La tragedia del ponte Morandi
di Guido Caserza
LA TRAGEDIA DEL PONTE MORANDI
Dio Basko sta lassù meraviglioso,
a pochi passi dalla morte immoto:
il buon dio delle merci conosceva
l’istante e il luogo,
con la pioggia e il tuono:
allora Basko chiamò a sé i suoi buri
e “Spalancate le bocche” a noi disse,
“quest’oggi è il gran saldo di ferragosto”,
coi teschi e i meloni
l’Italia arrosto.
Per un istante sopra il vuoto sotto
il nulla Basko mostrò merci morte
alla fine del viaggio: fu l’orrore
dell’uomo nudo con sé stesso, spenti
la cassa e il tornaconto,
l’uomo nudo con le sue tasche, spenti
gli uomini e il rendiconto,
la cassa nuda con i suoi chiodi: ma ora,
chiuse le bare tra i fischi e gli applausi,
cantato il RIP,
torniam burini a te supplici, o Basko:
orsù, riprendi il moto,
mentre a saldo di offerte 2 x 1
ci recherai la morte ad 1 ad 1.
Da L’inganno della rosa (di prossima pubblicazione per la casa editrice Dei Merangoli)
Le tue calze potrebbero anche
donarmi. Non dire, no no, che io
sia folle, imitare una donna, sai, è arte
dell’amore: a te assomiglia quell’arte.
Che io sia folle
solo perché vado con le parole? Ebbene,
ovunque vado vado per
tam
burellare di te, anche il tuo
battito mi dona, oh sì, quanto mi dona:
bat ti to del tuo cuore, batti batti
tam
burello. Contempla
le mie calze, mio bel donnino,
belle calze di donna, bel
cuoricino a tamburello e piedi di poeta:
al monte di pietà ho lasciato l’elisir di baci,
ora me ne vado coi
tuoi piedini inguainati, sempre in cam
mino sempre in cam
mino e, mamma, quanta strada per
dirti t’amo.
Ma ciancia ciancia che ti passa
mio bel poeta: da seduto è assodato, non
diresti più che l’ami,
e un salice di versi
pianteresti a piangere, cretino,
per non aver capito
da seduto l’amore.
due pezzi in musica: classico il primo, cool jazz il secondo – molto densi.
?
Per Genova ferita
In fondo, a pensarci bene
non è un posto in cui stare, vivere.
Ci si potrebbe soggiornare
forse qualche giorno in vacanza
una settimana al più
perché, pur non essendo
apertamente ostile
non è nemmeno evidentemente
accogliente. Né un posto in cui
far vivere bene i figli,
mercanteggiare, creare aziende,
guardare al futuro, porre solide basi
a una bastevole speranza
tale da legittimare la quotidiana
e normale fatica. Eppure,
cocciutamente,
noi ci ostiniamo a starci.
Forse ci basta pensare che sì,
siamo in fondo a due ore
da Milano, a pochi chilometri
dalle spiagge di levante e di ponente,
a poche curve dal lavoro
a pochi passi da un mare balneabile.
Stretti come siamo
in una lingua di terra
contrariata e irrequieta
tra la vicinanza dei monti
e la precipitosità delle spiagge
tra la minaccia della terra
e il gùrgite delle acque,
ne abbiamo assunto il carattere
contrariato e irrequieto
e la bizzosa ironia
il sogghigno occultato
l’asprezza dei modi
l’odio connaturato
per il politically correct.
Ma a questa chiusura
rechiamo assieme
certo straordinariamente
la sua inusitata apertura,
la vocazione al mare aperto,
le sue vertigini, i suoi barocchi trionfi.
Talvolta gli uni agli altri vorremmo chiederci
perché stiamo, perché ci ostiniamo
ma poi desistiamo, non domandiamo
e mollemente ci affidiamo a lei
per uno strano gusto per la disavventura,
una strenua vocazione al disastro.