Articolo precedente
Articolo successivo

Una lettera a Norbert Conrad Kaser

di Roberta Dapunt

A settembre dell’anno scorso è stato presentato a Brunico un libro che raccoglie i versi tradotti in italiano di Norbert Conrad Kaser, poeta dell’Alto Adige, enfant terrible di un territorio che non gli ha voluto bene, perché in balìa della sua voce poetica che graffiava profondamente tutto ciò che toccava. Norbert C. Kaser ha toccato tutto, luoghi, abitanti, lingue, società, politica e chiesa. Ma di più ancora, ha toccato sé stesso senza compromessi e senza riguardo. Ci ha lasciato un patrimonio di sensibilità che ora possiamo custodire anche in lingua nazionale. Sono state dette cose buone alla presentazione di questo libro, alcune troppo buone. Anzi non buone, perché troppo benigne e angeliche per norber c. kaser che da lui sappiamo, va scritto con la minuscola.

rancore mi cresce nel ventre.
L’inizio è senza maiuscola, in contrapposizione con il giusto, il corretto. kaser appunto. Che non era corretto. Lui non corrispondeva. Non aveva relazione di convenienza, di somiglianza, di conformità o di luogo, di tempo. Mi sono servita del vocabolario per quest’ultima frase, perché mi sembra, che la voce corrispondere raccolga l’opposto delle qualità del poeta kaser. Che sì, sono qualità dei pochi. E ora ce l’abbiamo anche in italiano questa figura provvista di buona controcorrente, avversa a ogni forma di conformismo e tristemente  succube e dominante di sé stessa. Perché Norbert è morto, è morto giovane e in compagnia solo dei suoi versi. Splendidi versi che ai miei occhi non sono affatto tinti di tanti colori com’è stato detto, di uno però certamente. Ché sì, le dimensioni sue, tra doti d’intelligenza e dolorosa mancanza volitiva, hanno fatto arrossare il volto di non pochi lettori. Direi quindi che il colorito della pelle più rosso del normale, è il colore conveniente nel quale norbert c. kaser ha immerso i suoi versi. Lo trovo magnifico. Il resto è profonda solitudine, condizione amara di una tristizia morbosa. Ma le sue poesie, le sue lettere, i vari testi in prosa! Mi auguro che il lettore lo accolga così com’era. È stato espresso il desiderio di liberarlo dal suo personaggio. Non facciamolo. La vita di un poeta è il patrimonio sul quale i versi di ogni sua poesia sono messi insieme, pezzo per pezzo. Grazie alphabeta, grazie Werner Menapace per la benfatta traduzione.

A norbert c. kaser ho scritto una lettera soltanto. Ero bambina quando è morto. Probabilmente gliene avrei scritte molte di più se non fosse stato così.

Fortezza, 27 agosto 2009
(prova di risposta a norbert c. kaser,  Brixner Rede, 27. August 1969)

Alla letteratura sudtirolese, a quella altoatesina
in questo tripudio di onorificenze, decorazioni concesse in segno d’onore,
al cittadino senza potere che dice ciò che ritiene importante.
Alla letteratura scritta per il mondo senza commemorazione patriottica,
io quarant’anni dopo mi chiedo quale timbro la tua voce, kaser,
affideresti alle parole importune, oggi,
Du unverträglicher Geselle, scriviamo ora.

E ti rispondo con scrittura italiana, da pensiero ladino, da lettura di te risolta in tedesco.

Noi che abituati a pensare per generazioni, pronunciatori instancabili di ricorrenze,
se tu sapessi quale lontananza
dagli abiti tirolesi e piume di gallo forcello
e camici immacolati e merletti intorno ai passi delle sfilate.
Eppure io confesso. Amo tuttavia le processioni,
solennità disinvolte tra i prati a rafforzare la fede,
consegnando stagionati gonfaloni al vento
che in ogni estate guardo da una lontana finestra. Sedotta,
finché il passo lento religioso si risolve tra le case. Il mio domicilio.

Io che sono ladina, che non sono italiana, che sono figlia illegittima di quest’Italia,
che ne violento ogni giorno la lingua e compro il pane in tedesco.
Falso desinare il mio. Ipocrita,
ogni giorno a pasturare con indifferente lingua.
Eppure i versi, a loro non importa l’inchiostro versato,
importa a loro invece la terra impropria che pesto,
poiché non so a chi appartengo, eppure erede di un popolo fermo,
mentalità sedentaria, che abbiamo fissato i chiodi per vendere ladina persino la cena
e sul tavolo ormai abbiamo lasciato un limitato spazio alla modestia, all’umiltà.

Ottuso norbert, tu parli di esilio eppure non esiste condizione esule più triste di questa.

 

Ricordo volentieri di avere avuto una ghirlanda
e aver camminato nelle processioni.
E vestita a festa ascoltavo
i fiati trionfare in chiesa,
di lato i santi hanno visto il mio stupore.

Non conosco fuga, non ho mai ripiegato le mie radici,
ma qui, dentro i paesi delle mie genti conosciute,
dentro questo tempio dei valori educati
e delle molte solitudini, vicine di casa,
io sono in esilio.
In mezzo agli alberi, dentro l’erba, sotto i fiori,
io sono la zolla staccata dei campi coltivati.

Questo luogo ha partorito la mia vita
e la mia storia non ripeterà più tale giorno.
E come manca il tempo dentro i rosari, sono assente,
dal gesto umile delle mie genti inginocchiate.

 

Ora io caro norbert, ho raccontato  un giorno all’ospedale il mio male di vivere,
l’ho raccontato in dialetto pusterese e chi ascoltava, per gentilezza mi riponeva domande
dentro a una grammatica poco frequentata. Italiano di scuola,
poche ore alla settimana per giustificare una cittadinanza non voluta,
aggiungo, non meritata.

Assurdo conversare il nostro, rimane il male di vivere
per un colloquio irrisolto per forma e tonalità.

E dunque, giovane kaser, alla letteratura sudtirolese, a quella altoatesina
va il merito di essere ciò che è per natura, un nome composto di lingue diverse.
Nostra letteratura è il melo, il suo ramo d’innesto,
la pianta in sviluppo sul callo cicatriziale di un’ibrida alleanza politica.
Kein schöner Land, noi siamo chimera alpina.

E tu caro norbert, parlavi di letteratura che nessuno sa, non in questo luogo bizzarro.
Porgimi l’orecchio, ho da dirti che Prima Letteratura è la mia quotidianità,
baraonda di pensieri da depositare lentamente negli scaffali delle lingue.

Roberta Dapunt

 

NdR: qui, sempre su Nazione Indiana, si parla dell’antologia “rancore mi cresce nel ventre.” del poeta

Print Friendly, PDF & Email

articoli correlati

Nessuno può uccidere Medusa

Marino Magliani intervista Giuseppe Conte
Io lavoro intorno al mito dagli anni Settanta del secolo scorso, quando mi ribellai, allora davvero solo in Italia, allo strapotere della cultura analitica, della semiologia, del formalismo, una cultura che avevo attraversato come allievo e poi assistente di Gillo Dorfles alla Statale di Milano.

Dogpatch

di Elizabeth McKenzie (traduzione di Michela Martini)
In quegli anni passavo da un ufficio all’altro per sostituire impiegati in malattia, in congedo di maternità, con emergenze familiari o che semplicemente avevano detto “Mi licenzio” e se ne erano andati.

Euphorbia lactea

di Carlotta Centonze
L'odore vivo dei cespugli di mirto, della salvia selvatica, del legno d'ulivo bruciato e della terra ferrosa, mischiato a una nota onnipresente di affumicato e di zolfo che veniva dal vulcano, le solleticavano il naso e la irritavano come una falsa promessa. Non ci sarebbe stato spazio per i sensi in quella loro missione.

Un’agricoltura senza pesticidi ma non biologica?

di Giacomo Sartori
Le reali potenzialità di queste esperienze potranno essere valutate in base agli effettivi risultati. Si intravede però un’analogia con la rivoluzione verde, che ha permesso l’insediamento dell’agricoltura industriale nelle aree pianeggianti più fertili, e ha devastato gli ambienti collinari e/o poveri.

Pianure verticali, pianure orizzontali

di Giacomo Sartori
I viandanti assetati di bellezza avevano gli occhi freschi e curiosi, guardavano con deferenza i porticcioli e le chiese e le case, ma spesso anche le agavi e le querce e le rupi. Sapevano scovare il fascino anche dove chi ci abitava non lo sospettava, per esempio nell’architrave di castagno di una porta decrepita o nell’acciottolato di un carrugio.

RASOTERRA #2

di Elena Tognoli (disegni) e Giacomo Sartori (testi)
A Mommo gli orti e i campetti sono striminziti, in un secondo zampetti da una parte all’altra. E sono in pendenza, perché lì sul fianco della montagna non c’è niente che non pencoli in un senso o nell’altro, anche le case e le strade e i prati si aggrappano saldamente per non scivolare a valle.
giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: