Passeggiando nelle strade della testa
di Mariasole Ariot
Arriva il vuoto del mattino, dove si scioglie il tempo e si dilatano gli oggetti : una sfera al centro del volto, che smussa angoli e scompone, che ride allo specchio nei lobi oscuri, quando arrivano madri e padri a bussare alla porta rossa del risveglio – e quante mani addosso, quanta presa, quanto rumore.
Passeggiando nelle strade della testa fuggono i ricordi del futuro, si approssimano al passato, si legano gancio a gancio per restare, il dire ancora quando suona, il dire basta quando è carne, il dire no del non dire quando è troppo, passeggiando nelle strade del futuro, dove il grido di cicale si frantuma nello spazio e sbatte sulle tempie un nuovo vuoto, dolciastro di menzogne ripetute, di canti con la bocca spalancata, di giochi maledetti e ripetuti, quando accade il tempo, quanto tempo cade.
Fuori, l’astro giallo illumina i passanti. Li vedo scorrere uno a uno : passeggini con la coda di lucertola, piedi di porco e orme di uccello, li vedo fermarsi attratti da un bagliore, riprendono il passo i passanti tra le case, le chiese e gli urlatori, li vedo vedere, li guido con l’occhio – e gemono,
e chiedono perdono per colpe non avute, sui sassi della testa una memoria, inginocchiati marciando sull’asfalto, sfondano l’aria quando piegano.
E’ l’essere al suo declino, il masticare lento dell’erbivoro, il sasso di montagna. Nel sogno ci copriamo con le dita le fessure, m’incastrano gli oggetti tra le gambe, mi muovono il sordo limitare delle offese.
Ho visto un bambino mormorare nella culla il suo avvenire, piangeva il rimpianto dei non nati, fingeva come i cani con le ossa, l’ossario sulla cima che abitiamo. L’ho visto scalpitare nella notte, urlare per il pianto della madre, urlare per il corpo non maturo, urlare per non essere nessuno, l’ho visto gattonare sulle cose : è questo nostro umore masticato, sei tu che addomestichi il dolore.
E’ comprendere all’interno di una casa il luogo che depone le sue armi e si fa sazio, un giorno per il giorno non completo, per anni gli anni andati tra le risa, è comprimere l’insuccesso con la fame, il bianco declinare il mio declino : è questo nostro amore disarmato, il tu degli umori che non dice, un passo per comprimere il passare.
Avere ancora voce per tacere : il gambo secolare delle cose.
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Molto bella: un’autentica poesia in prosa
Grazie, caro Giorgio.
Che bello l’amore disarmato! Grazie Maria Sole
Superba prosa lirica, densa di spessore concettuale e splendore metaforico, con un’attenuazione delle atmosfere troppo da ” nido del cuculo”che gravavano alcune delle precedenti. Complimenti ancora!