiccio. Un fallimento annunciato è avere a mente il principio e la fine. È vivere rammentando l’epilogo e la sua immane soverchieria, diamine. Per cui sospendi quell’espressione polemica e pensa un attimo ad Antigone quando seppellisce suo fratello: ti viene in mente un esempio migliore di lotta contro una legge ingiusta? O parimenti Amleto, Otello, Don Chisciotte, Achab: tutto ampiamente annunciato, lo comprendi?».
Quest’ultimo lo trovo un colpo basso, Moby dick no, ci ho fatto la tesi di laurea su Melville, stavo per chiamare Ismaele uno dei miei figli, lo sa benissimo. Quindi dissento con una frase breve che non comprometta il ritmo della camminata: «Ma perché devi… perché… devi… devi confondere cose che… ».
Se l’aspettava. Era lì ad attendere la mia reazione scontata. Prende a rigirare la mano sinistra in senso antiorario e accelera, con una variazione impercettibile alza la voce di un semitono:
«E allora Lorenzo Milani? La sua scuola? Il suo Stato? Non sono rimasti nei nostri desideri e nelle sue parole? E il folle volo di Ulisse? Violare le leggi divine per amor di miglioramento e conoscenza. E come si conclude? Qual è l’epilogo?».
Taccio disorientato, per cui riprende: «vogliamo discutere di Tom Joad? No dimmi: peraltro se fosse per me argomenterei volentieri e per tutto il tempo di Cesare Pavese quando scrive “vorrei sognare i vostri stessi sogni”, diamine, oppure “non fate troppi pettegolezzi”, benché mi chieda: il discorso cambierebbe? Quante volte Pavese ha annunciato il suo fallimento?».
«Lascia stare, almeno Pavese, lascialo in pace… Pavese no…, non merita illazioni… », irrompo piantando entrambi i piedi sul selciato, come pietrificato.
Non si scompone. Anzi, non si ferma neppure, per cui sono costretto a rincorrerlo goffamente. Stavolta sussurra con una sorta di delicatezza inedita, come per non destare qualcuno che dorma nei paraggi. Mi guardo intorno senza capire a chi è rivolto tanto riguardo. Lui prosegue: «e stai calmo…, sst…, non te lo usurpo Pavese, stai tranquillo. Ma allora discutiamo di Gesù?», sibila a labbra strette, «estendere la dignità…, a tutta l’umanità…, sst…, e alla fine… ? Chi ha vinto… alla fine? Guardati intorno…, insomma, era chiaro che avrebbe prevalso il Grande Inquisitore, allora… come ora… », sibila alzando gli occhi al cielo, irritato dalla mia espressione scettica e sconsolata, a cui aggiungo lo scuotimento del capo in segno di totale disaccordo, «fa’ pure come credi… i tuoi dinieghi non cambiano la sostanza delle argomentazioni, è proprio così… », chiosa con disappunto, «peraltro ciò che sostengo è applicabile a Marx contro il capitalismo, o ai Malavoglia… quando si imbarcano nella storia del commercio dei lupini. Vale per Zeno Cosini… e per Mattia Pascal… e… ».
«Finito? No, dico: hai finito grande guru?! Perché sei pesante e deprimente», mi ribello finendo per attirare gli sguardi dei podisti specialisti, sempre più irritato da quello che è divenuto un continuo e gratuito sibilo oracolare.
«Suvvia, sst.., sst…, non adirarti tanto e consentimi di ribadire che la vita da qualunque punto la si osservi, diamine, non è altro che la metafora di un naufragio, ovverosia non è altro che un fallimento annunciato… », sibila, «nient’altro che una direzione obbligata per cui, be’, occorre fare presto e essere in grado di donarsi le parole migliori, ne sono persuaso, giacché uno degli ultimi miracoli a cui aggrapparsi rimane questo del linguaggio, occorre usarlo solo per donarsi a vicenda le parole migliori, capito?».
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L’ eterno riposo…